Il sentimento identitario è una delle colonne portanti del tifo napoletano. Il fatto che Napoli sia rappresentata da una sola squadra è emblematico per la storia calcistica della società e del senso d’appartenenza dei propri tifosi. Non esiste nient’altro, non può esistere altro. Sono notevoli le forti rappresentazioni d’amore da parte degli stessi tifosi, che erroneamente vengono definite come folkloristiche. In realtà, sono semplici azioni volte a manifestare a 360 gradi la propria appartenenza alla squadra. ‘Perché il Vesuvio è la terra che amiamo’ recita un famoso coro dello stadio Diego Armando Maradona.
Già, il Vesuvio. Terra rappresentativa della storia di una città e di una squadra spesso protagonista nei cori di altre tifoserie. C’è chi parla di razzismo, chi li definisce cori da stadio. La realtà è che la percezione di cosa sia la discriminazione territoriale non sia ancora chiara del tutto, anche se a prescindere da qualsiasi valutazione gli stadi sono un mondo a parte.
E nel meraviglioso mondo del calcio fanno parte quelle associazioni di tifosi che si riuniscono per guardare la partita insieme, magari allo stadio, ancor meglio se in trasferta. Perché fuori casa si può far sentire la propria voce, essere presenti al di là di tutto e cantare, cantare e cantare, anche se la voce non c’è e il risultato non è proprio quello sperato.
La redazione di IamNaples.it per approfondire i temi legati al sentimento identitario da parte del tifo napoletano ha contattato in esclusiva Tony Manna, che fa parte del Napoli Club Cercola Partenopea, una delle associazioni più attive sul territorio che si preoccupa di far sentire la propria voce a sostegno della maglia azzurra. Tony a riguardo ha scritto anche un libro dal nome ‘Dal Vesuvio alla Curva B – L’antica Taverna-Feudo Biancoazzurro’ dove descrive al meglio la storia di Cercola ricca di aneddoti senza tempo e ovviamente l’amore per il Napoli.
Cercola nell’immaginario collettivo è spesso considerato un luogo con tanti tifosi della Juventus. Però il vostro club sta assumendo sempre più importanza. Puoi spiegarci la storia e i suoi obiettivi?
“Questo libro è un qualcosa di veduta ancora più ampia rispetto a Cercola Partenopea, che è una sua parte. Appartiene a tutto il Paese, a tutto il movimento, ma anche molto oltre. Sulla questione Juve c’è tanta cattiva informazione. All’interno del territorio cercolese c’è la sede di questo club, che è a capo di otto sedi distaccate: Pozzuoli, Battipaglia, Nocera, Pagani, Lauro… Sono tutte sezioni di Cercola. Quindi la somma di tutti questi soci in giro per la Campania genera il numero dei soci del club di Cercola. Non è che sono tutti juventini. La stragrande maggioranza è assolutamente napoletana, e a dir la verità dopo ci sono più interisti che juventini. All’immaginario collettivo piace sintetizzare con superficialità. Cercola Partenopea si è prefissata già dalla sua nascita l’obiettivo di portare un tifo identitario, cosciente, culturale. Per culturale non s’intende da salotto o d’élite, anzi. E’ del popolo, ma va nella coscienza e nella conoscenza delle proprie radici e quindi il libro non è altro che un coronamento di un percorso che dura da dodici anni. Sono in prima linea a Cercola da molto tempo, ben prima della fondazione del Club”.
“Dal Vesuvio alla Curva B, l’antica taverna – feudo biancoazzurro” è il titolo del libro scritto per rimarcare ideali identitari e un forte senso d’appartenenza. Ce ne puoi parlare?
“Assolutamente sì, io parto da un concetto espresso nel libro. Il tifo è l’esaltazione del noi. L’essere di parte, l’essere noi. In una società così in crisi di identità con la forte influenza della globalizzazione, delle tecnologie, tutto va veloce, ci fanno perdere tradizioni, radici e identità. Dal Vesuvio alla Curva B è proprio l’opposto. E’ stato fatto un lavoro di più di cento interviste con gli anziani del Paese, che hanno raccontato storie di ogni tipo. Proprio il tramandare da padre in figlio che si è perso ho voluto metterlo su carta. Fa parte delle cose che sarebbero scomparse col passare degli anni, ho visto utile scriverle. Ci sono considerazioni su Cercola, sulla sua identità. Cinquant’anni di storie di tifo, raccontando che c’è sempre stata una staffetta dal 1975 al 2024, c’è sempre stata almeno un’aggregazione che ha rappresentato Cercola, con la presenza di vecchi racconti e foto. Vecchie glorie di Cercola che sono diventate anche campioni del mondo portati alla luce, le eccellenze e i fenomeni successi nei vari anni. Fino ad arrivare a una passeggiata senza epoca che ho immaginato per le vie di Cercola dove racconto miti, leggende della zona, la storia di una strage fascista che è successa per le vie della città… Il libro doveva finire così, ma man mano che io scrivevo il Napoli si avvicinava sempre di più allo Scudetto. E ho pensato ‘vuoi vedere che proprio nell’anno in cui ho deciso di fare questo testo, riesco a mettere la ciliegina sulla torta?’ Così io che mi sono innamorato della squadra in un Napoli-Cremonese di 89 paganti, record storico negativo di sempre, ho visto tutta la mia vita da tifoso davanti agli occhi. E questo finale viene raccontato attraverso Udinese-Napoli all’interno del mio cuore e all’esterno del Club. Quel giorno ho fatto un sacrificio, sono rimasto a Cercola dopo tante trasferte per festeggiare. Tanta gente a Cercola non l’ho mai vista”.
Soprattutto quando si parla di calcio, il tema della discriminazione è sempre molto caldo. A volte i cori beceri vengono proprio da napoletani che tifano per le squadre del Nord. Cosa ne pensi?
“Dei cori discriminatori non m’interessa. Ho una visione più curvaiola della questione, dunque se io canto ‘Milano in fiamme’ sono consapevole che loro cantano ‘Vesuvio lavali col fuoco’. Non m’interessa nemmeno. Ti posso raccontare che mi fa star male l’ironia e la goliardia su ‘Oje vita oje vita mia’, ma l’odio dell’avversario mi dà la carica per controbattere in maniera ancora più decisa”.
Pensi che l’arrivo della Primavera del Napoli a Cercola abbia rappresentato un volano per la crescita di ‘Cercola Partenopea’?
“Il settore giovanile del Napoli a Cercola è stata ovviamente una bella opportunità per il Paese e noi lo abbiamo sempre seguito, anche se negli ultimi tempi con meno continuità. La presenza della maglia azzurra fa sempre molto piacere e spero di riuscire a portare qualche volta anche lo striscione degli ultras”.
Cosa ti auguri per il futuro del club e della percezione del tifo di Cercola?
“Nel mio piccolo sono riuscito ormai da dodici anni a diventare un punto di riferimento, in qualche caso anche preso da esempio. Non lo dico per vantarmi, io mi sento su un percorso, non su una meta. La meta sarà quando da anziano smetterò di fare quello che faccio oggi perché non avrò più le forze (ride, ndr). E’ tutto un percorso, la napoletanità si vive, io sono mosso da tutti i principi di difesa reale, attiva, cosciente e culturale della mia città. Abbiamo dato a Cercola una maggior considerazione di se stessa, un po’ come il napoletano tanti anni fa quasi aveva vergogna di dire che veniva da Napoli, il cercolese credeva poco nella sua città. Man mano stiamo cercando di far capire che ogni città deve essere amato, rispettato e ne va approfondita la storia e la cultura”.
Nico Bastone
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