Il mercato d’inverno riscalda raramente. Sono pochi i giocatori che cambiano il destino di un’annata, portando salvezze o scudetti, facendo girare le stagioni per il verso giusto. Uno di questi è stato, senza dubbio, Francesco Romano. Nel 1987 vinse lo scudetto nel Napoli. Ora è procuratore, all’epoca era un regista. Però stava in B alla Triestina. Ottavio Bianchi, perso Pecci, provò ad inventarsi Ciro Muro. Finché, tra Allodi e Pierpaolo Marino, i dirigenti di Ferlaino, non venne fuori il nome del ragazzo.
«Era ottobre dell’ 86 – racconta Romano -, il Napoli aveva pareggiato in casa con l’Atalanta ed era stato eliminato dalla Uefa. Allora il mercato di riparazione si faceva in autunno. Mi presero dalla Triestina, credo per due miliardi. Io sapevo di dover andare via ma pensavo di finire al Torino».
Invece arrivò a Soccavo, passando da Cinello a Maradona, e gli toccò subito l’esordio all’Olimpico
«Giocammo contro la Roma, vincemmo uno a zero e fece gol Diego, sull’asse Romano-Giordano. Il Napoli era secondo con 9 punti dopo in sei gare. Sinceramente, il passaggio non mi cambiò niente. Ottantamila persone o dieci per me era la stessa cosa: sono un caratteriale. Poi io sono napoletano, per me fu come ritornare a casa».
Maradona le volle subito bene, fin dalla prima amichevole?
«Io dovevo stare dieci metri dietro di lui e lanciarlo. Sembra facile giocare con Diego, ma aveva sempre due o tre uomini addosso. Non era facile passargli il pallone».
Bianchi le consegnò la squadra immediatamente?
«E io mi assunsi subito la responsabilità. Mi disse solo: gioca come sai».
Le piace il soprannome Tota?
«Come non potrebbe, me lo diede Maradona? Dopo la prima partita negli spogliatoi disse: “ecco, abbiamo trovato la nostra mamma”. E Tota era il nome con cui chiamava la sua adorata madre».
Dia un consiglio a Vargas.
“Si assuma le sue responsabilità senza timore. Come feci io”.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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