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CdS – Fernandez: “Appena arrivato a Napoli mi sono subito sentito a mio agio, come a Buenos Aires”

Il difensore argentino si sente già a casa

Tutte le stra­de conducono a Baires e in questo an­dirivieni in cui il calcio diviene un op­tional, c’è l’essenza di affinità nasco­ste persino nelle valigie degli emi­granti. Tutte le vie conducono a Na­poli, che osservata dall’Argentina è la terra promessa, un’oasi in cui la­sciarsi andare, viaggiando con la fan­tasia. Napoli-Baires è il viaggio dei sogni di Federico Fernandez, venti­due anni e un destino da scrivere con le proprie mani: perché ogni capito­lo di questa storia infinita abbia il personalissimo lieto fine.

Il suo primo impat­to, Fernandez.

«Mi hanno colpito le analogie tra i due popoli e anche quella tra le due città. Più che simili, sembria­mo uguali: gli stessi profumi, lo stesso ca­os, lo stesso clima».

Sarà per questo che è difficile re­sistere al richiamo?

«Troppo giovane per dirlo, però ne ho il sospetto anch’io. Qui tutto ricon­duce, calcisticamente, a Diego; però dal punto di vista ambientale, la so­miglianza è impressionante sin da quando atterri a Capodichino. Que­sta è la miglior città possibile per noi argentini».

Il panorama, da casa sua, non è male.

«Ho scelto di abitare a Posillipo, per godermelo tutto. Il mare sembra di toccarlo. E poi lo sguardo si perde in lontananza. Ho la fortuna di avere uno zio che è impegnato qui a fare l’imprenditore e mi sta guidando. Ie­ri, sono stato in barca e ci siamo spin­ti sino a Sorrento. Uno spettacolo del­la natura da restare a bocca aperta».

Lei è arrivato già preparato, però…

«Roberto Ayala, per noi giovani un mito, è amico del mio procuratore e mi ha raccontato la sua Napoli: lui ci ha giocato, la conosce molto bene. E mi ha spiegato i segreti d’un posto in­cantevole ».

Ora che c’è dentro, soddisfatto del­la scelta?

«Di più, molto di più. Ed ho comin­ciato appena a girarla. Aspetto dritte giuste dai miei compagni, che co­munque indicazioni me ne hanno of­ferto ».

Il giovane Fernandez ci ha prova­to anche a scuola.

«Però avendo sempre attenzione per il calcio. Ma io a casa sono stato stimolato a studiare: mio fratello Al­varo è traduttore, mia sorella Matile è prossima alla laurea in amministra­zione di impresa. Mio padre Carlo è commerciante e mia madre Claudia è insegnante. Sono stato capace di ar­rivare all’università, facoltà di scien­ze motorie, per insegnare educazione fisica, ma ho dovuto scegliere».

Meglio centrale difensivo nel Na­poli.

«Sono nato a Tres Algarrobos, a quattro anni andavo a letto con il pal­lone che mi aveva regalato il mio pa­pà, al quale devo molto, perché mi ha sostenuto; quando riuscivo a scappa­re, mi venivano a prendere per stra­da, perché ero lì a giocare. Ho capito presto cosa sarebbe stato di me».

L’italiano non va male.

«L’ho studiato in Argentina, poi so­no arrivato qua e ho trovato un bel po’ di sudamericani. Campagnaro mi ha aiutato immediatamente, con lui ho condiviso la stanza e le sue lezio­ni sono state utilissime».

Ogni mondo è pae­se e i calciatori sono spesso sinonimo di bella vita.

«State tranquilli, non ho tentazioni, non amo le discoteche, né fare tardi. Preferisco una buona cena. A ta­vola, acqua e coca co­la ».

Nel suo menù cosa non deve mai mancare?

«Cotoletta e patatine fritte».

Una abitudine tipicamente milane­se, insomma.

«No, scusi: mozzarella e pomodo­ro ».

Dica una cosa (seria) calcistica….

«Che siamo competitivi, possiamo arrivare in alto, lottare per lo scudet­to ».

La Redazione

A.S.

Fonte: Corriere dello Sport

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