La solitudine del numero uno è in quel viaggio nel futuro destinazione nota: e Napoli, osservata da Guardiagrele, con lo sguardo estasiato d’un fanciullo di dieci anni, Morgan De Sanctis, pareva lontana un’eternità, un puntino disperso nell’immensità. Il tempo è volato via saltellando da un palo all’altro e ora che Napoli è raccolta in quei pugni chiusi, la prossima uscita spericolata è avvolta in un drappo tricolore per infiocchettare la propria storia e chiuder ancora più degnamente la porta dei sogni.
Quel giramondo – gira Europa? – di De Sanctis s’è fermato?
«Io ho messo tenda a Napoli, città mistica, d’un magnetismo quasi ineguagliabile. Chiudo a quarant’anni, se riuscirò a sentirmi sempre vivo: e vorrei farlo qua. Vincendo qualcosa: perché il sogno ricorrente, ora, è il giro in città sul pullman scoperto ».
Un uomo che va controcorrente: mentre gli altri inseguivano l’Italia, lei andava in Spagna, poi in Turchia.
«Da Pescara a Torino e poi a Udine: avevo visto molto del nostro Paese, volevo scoprire nuove culture. Siviglia e Istanbul mi hanno arricchito, lasciandomi dentro esperienze impresse per sempre. Città bellissime, tradizioni e abitudini chiaramente differenti, guai restare blindati in un guscio».
Eppure lei ci vive, in pratica: e quei pali ne sono il simbolo.
«Il mio habitat naturale. Me ne accorsi a sei anni, quando intuii che la mia intelligenza calcistica non veniva supportata dal talento. E allora, come accade in casi del genere, mi ritrovai in porta, dove finiscono quelli scarsi. Dovevo scegliere: o imparavo a parare o andavo a giocare con i soldatini».
Le piacevano però troppo i guanti.
« Ricordo benissimo il primo giorno sul campetto: ero spericolato più degli altri e poi pensavo al momento in cui avrei potuto infilare i guanti, come facevano i grandi. Mio padre impiegò tempo, per regalarmeli».
Da giovane, in casa, era in maggioranza; ora, è in netta minoranza.
«Per papà Giuseppe e per mamma Sara sono arrivati tre maschi: il sottoscritto, Paolo e Rocco. Il destino ha capovolto le tendenze e ora sono circondate dalle donne».
Che occulta: niente foto!
«Di mia moglie Giovanna sono geloso; con le bambine, Sara e Anastasia, sono protettivo».
La privacy con l’ironia.
«Se vuole, mi svelo per intero: sono un perfezionista e anche un integralista. Come genitore, temo che un giorno – presto – mi diranno che sono rompiscatole».
Un maniaco del calcio…
«Ciò che lascia libero la mia professione, appartiene alla mia famiglia. Nessun’altra concessione».
Eppure, a scuola…
« Benissimo, mai problemi. Finii lo scientifico con sacrificio ma senza scorciatoie: mio zio Attilio si sobbarcava 100 chilometri al giorno per fare su e già da Guardiagrele a Pescara; io tornavo, studiavo. Ho fatto gli esami del quarto anno e quelli della maturità da privatista, ma in scuola pubblica. Poi ho provato all’Università, Storia e Filosofia. Ma intanto ero diventato calciatore; mi ero sposato. Magari va a finire che ci provo nella terza età».
Per fare, da grande?
« La tentazione è quella di diventare commentatore televisivo, ma non mi nego altre vocazioni: vedremo».
Il difetto più grosso?
«Sono tecnologicamente ritardato».
Vista dall’estero, l’Italia cosa appare?
«Siamo carichi di cultura, ma potremmo valorizzare il patrimonio meglio. Il calcio è la fotografia del Paese: la nostra superficialità ha prodotto un gap consistente con nazioni cresciute in organizzazioni ed in strutture».
E gli italiani che le piacciono?
«Così, su due piedi, Valentino Rossi e Josefa Idem, che conobbi mentre si allenava a Siviglia, sul Guadalquivir. Personaggi diversi, ma pieni: simboli di generazioni diverse, cioè di tutti».
Da bambino impazziva per….?
«Sono del ‘77: il modello dell’infanzia, a quei tempi, per chi tentava di fare il portiere, era Zenga. Immenso. Ma il calcio, in senso assoluto, per chi cominciava a calpestare l’erba, indossava la maglia azzurra del napoli, la numero 10».
Tutta colpa sua, eh?
«Ho cominciato a girare, sapendo che sarei arrivato qua. E qui resterò. Fino a salire su un pullman scoperto».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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