Corrado Ferlaino, ex presidente del Napoli, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere del Mezzogiorno.
Ingegnere Ferlaino, ci racconta il suo calcio?
«Passione e fantasia, attaccamento ai valori, alla maglia. E soprattutto amore smisurato, che ti portava a rischiare tanto pur di vincere. I presidenti dei miei tempi erano mecenati: Moratti, Sensi, Agnelli, amavano i propri tifosi e mettevano a repentaglio le proprie casse economiche pur di provare a conquistare scudetti e coppe. Oggi in Italia ci sono gli americani, gli indonesiani per i quali il calcio è soltanto affare, business. Senza amore ma soltanto con la logica del calcolo. Cosa entra e cosa esce, questo l’unico criterio con cui vanno avanti le nuove aziende del calcio in Italia. E non è che i risultati sportivi siano migliori. Anzi, il campionato italiano non riesce ad esprimere una Nazionale all’altezza e soprattutto non ha una squadra che riesca a qualificarsi ad una semifinale di Champions».
Le società sono aziende che devono far quadrare i bilanci.
«Sicuramente ed è importante che una società di calcio sia sana dal punto di vista economico. Ma mi piacerebbe percepire un po’ di passione in più rispetto alla fredda logica del calcolo, rispetto all’unica cosa che conta e cioè la spartizione dei diritti televisivi. Presi Maradona ad una cifra che oggi sarebbe ridicola ma a quei tempi era una follia. Lui ci fece incassare tanto, ma io rischiai perché Diego poteva farsi male anche dopo due settimane».
Il Napoli è una realtà sana da questo punto di vista.
«Di questo bisogna ringraziare De Laurentiis, che ha avuto lo svantaggio di ripartire dalla serie C, ma che ha ricominciato dopo il fallimento senza la zavorra dei debiti. Lui ha fatto bene, ma forse adesso la città chiede anche di vincere».
Lei ha vinto due scudetti, una coppa Uefa, una supercoppa e una coppa Italia. Come ci è riuscito?
«Intanto era un calcio molto più competitivo rispetto a quello di oggi. Ma in una sola parola dico che ho rischiato e mi è andata bene. E avevo Maradona».
Il Napoli, però, non ha mantenuto a lungo certi livelli.
«Per un decennio ci sono riuscito. E’ chiaro ho fatto anche io degli errori come tanti altri presidenti dell’epoca che come me ci mettevano amore e passione e abbiamo pagato di tasca nostra».
Il Napoli di oggi è attrezzato per vincere?
«Da tifoso le dico di sì. I giocatori del Napoli sono i migliori in assoluto per me. Ma io continuo a vivere di sogni. Sa, qual è il mio sogno di oggi? Che a Bilbao, nella bolgia del San Mames, loro attaccheranno e il Napoli vincerà con le ripartenze. La qualificazione è possibile».
Questo il sogno, la realtà?
«Che per disputare la Champions occorrono almeno uno-due giocatori di livello mondiale per essere all’altezza di squadre come Barcellona, Real Madrid e i club tedeschi. La qualificazione dà molti soldi ai club, ma ce ne vogliono altrettanti per essere competitivi».
Lo scudetto?
«Tutte le squadre di vertice si sono rinforzate, il Napoli può giocarsela anche perché il livello del campionato italiano resta medio».
Avrebbe appoggiato Tavecchio?
«Non esistono più la Federcalcio di un tempo e neanche l’autorevolezza della Lega di serie A. Oggi le altre leghe hanno troppa voce in capitolo, votano pure gli arbitri. Conosco Tavecchio, l’avrei votato ma soltanto perché non c’erano alternative. Albertini si presentava come vicepresidente di una Federazione che ha fallito».
Cori razzisti, la Federcalcio ha depenalizzato la discriminalizzazione territoriale.
«Ha fatto male, soprattutto perché nei confronti di Napoli c’è un odio profondo. Tutti ci hanno sempre insultato e non può passare la teoria della gradualità della sanzione. Devo però dire che tante volte i tifosi si sono approfittati della squalifica delle curve per punire i club che non davano biglietti e tessere in omaggio. Tavecchio avrebbe dovuto trovare una formula migliore, avrebbe dovuto innovare realmente».
Ricorda i cori razzisti nelle trasferte del suo Napoli?
«Ricordo che a Udine mi ritrovai la testa bagnata da saliva. Mi sputarono addosso per tutti e novanta minuti. Al punto che mi chiesi come era possibile produrre tanta saliva».
I fischi, altro tema di stretta attualità.
«Il pubblico è sovrano ed ha il diritto di esprimere il proprio disappunto, ma non focalizzandosi su un solo giocatore come è accaduto a Insigne».
Forse perché è napoletano?
«Sì. Nei confronti dei napoletani c’è maggiore accanimento. Questo vale per i giocatori come per i presidenti. Ed io ne so qualcosa rispetto a De Laurentiis. Però non va bene reagire come ha fatto il ragazzo. capisco la giovane età e l’istinto, ma dovrebbe chiedere scusa. I tifosi sono esigenti, vogliono vedere che in campo si dà l’anima. Iuliano, napoletano, non è mai stato fischiato. E sa perché? Quando giocava con noi, il Milan gli offriva cifre molto più importanti, lui ha sempre rifiutato. Era una bandiera, quelle che non esistono più. E… sua moglie mai sarebbe intervenuta in una questione di campo. Altri tempi. Il calcio che mi appartiene: passione e fantasia. Il calcio dei mecenate e dei romantici».
Fonte: Corriere del Mezzogiorno
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