E poi dicevano che io, Ottavio Bianchi, non amavo Napoli. Ma allora non ci avrei giocato cinque anni e non sarei rimasto per tre anni e mezzo in panchina».
Il Signor Bianchi, il tecnico del primo scudetto, quello atteso per oltre 61 anni, parla del nuovo Napoli, di Mazzarri e del modulo offensivo degli azzurri che tanto ricorda il suo.
Potrebbero convivere Pandev con Lavezzi e Cavani e con Hamsik a centrocampo?
«Perché no?! Di sicuro il macedone non è un ripiego. Tutto dipende dalle capacità che avrà il tecnico di convincere i suoi attaccanti a rientrare».
Difficile gestire uno spogliatoio con tante stelle?
«Dover dire tu non giochi è il lato più crudele del mestiere di tecnico. Io avrei lasciato fuori anche mio figlio, per un giocatore che giocava appena un filino meglio. Se si è onesti con i giocatori non ci sono mai problemi».
Careca ha detto che con lei ha imparato a fare il terzino?
«Proprio lui no… Carnevale era quello che aveva compreso, dopo un po’ di tempo, l’importanza tattica del doversi sacrificare. Quella era una squadra aggressiva, di norma ci difendevamo a quaranta metri da Garella. Ecco, Pandev può recitare il ruolo di Andrea».
E tutti gli altri?
«Beh, durante la settimana li allenavo a difendere sette contro 11. Per farli abituare. A Mazzarri però non auguro di vivere i miei stessi incubi».
In che senso?
«Nel senso che se poi uno di quelli che gioca in avanti si impigrisce e fa lo svogliato, la partita è persa. Però io avevo un altro vantaggio».
Quale?
«Le pare che chi doveva marcare Maradona o Careca li lasciava da soli per venire in avanti?».
Ha ragione. Può vincere lo scudetto questo Napoli?
«Sì, è attrezzato per farlo: è ai livelli di Milan e più avanti dell’Inter. Una buona rosa, lo stesso assetto dello scorso anno, e ha mantenuto gli uomini guida. Vedo tante similitudini con l’anno del mio scudetto».
Ce le dica?
«Quell’estate dell’86 non ci davano per favoriti, ma eravamo arrivati terzi l’anno prima, come il Napoli quest’anno: c’era un buon gruppo, uno spogliatoio solido e bastò poco per fare il grande balzo».
È sempre più difficile vincere qui che altrove?
«Almeno dieci volte. Ci sono equilibri delicati, che fanno presto a diventare squilibri, simpatie e antipatie tenaci, ma mi consideravo vaccinato perché ci avevo giocato e sapevo anche come si giocava fuori dal campo».
Lei è l’unico allenatore del Napoli ad aver vinto in Europa?
«Mi fa ridere chi vede il Napoli sfavorito in Champions: è un girone difficile, è vero, ma gli azzurri non sono inferiori a nessuno. Nemmeno al City e al Bayern Monaco».
La Redazione
A.S.
Fonte: Il Mattino
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