A Napoli si era presentato così:
In una calda serata di fine luglio, lo scossone degli addii di Mazzarri e Cavani rimasti indigesti a tanti veniva superato dalla presentazione di Benitez e Higuaìn, da contorno anche i vari Mertens, Albiol, Callejon e Reina che si sarebbero rivelati decisivi per la conquista della coppa Italia e del terzo posto eguagliando il record di punti della stagione precedente. Tra i volti nuovi resta apparentemente in secondo piano quello di Rafael Cabral Barbosa, eppure dietro si portava un soprannome di tutto rilievo, ‘A Muralha Santista’, la Muraglia del Santos, la squadra di Neymar, Alex Sandro, Ganso e Felipe Anderson che nel 2011 vince la Copa Libertadores proprio con Rafael a difendere la porta dei carioca. Al di là dell’Oceano, luogo in cui soprannomi e paragoni si sprecano, hanno già individuato il nuovo Taffarel.
La sera dell’amichevole contro il Galatasaray si arricchisce di temi: Insigne che prova a prendersi il Napoli, i saltelli di Camilo Zuniga e le parate di Rafael, una in particolare, nel secondo tempo su Chedjou, d’istinto puro che fa stropicciare gli occhi a tutti i presenti a Fuorigrotta. E’ l’inizio di una storia che da favola si trasforma in incubo, con l’ombra enorme di Pepe Reina che si prende con prepotenza la porta azzurra e la fiducia del pubblico partenopeo.
L’esordio in campionato di Rafael è da brividi, il 3 a 3 contro l’Udinese e l’indecisione sulla conclusione di Bruno Fernandes che ne minano le certezze, poi la riscossa, in Champions, contro l’Arsenal e contro Giraud, lasciando inviolata la porta in una notte che però ha il sapore amaro della beffa che da piccolo fenomeno finisce per trasformarlo così in un antieroe byroniano. La miglior prestazione coincide però nella serata più triste per Rafael, il 20 febbraio il brasiliano chiude la saracinesca anche all’aria ma a fine primo tempo in uscita cade male sul ginocchio, stagione finita e Napoli che perde l’uomo su cui aveva deciso di costruire il suo futuro e che era stato bravo a scovare prima di tutti e prima della Roma che lo aveva individuato come sostituto di Stekelenburg, preferendogli poi De Sanctis.
La storia di Rafael si interrompe a Swansea per poi continuare a Doha, nel mezzo però tanti dubbi e incertezze e l’ombra gravosa di Pepe Reina che nel primo anno serviva da scudo, nel secondo invece diviene pesante fardello, insostenibile, come nella notte del San Mames, dove diviene bersaglio facile delle critiche. La scelta, probabilmente, è stata errata dal principio, ovvero quella di affidarsi ad un portiere che doveva ancora recuperare mentalmente dall’infortunio in un ruolo che ha bisogno di certezze e che funge da spina dorsale per tutto il reparto arretrato. Le incertezze si stampano nella mente dei tifosi fin dal primo test in diretta tv contro i greci del Kalloni, tra i pali Rafael ritrova lentamente se stesso, il problema sono le uscite dove rivive costantemente la scena dell’infortunio, l’immagine fissa nei suoi occhi si trasforma in paura, e la paura diviene errore e poi goal. Il calcio a volte è spietato, una gogna, sopratutto per un ruolo che non ha margine di errore, in cui la testa e il carattere contano più di tutto il resto. Rafael viene mandato al patibolo, molti invocano Andujar come se fosse la panacea di tutti i mali, evidenziando ogni minimo dettaglio in favore dell’argentino, parole da ‘haters’ più che da sostenitori dell’ex Catania.
La riscossa arriva, a Doha, dove Rafael evita la goleada a Tevez e, dagli 11 metri, come in un film, spezza la maledizione bianconera con un incantesimo tutto azzurro, con la mano di richiamo arriva a prendere la conclusione di Padoin. Toccare il cielo con un dito, a volte basta meno, semplicemente toccare un pallone, quello decisivo, per il riscatto e per quello che si spera possa essere un nuovo inizio, dalla ‘Muralha Santista’ al ‘Muro Azzurro’ il passo è breve ma pieno di insidie, intanto però la cartolina da Doha porta la sua firma.
Servizio a cura di Andrea Cardone
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