Ottavio Bianchi è un tipo molto preciso. Tanto preciso che, non si perché, ricorda bene tutta l’edizione della Coppa Italia giocata con il Napoli. Ma non quella vinta nel 1987, l’ultima Coppa Italia nella bacheca azzurra prima di quella alzata al cielo di Roma tre giorni fa: ricorda alla perfezione quella persa due anni dopo, contro la Sampdoria. «Sa perché? Ho imparato da Sivori. Cabezon prima di ogni partita, anche di un’amichevole, aveva mal di stomaco per la tensione. E gli passava solo se vinceva e solo se aveva giocato dando il massimo. Ecco, a me quel male allo stomaco per la sconfitta contro Vialli e Mancini è rimasto per troppi anni. Fino a quando non l’ho rivinta. Con la Roma».
Quello di domenica è stato il primo successo post-Maradona.
«Spero che sia il primo di un lungo ciclo. Il Napoli ha creato tutte le condizioni per vincere negli anni: ha un organico competitivo, dei grandi talenti e un ottimo allenatore».
Va rinforzato, però?
«Certo, anche il mio Napoli dopo aver vinto lo scudetto si rinforzò prendendo un certo Careca. Figurarsi questo».
Lei come faceva ad alternare in attacco Careca, Giordano e Carnevale senza troppe lamentele?
«Vedevo gli allenamenti e capivo quali scelte fare. I giocatori non sono stupidi: sanno bene quando c’è uno che sta meglio e che merita di giocare più di loro».
E quando uno dei big vuole andarsene, cosa deve fare un allenatore?
«Niente, proprio niente. Io non ho mai cercato di trattenere nessuno. Vede, se il tecnico va vicino a un giocatore e gli chiede di restare, in pratica è in braghe di tela. Come fai, poi, a lasciarlo in panchina se sei stato proprio tu a dirgli di non andare via?».
Fa bene allora Mazzarri a evitare di intromettersi nel caso Lavezzi?
«Comportamento esemplare. Dice che con i giocatori non parla di mercato? Fa benissimo. Un allenatore guarda l’allenamento e fa le sue scelte. Magari può provare di influenzare il mercato dando delle idee. Ma di più non può».
Già, il mercato. I napoletani sognano ad occhi aperti uno squadrone.
«Io ho visto la finale con la Juve e mi pare che siano sulla buona strada».
Però forse manca ancora qualcosa: giocano sempre gli stessi.
«L’importante è che chi va in campo lo faccia con la voglia di dare il massimo. Mi pare che Mazzarri abbia una mentalità vincente. Il Napoli ha un’occasione d’oro, il prossimo anno, per vincere lo scudetto: Milan e Inter sono in fase di ricostruzione e la Juve avrà la Champions».
Cosa ha avuto il Napoli più della Juve?
«La fame. La Juve mi è parsa piuttosto appagata: rivincere lo scudetto ha portato a una sorta di rilassamento».
Cosa che non capitò a voi, nel 1987.
«Feci la mia solita scenata, accusai la squadra di non aver vinto ancora nulla, che questo club dopo il campionato doveva vincere anche la Coppa Italia».
E loro le urlarono nello spogliatoio di Ascoli «Te ne vai o no»?
«Già. Ma io spiegavo che le grandi squadre giocano sempre per vincere. Anche le amichevoli. Figurarsi la Coppa Italia».
Che resta sempre un trofeo di secondo piano?
«Tutti snobbano persino l’Europa League, però poi a fine stagione è bello portare a casa un trofeo. Certe cose non le capisco. Io non ho mai trascurato nulla. Per questo qualche volta i miei ragazzi non la prendevano bene e mi attaccavano. E anche quel mese di maggio fu dura per me mantenere l’ordine. Ma ci riuscì».
E arrivo la finale con l’Atalanta.
«Quasi un mese dopo la fine del campionato. Purtroppo l’avremmo potuta rivincere anche due anni dopo contro la Sampdoria. Quello era il Napoli più bello della storia».
Forse eravate appagati dal trionfo in Uefa?
«Beh, sì. Quella era la Champions di adesso. C’erano tutti. Pure l’Inter dei record che era andata fuori per mano del Bayern. Che noi battemmo poi in semifinale».
Si stupisce se le dico che domenica notte i festeggiamenti dei tifosi sono stati più o meno simili?
«Mi stupirebbe il contrario. Io per carattere non ho mai preso parte alle feste, ma i segni dell’euforia per lo scudetto e la Uefa rimasero visibili sulle strade e sui palazzi per mesi. E quelli li ricordo bene».
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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