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Fassone: “A Napoli è tutto più complicato. In 7 anni successi esaltanti per De Laurentiis”

Riportiamo una parte del pensiero del Direttore Generale del Napoli Marco Fassone, espresso al primo Focus Group “Progetto di riforma dei campionati” organizzato dalla IDF Sport Management & Consulting e svoltosi al Teatro Comunale di Atri (TE), su questo tema di estrema attualità: “Parto dal piccolo ed in questo caso dalla dimensione locale di Napoli per poi arrivare al discorso più generale. Io non sono personalmente così preoccupato del fatto che al sud e a Napoli in particolare i ricavi procapite che si ottengono dai nostri tifosi siano più bassi di quelli che si ottengono al nord o nell’Europa continentale. 

Viviamo una realtà sociale che è diversa, più popolare di quella del nord. Io ricordo anni fa, quando ero ancora alla Juventus, andai un giorno ad incontrare i dirigenti, i vertici del Marsiglia per prendere da loro spunti per alcune attività che il Marsiglia svolgeva secondo me in modo intelligente, e rimasi colpito del fatto che a Marsiglia, altra città popolare che ha molte somiglianze con Napoli, la curva costava cento euro, l’abbonamento di curva al campionato francese costava cento euro. 

Mentre a Torino avevamo una filosofia tutta diversa, pochi spettatori ma che pagavano molto. La filosofia di aumentare i ricavi, badare al sostegno economico della società che non a riempire lo stadio. A Marsiglia c’era questa curva dei tifosi marsigliesi sempre piena ma con ricavi estremamente bassi. A Napoli siamo in una fase in cui abbiamo quarantacinquemila spettatori di media per campionato; l’anno scorso Napoli è stata la seconda società per affluenza media allo stadio, e i ricavi dello stadio sono indubbiamente ancora bassi. 

Probabilmente c’è margine di crescita, ma credo che questo margine e la competitività del calcio non debba passare attraverso un ulteriore tassazione, un ulteriore incremento del costo del biglietto per i tifosi specialmente in città come la nostra, ma debba passare attraverso tutta una serie di altre operazioni che potrebbero aiutare il calcio in generale a diventare un po’ più azienda. Sarebbe un po’ riduttivo secondo me se oggi ci mettessimo a dialogare della difficoltà di fare azienda a Napoli rispetto alla difficoltà che c’è di fare azienda a Torino, probabilmente direi dei luoghi comuni, direi cose che molti altri sanno. 

Certamente a Napoli è più complicato fare tutto, fare anche le piccole cose a Napoli è più complicato e per questo credo che i risultati che il Presidente De Laurentiis ha portato in questi sette anni debbano essere guardati sotto una luce particolarmente esaltante perché è riuscito ad ottenerli in un mondo che è particolarmente difficile per mille ragioni”. Ecco la seconda parte dell’opinione del Direttore Generale del Napoli Marco Fassone, rilasciata presso il primo Focus Group “Progetto di riforma dei campionati”, organizzato dalla IDF Sport Management & Consulting e svoltosi al Teatro Comunale di Atri (TE), sul problema di come incrementare i ricavi per le società: “Credo però che il tema grosso sul quale siamo chiamati un po’ tutti a ragionare sia quello più generale della competitività del calcio. 

Nella materia di origine si pensava al calcio italiano, quindi alla competitività del calcio italiano e del recupero in competitività del calcio italiano a livello internazionale. In realtà è un momento difficile non soltanto per l’Italia, è un momento difficile per la Spagna, è un momento difficile per l’Inghilterra. Forse dei cinque paesi chiave del calcio europeo solamente Francia e Germania hanno una situazione, soprattutto la Germania direi, la Francia neanche tanto, un po’ diversa dalla nostra e quindi il recupero della competitività del calcio non può che passare attraverso l’incremento dei ricavi del calcio attraverso mille modi in cui si possono avere. 

Il recupero e la crescita della spettacolarizzazione, in modo tale da rendere l’evento calcistico il più possibile spettacolare e quindi sempre più piacevole per il pubblico da stadio e per il pubblico virtuale da televisione, nel rispetto delle leggi dell’economia che è il grande punto di domanda. Se mi è consentito un minuto di affresco e di scenario, in questo momento noi ci troviamo con tre modelli: quello italiano, quello spagnolo e quello inglese che rappresentano le tre forze storiche del calcio europeo. 

La Germania ultimamente ci ha superati ma i tre paesi chiave, i tre paesi cardine da sempre sono stati Italia, Spagna e Inghilterra che hanno dei modelli calcistici che non riescono a sostenersi da un punto di vista economico per ragioni diverse tra loro perché sono tre modelli diversi. L’Inghilterra ha la stragrande maggioranza dei club indebitati: nel momento in cui sono stati acquisiti, ciò è avvenuto con delle forme di acquisizione dei club che hanno portato dei debiti altissimi, che la gestione ordinaria dei club non riesce a compensare con un buco che di anno in anno si allarga. 

La Spagna, e ne siamo venuti a conoscenza diretta anche noi con le prime giornate di sciopero con dodici club che l’anno scorso non sono riusciti a pagare i salari ai loro giocatori, vive una realtà con i due top club che fatturano quattrocentocinquanta milioni di euro e non riescono ad essere in equilibrio. Il Barcellona, che tutti indichiamo come modello sportivo straordinario e probabilmente lo è da un punto di vista sportivo, l’anno scorso ha chiuso in perdita il suo bilancio nonostante dei ricavi che sono straordinari. 

Ci sono ancora oggi tre club della Liga spagnola che sono in amministrazione controllata, con un movimento che non riesce in alcun modo ad autofinanziarsi. In Italia abbiamo i tre club che storicamente rappresentano l’Italia nel mondo, i tre club più ricchi e quindi l’Inter, il Milan e la Juventus, che non riescono a chiudere i loro esercizi in utile ma che chiedono ogni anno ai loro azionisti di ripianare delle perdite. La Juventus non lo aveva mai fatto, dopo calciopoli ha avuto ed ha ancora un momento complicato, l’Inter e il Milan hanno invece da anni questo tipo di difficoltà nella propria gestione. 

Quindi tre modelli che per ragioni diverse tra loro, perché non si assomigliano tra loro, non riescono a garantire ai club importanti la capacità di finanziare la loro impresa, la loro azienda. Quando il mio Presidente De Laurentiis dice ogni volta che può – ma noi ci dimentichiamo che siamo diventati delle Spa, noi ci dimentichiamo che dal 1996 le società di calcio in Italia per legge sono società per fini di lucro ed in realtà viviamo ancora con un sistema regolatorio che è anteriore a quella data e che quindi ci impedisce di fatto, per molte ragioni di poter esercitare la nostra impresa con le regole tradizionali delle imprese ha gran parte di ragione”.

Fonte: Worldsoccerscouting

La Redazione
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