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CdS – Mazzarri: «Juve da scudetto ma il Napoli c’è»

 

Oltre 2009, ottobre 2011: due anni, con dentro una Napoli conquistata di slancio, partendo dall’inferno delle retrovie e atterrando nel bel mezzo della Champions. Tutto Mazzarri, dal fondo d’una classifica che all’epoca languiva, sino alla cima d’una dimensione europea che in­vece brilla: la confessione, a trecentosessanta gradi, riempie una pausa di riflessione conse­gnata dal calendario e attraversa ogni segmen­to di un biennio infarcito di soddisfazioni. Il Mazzarri pubblico e quello privato emerge in un botta e risposta su qualsiasi tema: dal chi era quel centrocampista un po’ naif acco­stato ad Antognoni al chi è quest’allenatore che ha trascinato il Napoli al tavolo delle grandi. E poi: il suo carattere, le sue simpatie, le sue (pre­sunte) antipatie, gli amici, la sintonia con Pep Guardiola, il modello-Barcellona ma anche La­vezzi e Hamsik Cavani e persino Insigne, l’ulti­mo talento in salsa partenopea. Mazzarri non si tira indietro, va all’attacco, difende il proprio calcio, traccia le tappe d’una carriera senza macchia, ironizza su se stesso e sulla sua panchi­na immacolata («mai esonerato, c’è sempre una prima volta»). Parla da allenatore, parla da gio­catore, parla da manager: «Da aziendalista, per­ché io mi sento tale». E, intanto, imbraccia una penna, butta giù due dati, pardon due date: otto­bre 2009, ottobre 2011, com’eravamo e come sia­mo cambiati. WM: lo sche­ma ( del Terzo Millennio) è servito…

Walter Mazzarri, secondo noi, è il miglior allenatore del campionato italiano: lei pensa di condividere il giudizio o ritiene che sia meglio andare avanti con cautela?

 «Intanto vi ringrazio. In passato quando non mi venivano riconosciuti i meriti ci restavo male, sono stato a lungo sottovalutato, ma ora sentire gli elogi mi imbarazza. Qui ave­te Guardiola in prima pagina, ecco, lui è davvero un grande. Il successo di un allena­tore dipende anche dalla società, dal grup­po di giocatori, io comunque credo di avere ormai un’esperienza tale da essere pronto a gestire qualsiasi panchina».

Quale può essere il margine di crescita del­l’allenatore Mazzarri?

«Chi mi conosce, al di là di come posso ap­parire in pubblico, sa che sono uno che si mette sempre in discussione».

Dovesse immaginare il suo futuro, diciamo tra dieci anni, lo pensa più all’estero o in Italia?

«L’estero mi affascina, questo è l’ottavo an­no in Italia, credo di aver visto un po’ tutto».

Cosa è cambiato per lei nell’allenare una squadra che ora è vista tra le favorite?

«L’ho detto anche ai ragazzi: una volta si parlava solo di Milan, Juve, Inter e Roma, ora ai ragazzi ho detto che ogni squadra ver­rà a giocare la partita della vita. Guardate la Fiorentina, che era davanti a noi negli ulti­mi anni, beh, quando è finita in pareggio al San Paolo si sono abbracciati e questo è si­gnificativo ».

La prima avventura di Champions l’ha por­tata a cambiare qualcosa nel modo di gesti­re la squadra?

«Nel momento in cui ci siamo messi a par­lare col presidente, abbiamo convenuto su una cosa: quando siamo in Champions io metterò la squadra che mi dà più garanzie in Europa, e ne risentirà di più il campionato. L’anno scorso la priorità era il campionato. Non abbiamo ventidue giocatori dello stes­so livello, per cui ci saranno momenti in cui la coperta è un po’ corta. Col Chievo ho do­vuto cambiare tutto. A livello scientifico si era capito che certi giocatori, per fare par­tite come quelle a Manchester, col Milan e l’Inter, sarebbero stati tutti a rischio infor­tuni senza un recupero normale».

L’estate scorsa c’è stato un momento in cui lei ha pensato che il Napoli non sarebbe sta­to il suo futuro, può dire se qualche squadra l’ha fatta vacillare?

«Non ho mai preso in considerazione l’ipote­si di un’altra squadra, io le richieste ce l’ave­vo dall’estero, in Italia, da tutte le parti, è normale. Io nel Napoli devo sentirmi libero di poter esprimere il mio calcio. Quando ci siamo confrontati tutto è stato risolto. Un al­lenatore incide molto in un’economia azien­dale ».

Più del dieci per cento, come disse Capello.

«Un allenatore bravo può fare la fortuna co­me no».

