Ha il profumo del pane che il padre Alberto, originario dell’isola d’Elba, produceva nel forno di San Vincenzo. «Quando giocavo nella Primavera della Fiorentina, l’estate facevo le consegne a casa. Lavoro, rispetto e onestà sono valori trasmessi dalla mia famiglia». Walter Mazzarri, in un calcio dove diversi personaggi godono di un’immagine migliore del loro spessore reale, è l’esatto contrario: il privato è superiore alla dimensione pubblica. «Quando mi vedo in tv, anche io mi trovo spesso antipatico», e si concede una risata. Nel suo ufficio con vista sui campi di allenamento del Watford, Mazzarri trascorre buona parte della giornata: le relazioni tecniche, l’organizzazione del lavoro, le lezioni di inglese. Arriva alle 8 e saluta tutti dopo le 17, per tornare a casa e mettersi di fronte alla tv, per vedere i video sugli avversari.
Il bilancio di questi sette mesi d’Inghilterra?
«I risultati sono in linea con i programmi del club. Mi è stato chiesto di salvare la squadra, di consolidare la categoria e di valorizzare i giocatori».
Com’è nata l’opportunità Watford?
«Avevo voglia di mettermi in discussione e di affrontare un’esperienza diversa. La Premier mi ha sempre affascinato. C’erano state altre richieste, ma ho scelto il Watford perché mi sono trovato in sintonia con le idee del presidente Gino Pozzo. Ho chiesto solo una cosa: un dialogo continuo e diretto con lui».
Niang ha detto: sono venuto anche per Mazzarri.
«Mi ha fatto piacere. E ho apprezzato come si sia subito calato nella nostra dimensione».
Che cosa ha fatto nei 18 mesi trascorsi tra l’esonero all’Inter e la firma con il Watford?
«Mi sono preso un anno sabbatico. Avevo bisogno di staccare la spina. Dalla Primavera con il Bologna nel 1999 fino all’Inter non mi ero mai fermato. Ho deciso di venire in Inghilterra per studiare il calcio di queste parti e mi sono stabilito a Manchester per conoscere meglio la realtà di questo Paese. Londra è splendida, ma è cosmopolita. La vera Inghilterra è altrove. Manchester ha due club di valore mondiale ed è strategica: sei ad un passo da Liverpool».
Che cosa non funzionò all’Inter?
«Penso che il tempo sia stato galantuomo. C’erano molte attese, come è lecito nel caso di un club come l’Inter, ma nel giudizio sui risultati non si tenne conto dell’effettivo valore della rosa. Pochi mesi dopo il mio arrivo ci fu un cambio storico al vertice del club, con il passaggio delle consegne da Moratti a Thohir. E poi mi ritrovai con diversi calciatori in scadenza. Prima della svolta societaria eravamo secondi, poi scivolammo al quinto posto, ma quella era l’esatta dimensione dell’Inter di allora».
Che cosa la ferì nei giorni più difficili?
«Sono abituato a prendere in considerazione i giudizi delle persone che stimo. Sul lavoro si può sempre discutere. La denigrazione e le offese non sono accettabili».
Che cosa le hanno lasciato gli anni di Napoli?
«Il ricordo di una splendida avventura. Vincere la Coppa Italia e riportare la squadra in Champions dopo Maradona sono stati risultati eccezionali. Mi porto dietro anche il rapporto con i giocatori e i napoletani».
Il Napoli incrocerà il Real negli ottavi di Champions.
«Il Napoli può giocarsela. È arrivato il momento di superare finalmente gli ottavi. Tifo per il Napoli. Non ho dimenticato l’amarezza dell’eliminazione con il Chelsea nel 2012, quando il gol di Ivanovic nei supplementari ci fece salutare l’Europa. Quel Chelsea avrebbe poi vinto la Champions».
La Juventus potrebbe vincere il sesto scudetto di fila: perché si è creato questo divario con la concorrenza?
«La Juventus ha un parco giocatori rinnovato con intelligenza nel tempo e progettato nel rispetto del nucleo storico: Buffon, Chiellini, Barzagli, Bonucci. Lo stadio di proprietà è un valore aggiunto».
Conte è lanciato verso il titolo inglese.
«Conte sta lavorando benissimo. È stato bravo a recuperare giocatori che venivano da un’annata negativa e a valorizzare la notevole qualità della rosa a disposizione».
Allenare in Inghilterra è davvero diverso rispetto all’Italia?
«Io penso che la vera differenza sia l’ambiente. Gli stadi sono moderni e funzionali. C’è un senso di appartenenza molto profondo. Il primo giorno al Watford una signora mi venne incontro e mi disse “Benvenuto nella nostra famiglia”».
Con l’inglese come va?
«Con l’inglese del campo, per lavorare, va bene. In sala stampa ci tengo a spiegare in modo chiaro i miei concetti e per questa ragione preferisco l’aiuto di un interprete. Anche altri allenatori come Pochettino hanno compiuto questa scelta».
La corsa in campo dopo il 2-1 in casa dell’Arsenal ha fatto impazzire i tifosi del Watford.
«È stato un momento bellissimo».
Sabato ritrova Mourinho, superato 3-1 all’andata: è la prima volta di Mazzarri all’Old Trafford.
«Con Mourinho c’è un buon rapporto e stima reciproca. È stato molto affettuoso all’andata. In qualche modo ci assomigliamo: bisogna conoscerlo a fondo».
Una passione oltre il lavoro?
«Il cinema. Quentin Tarantino, il realismo italiano, i film che raccontano il momento di un Paese».
Quanto conta l’etica del sudore nella sua scala di valori?
«Lavoro e fatica uguale meritocrazia. Se in Italia questa equazione fosse stata rispettata in passato, il Paese starebbe decisamente meglio».
Un modello di riferimento?
«Mohammed Ali. È lo sportivo che ha dato un contributo notevole al cambiamento del mondo. È stato determinante per abbattere un muro odioso come quello dell’apartheid».
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