Il portale Fifa.com regala una lunga e gustosa intervista al “Toscanaccio” che spazia su vari fronti: la sua carriera, la sua visione del calcio, il modello “alla Ferguson”. Eccola, in traduzione integrale, per Iamnaples.it:
Alla guida del Napoli da due stagioni Walter Mazzarri fa parte della “new wave” dei tecnici di Serie A che hanno rotto con la tradizione difensiva del campionato italiano, in favore di un tipo di calcio più attraente.
L’ex centrocampista ha abbandonato relativamente presto i grandi palcoscenici quando era giocatore, la stessa cosa certo non la si può dire quando si parla della sua carriera di allenatore. Poco più di due anni fa, reduce dalla guida della Sampdoria lo ingaggiò il Patron del Napoli Aurelio De Laurentiis, l’uomo che ha salvato il club partenopeo dal fallimento a settembre del 2004.
E da quando prese il posto del suo predecessore Roberto Donadoni, Mazzarri ha riportato la Gloria degli anni ’80, quando il Napoli dava notevole filo da torcere ai “giganti” del Nord Italia. Grazie ad un eccellente campionato la scorsa stagione i “Partenopei” si sono assicurati un posto alla Champions ed ora li aspetta una bella sfida agli ottavi contro il Chelsea. Un bel posto tra le prime quattro d’Italia se lo sono conquistato, poi, grazie alla vittoria contro l’Inter per 2-0.
E Mazzarri discute con FIFA.com del “Rinascimento napoletano”, rivelando al portale la sua visione del gioco del calcio, i suoi obiettivi a lungo e breve termine, e i suoi metodi per gestire una piazza ricca di talenti d’attacco.
Walter, Lei è toscano ma ha fama in Italia di essere superstizioso proprio come un napoletano. È vero?
“Non proprio. Credo nell’organizzazione del mio lavoro fino all’ultimo particolare e nel modo in cui vedo le cose non c’è molto spazio per la superstizioe. Ovviamente ci sono dei momenti in cui le cose ti vanno bene e allora quando riguardi indietro pensi che qualcosa ti abbia portato fortuna. Quando questo accade chiedo ai miei giocatori di ripetere tutto quello che hanno fatto poco prima di vincere la gara”.
Lei gode anche la reputazione di essere un “pane a pane e vino a vino” e di dire sempre quel che pensa. Non è un rischio questo nel calcio moderno?
“Sì, è il mio motto. Lo so che si tratta di un approccio rischioso nel mondo del calcio, ma sono fiero di come sono. Voglio approcciarmi al calcio nella stessa maniera in cui mi approccio alla vita: sempre allo stesso modo, nessun compromesso”.
Lei è stato il vice di Renzo Ulivieri al Napoli nel 1998-99. Quanto era cambiato il club quando lei è ritornato nel 2009?
“Tantissimo. Tanto per cominciare già il calcio è cambiato di molto e anche più velocemente di quanto pensassimo. Lavorare con Ulivieri è stato molto utile per me. Sono cresciuto da allora e ho maturato una serie di diverse esperienze (Il Napoli è l’ottavo club della sua carriera da allenatore). E in termini di società in senso stretto, credo che nell’arco di questi dieci anni sia cambiato tutto”.
Questa è la prima volta che si ritrova ad allenare una grande squadra…
“È la squadra più forte che abbia mai allenato, il che non è lo stesso modo di vedere la cosa, dipende dal criterio che si adotta. Io parlo di una squadra con del potenziale, che può scendere in campo e giocare del buon calcio”.
Al Napoli lei sta adottando il 3-4-3, anche se il momento attuale della squadra è piuttosto delicato. Perché lo fa, questo non è andare contro il mito granitico della “terra del catenaccio”?
“È il motivo per il quale mi ritengo un innovatore. Sono un allenatore italiano ma predico un calcio flessibile che non è basato su un unico sistema. E comunque non è tanto il sistema che conta, quanto l’assetto mentale, i movimenti e la scelta dei giocatori secondo la loro posizione in campo. Riusciamo ad essere efficaci perché oggigiorno le squadre devono essere capaci di far tutto nel modo migliore possibile. Il contropiede risulta efficace quando è lanciato in profondità, con il coinvolgimento di tutta la squadra”.
Edinson Cavani, Ezequiel Lavezzi, Goran Pandev, Marek Hamsik ed ora Eduardo Vargas, come riesce a gestire una rosa di giocatori dotati di tanto talento nel gol?
“E chi l’ha detto che devono giocare tutti nello stesso momento? (ride) . avere così tanti attaccanti in rosa significa avere un’abbondanza di buone opzioni, proprio come una grande squadra. È anche importante fare bene le scelte, guardare alla formazione e sapere quale giocatore potrà contribuire al meglio per la squadra. Il modo in cui la squadra gioca, ecco cosa conta per me. I giocatori stanno là per fare forte la squadra”.
Pensa, alla lunga, di far giocare il Napoli allo stesso modo del Barcellona?
“Noi sappiamo che tipo di sistema funziona al meglio per la nostra squadra e stiamo cercando di svilupparlo al meglio. Non ci modelliamo su nessuno in particolare, ma è ovvio che il Barcellona, che sta facendo la storia, ha una mentalità vincente ed è l’immagine che proietta. Molti altri club hanno studiato il modo in cui gioca e il suo stile è un punto di riferimento per tutti”.
Adesso per quanto riguarda lei personalmente: battere il Chelsea negli ottavi di Champions oppure il terzo posto in Serie A, cosa sceglie?
“All’inizio della stagione avevamo già detto che sarebbe stato un anno di sviluppi. Non pensiamo ad uno specifico obiettivo, ma terremo fede a tutti gli impegni nel modo migliore possibile. Poi analizzeremo tutto alla fine della stagione”.
Marcello Lippi ha detto che in Italia il Napoli gioca il calcio più stimolante e divertente La sua priorità è quella di giocare un calcio attraente, oppure di far risultato a tutti i costi?
“Innanzitutto ringrazio Lippi per la grande stima che ci tributa. La cosa ideale per me è giocare in modo elegante, dinamico che sia facile da vedere, ma è ovvio che allo stesso tempo ce la mettiamo davvero tutta per far risultato”.
In passato lei ha detto di voler essere l’”Alex Ferguson del Napoli”. Vuol dire che ha intenzione di restare a lungo e vincere qualcosa di importante?
“Mi piace il modo in cui Ferguson ha svolto il suo lavoro allo United. È un modello davvero funzionale, che si può ammirare in Inghilterra più che da altre parti ed è chiaro che io trovi affascinante il ruolo dell’allenatore-manager”.
Crede che Napoli sia riuscita ad uscire dall’ “Ombra di Maradona”?
“Ogni era è differente. Maradona rappresenta la storia del Napoli e noi stiamo facendo di tutto per far capire questo alla città. Detto questo, siamo fieri di aver riportato la passione e l’entusiasmo di quel periodo a Napoli”.
Fonte: Fifa.com
clicca qui per leggere l’intervista in lingua originale
Traduzione e adattamento a cura di Maria Villani
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