Ma allora lei guadagna poco…

«Per me il tecnico è il responsabile del re­parto più importante. Deve guadagnare per quello che produce: va giudicato dal valore dei giocatori, in base all’ingaggio, si fa il to­tale degli ingaggi e si stila una classifica. Poi quello che si raggiunge in classifica è meri­to o no del tecnico: se una squadra ha il set­timo monte ingaggi e arriva quinto, va pre­miato l’allenatore, se arriva nono, allora va punito. Se poi il valore dei giocatori aumen­ta, lì conta l’allenatore».

Se lei prendesse la percentuale sul valore di mercato dei suoi giocatori, potrebbe vivere di rendita.

«Quello è uno dei parametri. Prendete l’ul­timo anno della Reggina, ci sono i vostri giornali a confermare: venne fuori che i club con i bilanci migliori erano Juve e Reggina, eravamo diventati una società modello».

Parla da allenatore presidente, più che da  allenatore manager.

«Al Napoli, con Ferlaino, Ulivieri mi presen­tò come allenatore dei portieri, mi dissero: Mazzarri più che allenatore è un ragioniere. Beh, quella cosa mi è rimasta. Gli sprechi, per esempio: ventisette giocatori in rosa so­no troppi, la società deve pagare giocatori che non si valorizzano. Lo dicevo a Spinelli a Livorno, a Foti alla Reggina, e i fatti mi hanno sempre dato ragione».

Il prestito di Insigne al Pescara si spiega in questa ottica.

«Naturalmente tutte le cose non le faccio io, c’è un direttore sportivo bravissimo che si chiama Bigon. Quando tu vai a Napoli dove si pretende giustamente sempre di più, è difficile coniugare la qualità dei giovani, al­lora bisogna trovarsi d’accordo. Se la socie­dice tà ti dice centrocaslssificsa, allora Insigne lo tieni. Fideleff fa una grande partita col Chievo, poi fa un errore e viene massacra­to ».

Insigne è così forte?

«Il ragazzino proprio con voi è stato simpa­tico. Ha parlato di quando lo feci esordire in A. A Livorno era pronto l’ultimo cambio, sia­mo andati sul due a zero e allora ho deciso di far giocare Insigne anche per un minuto, perché lo avrebbe fatto maturare. Lui è un campioncino, poteva fare l’alternativa a La­vezzi e Hamsik, però abbiamo deciso fosse meglio farlo giocare a Pescara. Se Mascara o Santana fanno una partita e non vanno be­ne, vengono giudicati per quella prova, se fai giocare un ragazzo e sbaglia, magari col Villarreal, poi rischi di bruciarlo».

Chi ha visto la partita con l’Inter dello scor­so campionato e di quest’anno ha notato che c’è una differenza di personalità.

«Grazie per questa domanda. La crescita si è già vista, io non ho la preoccupazione che noi si possa sbagliare una partita con le grandi squadre, la vera crescita sarà con le altre. Alla ripresa del campionato ci sarà il Parma, ecco, lì voglio vedere se giocheremo con lo stesso spirito. I tre punti valgono sem­pre tre punti, contro chiunque».

Lo 0-3 di Milano è la vittoria più autorevo­le? Le ha dato noia quello che è successo do­po con le polemiche sull’arbitraggio?

«Il giorno dopo mi sono riviste le immagini della partita. Prima del rigore c’è stato un fallo su Pandev, quello era rigore, vuol dire che il Napoli aveva creato presupposti per passare in vantaggio. L’ammonizione di Obi non c’era, ma precedentemente su Maggio c’era un fallo netto, si vede l’arbitro che si avvicina a Obi e lo perdona, dicendogli che alla prossima lo avrebbe ammonito, quindi era già un vantaggio dato all’Inter»

 Il rigore su Maggio?

«Intanto era comunque un’azione pericolo­sa, io ancora vedo che il piede d’appoggio è fuori, ma mezzo busto è a cavallo della linea. Ammesso che non sia dentro, ma al massi­mo si poteva dire che l’ammonizione su Obi c’era, e quindi l’espulsione, e anche se non fosse stato rigore, ti dà una punizione e co­munque con un uomo in più la partita, tolto il rigore, è finita due a zero. Noi abbiamo battuto l’Inter con il gioco, poi si sa che gli episodi aprono e chiudono una partita. Si pe­nalizza una squadra che ha fatto un grande gioco, noi siamo andati in difficoltà su tre ti­ri, di cui due avevamo giocatori in terra e i nerazzurri non si sono fermati…».

Teme ripercussioni in futuro, dopo le pole­miche sull’arbitro?

«Io non temo nulla, non voglio temere nien­te ».

Milan e Inter stanno avendo problemi di in­fortuni…

«… ah, volevo dire anche che il fallo di Za­netti su Lavezzi era da ammonizione.. Tutto qui, scusate l’interruzione. Dicevate?».

… che considerando i problemi delle mila­nesi, teme di più la Juve per lo scudetto?

