Sempre più protagonista con la maglia del Napoli, ma c’è un passato alle spalle dell’approdo in azzurro di Fabian Ruiz. Lo racconta Pepe Mel, l’allenatore che lo ha lanciato in Liga e lo conosce dal 1994.
Che tipo di giocatore è?
«Fabian ha una visione di gioco eccellente. E al Napoli e con Ancelotti può solo migliorare»
Viene da uno dei settori giovanili con più talento del calcio spagnolo, quello del Betis Siviglia, ma come era Fabian Ruiz che lei che lo ha conosciuto nel 1994?
«Un ragazzino di 18 anni molto alto ma anche molto timido e introverso. Non parlava quasi con nessuno, ma poi appena si allacciava gli scarpini parlava in campo con il suo sinistro».
Che ruolo ebbe nella promozione in A del Betis nella stagione 2014-15?
«Non era titolare, ma fu un calciatore importante per il gruppo. E soprattutto si fece le ossa».
L’anno dopo lo fece debuttare in Liga.
«Sapevo di poter contare su di lui. E aveva un credito con la fortuna. L’anno precedente, prima di un incontro importante per la promozione nel quale sapeva che sarebbe stato titolare si infortunò al metatarso. Ricordo le sue lacrime e la sua rabbia per la mancata opportunità. Ma gli dicemmo tutti di stare tranquillo perché il suo momento sarebbe arrivato».
Che pensa della sua decisione di venire a giocare in Italia?
«Onestamente mi ha sorpreso. Fabian è un ragazzo molto legato alla famiglia e al suo ambiente. Pensavo sarebbe rimasto più tempo nella Liga».
È da Real Madrid o da Barcellona?
«Credo che se avesse aspettato un altro po’ di tempo sarebbe finito in una di queste due squadre. Il suo è un talento innato e in Spagna un centrocampista come lui è un lusso. Ma il campionato italiano è un’ottima palestra e se ha accettato di sposare il progetto del Napoli è perché ne era convinto. Per me ha fatto benissimo».
Se poi ad allenarlo è Ancelotti…
«Stiamo parlando di un grande tecnico con il quale può parlare spagnolo, si può confrontare e grazie al quale sicuramente migliorerà tanto. Ho visto che ci ha messo un po’ ad ingranare, anche per via di un infortunio. Ma lui è così, all’inizio gli è difficile ambientarsi. Poi però prende il sopravvento il suo talento. Con me giocava anche davanti alla difesa, anche se per ottimizzare le sue qualità io lo farei giocare più sulla trequarti».
Qual è la sua migliore qualità?
«La visione di gioco. È in grado di eseguire dei passaggi impensabili. Inoltre chiede sempre la palla ed è sempre disposto ad aiutare i compagni. L’importante è che giochi sempre verso la porta e mai di spalle. Ricordo che quando iniziò a giocare con me lavorammo molto sulla ricezione del pallone e gli dissi di dover sempre avere almeno un lato libero per pensare la giocata».
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