“Il calcio da allenatore? E’ completamente diverso, gestire trenta persone significa motivarli, farli crescere. Cerco di mantenere comunque un aspetto fondamentale: ovvero cercare di divertirmi e rendere piacevole il calcio a chi lavora con me. Non pretendo che il giocatore faccia ciò che dico io alla lettera, i giocatori devono avere la loro interpretazione, operando anche secondo il proprio estro. Certo se esagera si becca il rimprovero. Napoli? A questa città devo tanto, qui ho giocato con Maradona e Careca. Non posso dire che sarei stato lo stesso giocatore se non ci fosse stato sulla mia strada El Pibe de Oro. E’ stata la mia fonte d’ispirazione. Io e la mia famiglia manteniamo un legame fortissimo, il mio più grande amico qui è l’avvocato Marrucco. Un’immagine di cui ancora custodisci il ricordo? La numero 10 a Pisa, ricordo come se fosse oggi, era la maglia rossa. Diego aveva un rapporto fantastico con noi, basta chiedere agli altri cosa pensano di Maradona. Oggi ci sono meno competitors, prima c’erano sette-otto squadre che potevano vincere lo scudetto. Questa situazione spinge i calciatori a giocare nelle migliori squadre in lotta per il titolo. Meglio Zola o Maradona come allenatore? Se la ride ed evita di rispondere. Aneddoti del passato? Una volta a Parma Scala mi preferì Stoichkov, io mi sentivo più meritevole e mi arrabbiai tantissimo. Vialli? Non riuscii a controbattere la sua decisione. Ancelotti? Un grande allenatore che ha saputo svincolarsi dagli schemi a cui era legato. Espulsione con la Nigeria nel mondiale del ’94? E’ stata una brutta botta per me, ho vissuto quel Mondiale come ogni persona che ama il proprio lavoro, a mille e uscire in quel modo non posso certamente dire che mi abbia fatto piacere, poi che un’avversario tre volte più grande di me svenga a terra mi sembra ancora strano. Maradona dice che eri più basso? No, non è vero, lui era riccio ma era più basso. Insigne? E’ un giocatore che con le sue qualità e in questo tipo di competizione può risultare determinante. Da brevilineo potrebbe far soffrire l’Inghilterra. Doppio mediano? Onestamente io ho preferito sempre giocare con un solo mediano, ma Benitez sa il fatto suo. Come migliorare il calcio italiano? Innanzitutto rendere le partite un momento di sport e non una guerra. Formazione dei giovani ed esperienza alle Nazionali giovanili? I giocatori più bravi arrivano in genere da posti dove c’è povertà e non grandissima organizzazione, dove c’è più fame e maggiore libertà per imparare da solo. Bisogna dargli strumenti ma poi è il ragazzo a fare la differenza nel modo in cui li usa. Non mi ritenevo capace d’allenare le Nazionali giovanili, poi il rapporto con Casiraghi e Rocca mi ha dato l’ispirazione. I ragazzi non s’accostano al calcio per i tagli, le diagonali, da giovani hanno bisogno di trovare la fiducia, la sicurezza per fargli tirare fuori il massimo. Più facile allenare un diciassettenne italiano o inglese? I ragazzi sono più o meno uguali, è la cultura che è diversa. Io avevo un carattere particolare, perciò avevo dei dubbi sulla mia carriera da allenatore, poi ho cercato di sviluppare le qualità più adatte per questo ruolo. Non è semplice, a volte mi devo ancora confrontare con me stesso per la parte del mio carattere che si trova a disagio nel ruolo d’allenatore. Il momento peggiore che ricordo è quando col West Ham perdemmo in malo modo contro il West Bromwich Albion. Era il mio primo anno da allenatore, al rientro negli spogliatoi trovai due giocatori che stavano litigando tra di loro, ho trovato due giocatori che litigavano tra di loro, ho perso così tanto il controllo che ho preso un lettino e l’ho scaraventato verso di loro. In pullman poi ho visto il preparatore atletico Antonio Pintos che camminava male e mi disse che gli avevo tirato contro il lettino. Bisogna limitare al massimo i momenti in cui perdi il controllo e cercare di rendere queste situazioni istruttive. Ho sempre cercato di essere comunicativo, se ti arrabbi ogni volta non ti ascoltano più. La cosa più difficile da insegnare? Io ho imparato a giocare per strada, non ho fatto il settore giovanile, sono cresciuto nel mio paese fino a sedici-diciassette anni. Da allenatore ho cercato di tirare fuori tutta la mia esperienza e metterla al servizio dei giocatori. Quanto è difficile per Pozzo e Cellino passare dalla B alla A in Inghilterra? Noi abbiamo perso i play-off al Watford e pensavamo di aver trovato la soluzione visto che eravamo andati così vicini all’obiettivo. Credevamo che sarebbe bastato solo qualche accorgimento e, invece, non è stato così. E’ un campionato da prendere con le molle, non ho mai visto che la capolista deve soffrire per vincere in casa dell’ultima in classifica, il Leicester deve giocare tutte le partite al meglio se vuole essere promosso in Premier League. Negli ultimi anni le retrocesse non sono risalite, ce l’ha fatta solo il Qpr in questa stagione. Non bisogna mai arrivare con la mentalità italiana pensando che sia tutto facile. Quest’anno abbiamo sbagliato a credere che con tutti giocatori stranieri potevamo vincere il campionato. Giocatori inglesi da proporre in Italia? E’ una questione di cicli, è difficile attirarli, loro stanno vivendo il nostro momento degli anni ’90. Bisogna avere chiarezza e comunità d’intenti. Scudetto al Napoli? In Italia si fa spesso l’errore di pensare solo a vincere, è molto più importante fare le cose bene, poi i risultati verranno. L’imperativo di vincere mette solo pressioni, non porta da nessuna parte.”
18:22- Zola è presentato da Antonio Corbo come l’ultima bandiera del Napoli, il collega Emilio Marrese, invece, lo celebra con le storiche parole di Gianni Mura: “Interpreta il calcio come una tela da dipingere. Il ragazzo che faceva sorridere il pallone”
18:21- Zola arriva a Piazza Del Gesù. Ecco alcune foto dei nostri inviati:
Gianfranco Zola è arrivato a Piazza del Gesù per il dibattito “Il calcio si fa al mare” che si tiene nell’ambito della rassegna “La Repubblica delle Idee”.
Dai nostri inviati Francesco Pugliese e Antonio Balasco
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