«Questo campionato è bellissimo. Vorrei che tutti i campionati fossero così, si sta veden­do un bel livellamento verso l’alto».

La squadra da battere?

«Noi, Inter, Milan facciamo la Champions. Portano via otto-dieci punti. Buffon che è un ragazzo intelligente, dice che il Napoli gli piace ma fa la Champions. E non sottovalu­terei la Roma, è un grande club, sta comin­ciando a giocare come vuole il suo allenato­re».

Che cosa sta portando di nuovo il tecnico spagnolo?

«Si vede il palleggio, la cultura del gioco, il fraseggio non è detto che piaccia più della verticalizzazione, poi bisogna vedere dai ri­sultati. Hanno bisogno di tempo, hanno rin­novato molto. Anche la Lazio è una grande squadra, è in Europa League, come logica farà come abbiamo fatto noi l’anno scorso».

Può lottare per lo scudetto?

«Può succedere di tutto».

Ma qual è la favorita?

«La Juve, perché non ha le coppe. Io se al­leno tutta la settimana posso incidere di più sui giocatori
».

Le dà noia il fatto di sentirsi sempre dire di dare soprattutto la grinta ai suoi, un po’ co­me succede con Conte?

«Mi dà fastidio… mi fa arrabbiare, perché il novanta per cento riduce tutto a questo. Se io metto dei gladiatori, li frusto prima, cosa fanno? Se non sanno dove andare, finiscono per attaccare il cancello dello stadio. Ci vuo­le organizzazione di gioco».

Le avrà fatto piacere leggere che Moratti le ha fatto i complimenti per il gioco.

«E’ ancora presto, ma l’anno scorso le due squadre che hanno fatto più della griglia di partenza sono Napoli e Udinese e quindi i meriti vanno dati a Mazzarri e Guidolin».

Ma a lei qual è il calcio che le piace di più?

«Il mio sarebbe che quando abbiamo noi la palla dobbiamo fare manovre tali da mette­re in difficoltà, e poi lasciare poco la palla agli altri».

A proposito di idee di calcio: il ct Prandelli che Cannavaro e Campagnaro non so­no adatti al modulo a quattro, perché gioca­no in quello a tre. Lei che cosa ne pensa?

«Prandelli è un grande, lo stimo tantissimo, lui avrà i suo i motivi, poi posso dire che Cannavaro ha giocato a quattro, Campagna­ro si è allargato come terzino, può darsi che Prandelli abbia notato dei concetti a cui lui si ispira e che non tornano con i nostri. An­che con lo stesso modulo si può essere diver­si ».

Campagnaro ha ottenuto in carriera meno di quanto meritasse?

«Non per pigliarmi meriti, me lo diceva Fru­stalupi (Niccolò, il vice allenatore, ndr): è migliorato tantissimo dagli anni della Sam­pdoria a ora, è evoluto tanto. Ora credo che sia uno dei migliori difensori europei. Prima aveva problemi fisici, ora li ha risolti grazie al nostro staff».

Lei dice che l’obiettivo è la continuità, dun­que bisogna arrivare almeno tra i primi tre, visto il terzo posto dell’anno scorso.

«Mi dà la penna per favore? (comincia a scrivere sulla prima pagina del giornale, ndr), Juve, Milan, Inter, Roma, Lazio, noi, la Fiorentina, sì anche la ho guardata, è forte. Poi dipende sem­pre dalla griglia. In Champions siamo quarta fascia, se passassimo il girone sa­rebbe bellissimo. Poi, certo, cercheremo di andare avanti il più possibile, ma que­sto non vuol dire che lo faremo. Il Bayern è fuori categoria, la corsa è sul Manche­ster City».

Un pari con il Bayern?

«Io non gioco mai per il pareggio».

Quindi il titolo domani sarà: batto il Bayern.

Sorride e non risponde.

Hamsik, Lavezzi e Cavani possono miglio­rare?

«Tutti. Lavezzi, per esempio: il mio cruccio è che oltre a fare assist per tutti, potrebbe fare più gol. Usa il sinistro come il
destro, ma a volte se ne scorda. Lui ha dei margini di miglioramento, è cresciuto tanto. Marek è un campione nella mente, è un ragazzo di ventitre-ventiquattro ma ci parli come un veterano. Edi ha quella voglia, quell’atleti­smo…».

Il Napoli ha tutto per puntare in alto.

«Dico che solo che questa squadra può cre­scere ».

Lei ha cambiato gli occhiali, prima li aveva celesti o ci sbagliamo?

«Sì, li avevo colorati».

Come mai li ha cambiati?

«Non ricordo».

Qualcuno ha scritto che li ha cambiati dopo una sconfitta…

«Nooo, diciamo che si sono rotti…».

Fonte: Corriere dello Sport

La Redazione

M.V.

 

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