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AIC, Tommasi: “Un caso positivo nel calcio non può essere trattato in modo diverso”

“Siamo in attesa”. Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori, non si sbilancia sulla possibile ripresa degli allenamenti di squadra per il calcio italiano. Lo step fondamentale per continuare a sperare nella ripartenza del campionato. Il governo non si è ancora pronunciato definitivamente dopo l’incontro di ieri tra il comitato tecnico-scientifico e i rappresentanti della Federcalcio. Sul tavolo, come da diverse settimane ormai, il tema del protocollo medico. Ancora accompagnato da vari quesiti senza risposta. Uno su tutti: ‘Cosa succede in caso di nuovo contagio all’interno di una squadra?‘. La partita si decide qui: la Figc propone l’isolamento del solo caso positivo, con il resto della squadra che proseguirebbe regolarmente gli allenamenti; il CTS vorrebbe allineare il protocollo del calcio alle norme generali, che prevedono la quarantena per chiunque sia stato a stretto contatto con il soggetto positivo. Nel secondo scenario, un caso positivo dopo la ripresa degli allenamenti porterebbe, inevitabilmente, ad un nuovo stop del campionato. Ma la priorità, per Damiano Tommasi, è la sicurezza.

Presidente, ieri l’ultimo incontro per il protocollo medico: ci sono novità?

“Sappiamo che il comitato tecnico-scientifico trasmetterà una nota al ministro della salute e al ministro dello sport. Ma non abbiamo ulteriori elementi”.

C’è un aspetto del protocollo che non convince i medici: in caso di nuovo contagio, va isolato solo il soggetto positivo.
“È uno degli aspetti da chiarire, anche perché è l’uniformità dei comportamenti che garantisce la sicurezza. La gestione della positività di un calciatore non può essere diversa da quella che riguarda altri ambiti del paese. Ci saranno dei protocolli, in questo senso, che dovranno essere confermati da chi ci autorizzerà a tornare a fare l’attività. Questo però ce lo dovranno dire i medici”.

Intanto come state vivendo i nuovi casi di positività in Serie A?
“È stato fatto uno screening pre-allenamento, come giusto che sia in questo momento, e i positivi verranno isolati. Sappiamo che non tutte le squadre hanno fatto già i test, per problemi logistici. Era da mettere in preventivo qualche caso di positività, vista la diffusione del virus soprattutto in alcune regioni d’Italia. Al di là dei nuovi casi positivi, è la prolungata positività di alcuni calciatori, andati oltre le tre settimane di positività, ad aumentare il livello di preoccupazione”.

Su quali temi in particolare?
“Ci sono una serie di aspetti: le problematiche che possono nascere da una positività, la durata della stessa, cosa può succedere nel gruppo alla luce dei contatti avuti dal soggetto risultato positivo, che sia un calciatore o un membro dello staff. Ad oggi sono situazioni che vengono gestite secondo i protocolli della FMSI, ma ci sono società che stanno seguendo anche altre indicazioni, altre che attendono la ripresa degli allenamenti di gruppo per applicare le misure di sicurezza. Come dicevo, l’uniformità di applicazione delle norme è fondamentale”.

Qualche calciatore, specialmente all’estero, sta uscendo dal guscio raccontando disagi e paure. In Italia com’è la situazione?
“Stiamo parlando di persone come le altre. Sono legittimi i timori e le preoccupazioni, specialmente nei riguardi dei famigliari. Sappiamo che è un sentimento condiviso a livello europeo, ci confrontiamo ogni settimana con gli altri sindacati dei calciatori. L’attenzione a questo tema è inevitabile e credo sia anche il motivo per cui non si sta giocando a calcio. I governi non autorizzano questo tipo di attività perché sono attività a rischio. Le valutazioni nel caso del calcio sono più ampie per il grande indotto e l’elevato numero di lavoratori e famiglie che coinvolge. C’è da capire quanto questi rischi siano calcolabili”.

In Germania ripartiranno proprio su questo assunto. Dicono: “Non esiste la sicurezza totale, ma garantiamo un grado di rischio accettabile”.
“Non so cosa significhi rischio accettabile per una squadra o un calciatore. Va inserito in un contesto diverso: sicuramente in Germania c’è stato un livello di contagiosità non paragonabile a quello dell’Italia. A quel livello di rischio per il governo è meno difficile riaprire qualsiasi attività, non solo il calcio”.

Tra campionati che si fermano e altri che andranno avanti, la situazione dei contratti in scadenza rischia di ingarbugliarsi ancora di più.
“Non so se e quando verranno definite le date di fine stagione. Formalmente è stata fatta richiesta di spostarle in avanti e il Consiglio Federale avrebbe dovuto ratificarlo oggi, ma è stato rinviato. Il tema delicato è rappresentato dai prestiti e dai calciatori in scadenza che hanno già firmato un nuovo contratto con un’altra squadra. A livello internazionale c’è poi il discorso legato alle coppe europee, ad oggi programmate per agosto. Bisognerebbe intervenire sui contratti in scadenza al 30 giugno e su eventuali contratti già firmati a partire dal 1 luglio, per i quali saranno sospesi gli effetti da un punto di vista di tesseramento, fintanto che non si dichiarerà chiusa la stagione 2019/20. E’ uno dei nodi che la FIFA ha cercato di sciogliere dando indicazioni, un tema su cui nessuno ha ancora una risposta certa. Parecchie squadre stanno rinnovando i contratti in scadenza il 30 giugno proprio per aggirare questa problematica”.

L’AIC si è sempre schierata a favore della ripartenza. Ma con quali preoccupazioni?
“La salute, prima di tutto. Vogliamo un protocollo sicuro, validato, semplice, efficace. Qualcosa che ci dia certezze, che presenti la sicurezza di un rischio calcolato. E poi il tempo, sempre più stretto ogni giorno che passa. Il pensiero di tante partire da affrontare in pochi mesi. Costringerà a far funzionare tutto perfettamente per non avere intoppi e finire la stagione 2019/20. Si corre il rischio di rimettere in moto una macchina che potrebbe fermarsi subito”.

 

 

Fonte: Fanpage.it

 

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