Il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, in vista del debutto casalingo in Champions League, ha rilasciato un’intervista in esclusiva al Corriere dello Sport:
Presidente, dovendo scegliere, a marzo vorrebbe essere in corsa in campionato o in Champions?
«In Champions».
Nel giro di pochi anni, lei ha riportato il Napoli nella coppa europea più importante. Una sua vittoria?
«No, non è una vittoria. Purtroppo all’estero quando si parla di Napoli spesso non si pensa come a qualcosa di bello dell’Italia e dell’italianità. Era doveroso nei confronti della città lavorare, farla conoscere attraverso qualcosa che funziona, cioè il calcio. Aver rilanciato il protagonismo calcistico in poco tempo ci consente di far accendere i fari su una parte del Paese che merita attenzione ».
Avete bruciato le tappe…
«Ci abbiamo messo il tempo giusto. Quattro anni fa abbiamo assaporato il clima europeo con l’Intertoto. Poi, l’anno scorso, abbiamo fatto l’Europa League. In realtà la differenza io l’ho notata in maniera indiretta cioè attraverso l’attenzione dei media che hanno esaltato l’impresa del nostro approdo al palcoscenico più importante, cioè la Champions. E questo conferma quel che ho sempre detto a Platini».
Cioè?
«Ho sempre criticato il fatto che la terza classificata nel girone di Champions venga recuperata in Europa League: in questa maniera i rapporti di forza vengono alterati. Poi capita che nella Supercoppa Europea prevalga la squadra che ha vinto l’Europa League, come è accaduto all’Inter contro l’Atletico Madrid. Non ha senso svilire in questo modo la credibilità della formazione che ha vinto il trofeo più importante. Così come sono convinto che sia un autogol gioire o stracciarsi le vesti perché la Germania aumenterà un posto in Champions a svantaggio dell’Italia».
La soluzione?
«Lo dico da tempo: bisogna creare un campionato in cui possano partecipare sei, sette italiane, sei, sette tedesche e così via. Poi dato che sono un po’ integralista dico che bisogna mettere insieme le squadre dei cinque paesi calcisticamente più importanti. Capisco che chi punta a essere eletto ha una idea più ecumenica perché ha bisogno di voti, ma i voti non hanno nulla a che vedere con la validità di un campionato. Spesso le istituzioni sembrano non comprendere che il calcio si fa per i tifosi».
Platini non sembra condividere le sue idee.
«Ma qui non si tratta di contrapporsi a Platini, né si tratta di dire, come fa Platini, che De Laurentiis è nuovo del calcio: non credo che l’esercizio della verità si fondi sull’obsolescenza. Noi dobbiamo essere attenti alle evoluzioni tecnologiche. In India il calcio in termini di interesse prenderà forse tra qualche anno il sopravvento sul cricket perché le tecnologie spingono in quella direzione. Nel 2014 scadono gli accordi definiti da Platini a quel punto ci sarà una linea Rosell (Barcellona) più favorevole al presidente dell’Uefa, e una Rummenigge (Bayern) più innovativa. Non si tratta di dividersi, ma di creare un tavolo di concertazione. Ripeto, dobbiamo prestare grande attenzione alle innovazioni tecnologiche altrimenti rischiamo di accumulare ritardi che si trasformano in danni economici».
E’ anche per questo che lei non ha apprezzato il modo in cui la Lega ha venduto il prossimo triennio di diritti televisivi?
«La Lega ha svenduto il proprio futuro, non ha fatto l’interesse di tutti i club che rappresenta perché si poggia su un sistema di votazione che non garantisce l’obiettività delle scelte. Accade solo in Italia che si venda il futuro in maniera superata solo per fare un piacere al presidente del Milan che è anche il presidente di Mediaset».
Perché i suoi colleghi hanno accettato?
«Forse non si sono resi conto della situazione».
Pensa anche a una qualche forma di sudditanza psicologica?
«Non lo so. So solo che è stata compiuta una sciocchezza. Io ora sto verificando gli effetti di questa scelta, poi agirò».
Cosa dovrebbe fare l’Uefa per «vendere» meglio i suoi tornei?
«In primo luogo i campionati nazionali dovrebbero articolarsi su sedici squadre. In questa maniera ci sarebbero più date e si potrebbe organizzare un vero torneo europeo a quaranta squadre: otto club per cinque nazioni, Italia, Spagna, Francia, Germania e Inghilterra. Con lo strumento della pay per view potremmo aumentare in maniera vertiginosa l’attuale fatturato della Champions che si aggira intorno al miliardo e mezzo. Più un film è interessante e maggiori sono le possibilità che sia un grande successo. Lo stesso discorso vale per il calcio. Quando in B c’erano contemporaneamente Napoli, Juventus e Genoa tutti i media sottolineavano che l’interesse degli appassionati di calcio si era diviso sostanzialmente a metà: il 50 per cento guardava la A l’altro 50 la B. Sky quell’anno spese sulla B un sacco di soldi che poi non ha più investito. Un grande campionato europeo stimolerebbe l’attenzione del pubblico e il protagonismo di calciatori e allenatori».
Voi presidenti a volte sembrate quasi disinteressati a vendere meglio il vostro «prodotto».
«E’ vero. Sky ha fatto degli spot stupendi sul rugby, per la spettacolarità che esprimevano. Noi, invece, non siamo stati capaci di promuovere il campionato che doveva partire. Eppure con i nuovi acquisti avremmo potuto metter su degli spot stupendi da mandare in onda per due settimane prima del fischio d’avvio che sarebbero diventate tre con lo sciopero. Invece, noi portiamo le telecamere negli spogliatoi in maniera un po’ squallida».
Perché, allora, non create una Tv della Lega visto che le immagini le producete già?
