Successe tutto in una sera di fine agosto. Il freddo svedese di Boras, la qualificazione in Europa League da ottenere a tutti i costi contro l’Eflsborg. E l’esplosione di un ragazzotto uruguaiano, appena arrivato dal Palermo, tale Edinson Cavani. Il Napoli, dopo anni di sofferenza tornava ad abbracciare l’Europa, quella meno nobile, ma pur sempre l’Europa. Tornava a testa alta, dopo anni tra purgatorio della B e inferno della C, nel calcio che conta. E lo faceva in modo netto, indiscutibile, trascinata dal suo nuovo gioiello Cavani, dal suo “scugnizzo” Lavezzi e da quel Walter Mazzarri che, qualche anno dopo, porterà a Napoli il primo trofeo del dopo Maradona.
Eppure quella sera in pochi avevano voglia di festeggiare. Si, d’accordo, avevamo vinto. Ma proprio mentre la pratica svedese si avviava ad essere archiviata, qualcosa di più importante accadeva dietro le quinte. Il 26 agosto del 2010 la contestazione prende piede sugli spalti. Gli azzurri vincono, ma i tifosi non festeggiano. Non hanno voglia, non ne hanno motivo. Dietro le quinte, negli uffici della FilmAuro s’è appena consumato un dramma sportivo.
Fabio Quagliarella ceduto alla Juventus.
Un anno, solo un anno è durata quell’illusione. Il sogno, a posteriori ritenuto folle, che un napoletano, un figlio di Napoli, potesse tornare nella sua patria e guidare la sua squadra. Era dai tempi di Juliano, Bruscolotti, che Napoli attendeva quel suo condottiero napoletano. Quel napoletano in grado di caricarsi la sua squadra e la sua città sulle spalle.
Paolo Cannavaro, Grava, Iezzo, grandi atleti, grandi napoletani, grandi giocatori. Sempre ammirati e sempre osannati dal pubblico del San Paolo. Ma Quagliarella era diverso. Era il campione che sceglieva di tornare a casa. Voluto da molti, cercato da tanti. Aveva scelto la sua città. Aveva sedotto i suoi tifosi. Sedotti prima di abbandonarli.
Solo un anno è durata quell’illusione. L’illusione di un napoletano Re a Napoli. Nemo propheta in patria, e come dargli torto. Un mondiale da protagonista, nonostante il disastro italiano. E quel volo dal Sudafrica a Napoli, per tornare più forte, per tornare ad essere il Re.
E invece no. Invece qualcuno aveva deciso diversamente. Quagliarella torna a Napoli avendo anche convinto Gilardino a vestire l’azzurro. Ma ciò che lo aspetta è una doccia fredda: “Noi non prendiamo Gilardino e poi De Laurentiis mi ha mandato di venderti, appena arriva un’offerta interessante” gli disse Bigon su ordine di De Laurentiis. La storia tra Quagliarella e il Napoli era finita.
A dire la verità forse non era mai cominciata. Forse solo lui e i tifosi si erano illusi. Una storia d’amore che non poteva avere seguito. Come riportato già allora dal nostro portale (clicca qui per leggere il nostro retroscena) quel Napoli non era fatto per Quagliarella. Due clan negli spogliatoi, da un lato i sudamericani, dall’altro gli italiani. E i napoletani? In mezzo, a cercare di spegnere il fuoco, a fare da pacieri, e ad avere la peggio. Donadoni esplode assieme allo spogliatoio. Mazzarri lo ricompatta. ma è questione di tempo.
Cavani è solo l’ultimo arrivato, ma indirettamente consente a Mazzarri di potersi privare di Quagliarella. Lo vogliono vendere in Russia, al Rubin Kazan. Lui rifiuta, resiste, ma non abbastanza. Non impunta i piedi fino all’ultimo, e cede. O meglio lo cedono.
Come tutte le storie d’amore mancate si finisce sempre con un tradimento. E si tradisce sempre con il peggior nemico. Ci sono 15 milioni sul tavolo. E un contratto che non può essere rifiutato. Il cuore o la carriera? Fabio sceglie la carriera, sceglie la Juve. Non glielo perdoneranno mai.
Il tifoso, che fino a pochi giorni prima, lo alzava a Re di Napoli si sente tradito, per di più con il suo peggior nemico. Le dichiarazioni alla presentazione in bianconero, lo “step più avanti” sono una coltellata al cuore. Troppo per il tifoso napoletano, troppo per chi si era tanto amato.
Ognuno per la sua strada, con i marchi di “ingrato” e “traditore” impressi sulla pelle. Chi ha perso? Tutti, nessuno. L’unica certezza è che il sogno di un Re napoletano svanì quella sera in Svezia, nel freddo di Boras, nel “Quaglairella non si tocca!” del settore ospiti, mentre a pochi metri, sul terreno di gioco, un ragazzo uruguaiano segnava i primi dei suoi 104 gol in azzurro.
Il resto tutto una conseguenza. Gli insulti, l’odio sportivo, i fischi, tutta una concatenazione d’eventi per quell’amore finito. O forse, in fondo, mai sbocciato.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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