«La vorremmo fare. Il fatto è che prima abbiamo perso un anno per dividerci dalla B, poi un altro anno per litigare su quattro soldi che ci dovevamo dividere. Il problema nostro è che troppe società non si sono rese conto della grande rivoluzione avvenuta nella seconda metà degli anni Novanta quando i club sono diventati Società per azioni con fini di lucro. La Lega è l’associazione di questi club, la Lega siamo noi. Ma se non riusciamo a governarci, allora vuol dire che non siamo in grado di sviluppare discorsi a livello industriale. In Confindustria convivono aziende di diversi settori, ma poi il presidente è Gianni Agnelli, che era un imprenditore associato all’organizzazione, o Luigi Abete, o Luca di Montezemolo o la signora Emma Marcegaglia. Non capisco perché solo la Lega non debba essere guidata da un presidente di club. Si dice: per evitare situazioni di predominio personali. Va bene, allora facciamo i presidenti a turno, per quattro mesi e in tre anni tutti occupano quella poltrona. In quattro mesi non si possono creare situazioni dominanti».
E chi decide?
«Il Consiglio che dovrebbe essere composto da dieci società, le prime dieci classificate della stagione precedente».
Lei parla di campionati interessanti che producono successo. Ma da un punto di vista spettacolare non trova che il campionato italiano arranchi un po’ rispetto ai tornei inglese o spagnolo?
«E’ troppo presto per esprimere giudizi. In Spagna, poi, dietro il Barcellona e il Real Madrid c’è il vuoto».
A livello economico, nel confronto, soffriamo…
«Per essere competitivi bisogna creare le condizioni giuste. In Inghilterra hanno fatto una legge su chi frequenta gli stadi e in tal modo si è selezionato il pubblico. La Juve ha fatto uno stadio bellissimo poi, però, spunta un signore che molla uno schiaffo a Di Vaio. Prima di fare la legge per costruire i nuovi impianti, bisogna fare la legge su chi quegli impianti li dovrà frequentare. Infatti non posso immaginare di investire un sacco di soldi per poi ritrovarmi lo stadio devastato da una invasione di campo. Come possiamo pensare di ridurre il nostro gap finanziario rispetto all’Inghilterra se svendiamo i nostri diritti tv all’estero? Dovremmo avere una Lega capace di produrre periodicamente report su quel che si vede in Cina, in India, nel Far East, negli Usa o in Sud America. E anche voi, giornalisti, dovreste essere interessati di più a questi dati, proporceli periodicamente per stimolarci».
Trova convincente il fair play finanziario varato dall’Uefa?
«Pochissimo, anche perché è aggirabile. Parliamoci chiaro: quante sono le società che chiudono l’esercizio in utile? Il Napoli lo fa e con noi, in Europa, forse un’altra decina di club. Ma se un arabo con un super sponsor – di cui è lui stesso proprietario – argina qualunque perdita, vuol dire che il fair play finanziario non funziona in maniera democratica. Il fatto è che il sistema è sbagliato, le norme non sono armonizzate. Ci sono anche Paesi in cui i club possono assumere tutti gli extracomunitari che vogliono. Sulle nostre teste passano regole inaccettabili. Ciò che è sbagliato va rimosso. Bisogna dire chiaramente: caro Abete, se siamo in una comunità europea le nostre regole devono essere uguali a quelle della Spagna o del Belgio. Inoltre in Spagna il Barcellona ha una squadra in seconda divisione che non può essere promossa in prima e dove può parcheggiare giovani talenti del proprio vivaio. Perché non è possibile tutto ciò in Italia? Io dico: se qualcosa all’estero funziona, la dobbiamo copiare. Dobbiamo essere più umili o razionalmente… intelligenti o razionalmente diligenti. Invece sembra quasi che godiamo a porci dei limiti ».
Ci regala un titolo per il film che verrà proiettato questa sera al San Paolo?
«Il Villarreal l’abbiamo già affrontato in Europa League. E’ una bella società, molto attenta ai conti, gestita in maniera familiare, padre e figlio. Sono felice di ritrovarli. Direi che il titolo potrebbe essere: vinca il migliore. Sinceramente vorrei che vincesse il Napoli anche per dare un seguito dal punto di vista dell’entusiasmo, del morale, dell’autostima, al pari di Manchester».
Cavani, Lavezzi, Hamsik: a questo parterre di campioni chi aggiungerebbe?
«In questo Napoli nato dalle macerie, i grandi campioni sono cresciuti. Dire, che so, Messi sarebbe banale. E’ importante capire il tipo di gioco che sviluppa il Napoli per inserire altri potenziali campioni. Io ammiro i giovani e mi piace accompagnarli sulla via del successo. Il Napoli continuerà a cercare baby talenti che col tempo prenderanno il posto dei meno giovani. Però devono avere la possibilità di giocare altrimenti non capiremo mai le loro potenzialità».
Presidente, prenderebbe mai un allenatore straniero?
«Forse Villas Boas, ne ho parlato spesso con i miei collaboratori portoghesi, ma per il Napoli che ha una impronta sudamericana – è meglio Mazzarri e quindi confrontarsi con la cultura calcistica italiana. Ci sono poi tanti bravi allenatori nel nostro Paese: visto Allegri? Da Cagliari allo scudetto con il Milan sostenuto dalla società. D’altronde Berlusconi è uno che capisce di calcio ».
Invece l’Inter non ha sostenuto Gasperini…
«Il problema non è questo. Mourinho aveva una personalità fortissima, dirompente, e aveva vinto tutto. Riproporsi sarebbe stato difficile per chiunque, forse solo uno come Ferguson non avrebbe avuto problemi».
La Redazione
A.S.
Fonte: Corriere dello Sport
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