Il presidente dell’Inter Giuseppe Marotta ha rilasciato una lunga intervista al direttore di Sky Sport Federico Ferri, registrata lo scorso 19 dicembre e in onda nel giorno di Natale su Sky e in streaming su NOW. Nel corso della conversazione, Marotta ha tracciato un bilancio sul 2024 e si è aperto su tanti temi, tra cui il suo futuro all’Inter, l’allenatore Simone Inzaghi, la situazione sull’inchiesta curve e criminalità organizzata, l’ambizione di vittoria, la rivale Atalanta e il modello di business. Di seguito l’intervista integrale, che sarà possibile rivedere nel corso della giornata di festa: alle 13, alle 17 e alle 23 su Sky Sport 24, alle 15.45 su Sky Sport Uno e alle 20.30 su Sky Sport Calcio.
Direi che è l’anno dell’Inter nel quale c’è l’operatività di Giuseppe Marotta, anche, quindi chiaramente si coniugano queste due situazioni: il fatto di aver ricevuto molto dall’Inter e aver dato la mia esperienza all’interno di certi obiettivi.
A proposito di Inter, a che livello è arrivata in assoluto, dico anche guardando il panorama del calcio europeo?
Devo dire che è ritornata a essere una delle protagoniste più autorevoli, nel senso che la storia e il palmares di questa società calcistica ci dicono che i trofei vinti sono tanti, che le Champions League vinte sono tante, gli Scudetti vinti sono appunto 20 e quindi siamo tornati in quel palcoscenico più consono alla storia e in questo momento poi con la nuova proprietà stiamo dando continuità a questa situazione.
A proposito del tuo ruolo di presidente, che differenze hai trovato rispetto ai ruoli dirigenziali che hai ricoperto in passato e soprattutto che differenze hai trovato nel lavoro con una proprietà che è un fondo e dunque fa business con il calcio e ha interessi anche nel calcio?
Intanto devo ringraziare questa proprietà perché mi ha dato fiducia da subito e quindi mi ha dato questa maggiore responsabilità nominandomi presidente di una società come l’Inter, che è qualcosa di straordinario. E lo è per me, per la mia carriera. Quindi da una parte c’è lo stimolo a fare sempre meglio, dall’altro il riconoscimento da parte della proprietà per la fiducia, sempre nell’ottica di far sì che il cammino dell’Inter sia un cammino vincente, sia un cammino pieno di risultati e quindi direi di fatto non è cambiato molto se non la passione, l’impegno e la dedizione che avevo prima e che oggi è ancora di più.
Il tempo che è passato da quando hai avuto come referenti una tipologia di proprietà e di presidente differente, diciamo quello che era più legato solo al club, dal tuo punto di vista ha richiesto in questi anni – non è il primo ovviamente – un adattamento diverso?
Io credo che sì, adeguarsi alle situazioni sia una delle peculiarità di un manager. Io nel mio cammino, che sono ormai più di 45 anni, ho vissuto con l’esperienza di tanti presidenti e quindi di tanti modelli di gestione di club, chiaramente nell’evoluzione storica di questo fenomeno sociale, di questo fenomeno sportivo che è il calcio e quindi mi sono adattato. Sicuramente ho tratto tantissimo dai miei presidenti, tutti mi hanno dato qualcosa che mi ha arricchito dal punto di vista professionale e questo arricchimento oggi lo manifesto ancora di più, proprio in questo ruolo apicale che mi trova, ripeto, in una situazione straordinaria per quanto riguarda il modo di essere e di concepire il mio lavoro.
Da presidente non hai dovuto scegliere l’allenatore perché l’avevi già scelto, com’è cresciuto in questi anni Inzaghi e che tipo di allenatore oggi è diventato? La mia impressione è che oggi siamo di fronte ad un’eccellenza europea.
Simone Inzaghi ha dimostrato di essere un grande professionista e una persona molto intelligente. È arrivato in punta di piedi nell’Inter, non ha fatto proclami, si è adeguato a un ruolo molto importante ed è cresciuto man mano che otteneva risultati, soprattutto in un aspetto che era la consapevolezza delle proprie capacità che poi ha messo ed è riuscito a trasmettere anche ai giocatori e quindi uno degli aspetti fondamentali suoi è il riconoscimento di essere un leader del gruppo di questa squadra e di inculcare quelli che sono i concetti vincenti: la cultura del lavoro principalmente, il senso di appartenenza, la grande passione verso questo lavoro. Tutte queste componenti che poi sono state supportate dal lavoro del management societario quindi da Ausilio, da Baccin, da Zanetti, da tutta la Società, ha fatto sì che si creasse una simbiosi che ci ha portati, direi, abbastanza lontani.
Che dirigente sei nei confronti dell’allenatore? Quanto ti confronti, in che modo ti confronti, che cosa hai imparato in questi anni da questo punto di vista, cambia a seconda dell’allenatore il tuo ruolo oppure è uno standard che tu utilizzi?
È cambiato molto il mio ruolo in base a quello che era il titolo che mi era stato attribuito – direttore generale, amministratore delegato, presidente _ e quindi la prima cosa è il rispetto dei ruoli, nell’Inter c’è l’allenatore, dall’altra parte c’è un direttore sportivo, c’è un vicedirettore sportivo, per cui in primis devo rispettare questi ruoli e quindi il ruolo di direttore sportivo, in questo caso di Ausilio, è quello di confrontarsi maggiormente con l’allenatore, ma siccome poi il nostro è un gioco di squadra, un team lavora proprio se c’è affiatamento tra le varie componenti, il confronto tra di noi è quotidiano. Quindi quasi tutti i giorni ci troviamo per parlare, magari seduti a tavola a pranzo. Parliamo delle varie dinamiche, ripeto, nel rispetto dei ruoli, ma sempre portando ognuno di noi la sua esperienza e la sua competenza.
Quando devi parlare con una persona scegli di convocarla in ufficio o preferisci un ambiente più informale, come dialoghi con le persone?
Dipende da che timore devi inculcare in questa persona, se devi inculcare un po’ di timore chiaramente il luogo istituzionale, quindi la sede o l’ufficio alla Pinetina rappresentano un vantaggio che mi porto dentro, altrimenti posso affrontare in un ristorante o in un albergo della città.
Se si può trovare un limite alla tua Inter di oggi potrebbe essere quello della carta d’identità dei principali protagonisti. Pensi che sia una preoccupazione eccessiva in ottica futura o lavorerai sul mercato anche in questo senso?
Se hai undici talenti non vinci assolutamente nessuna competizione. L’importanza di uno sport di squadra è mettere insieme, mixare insieme e creare una simbiosi tra giovani e meno giovani. Noi abbiamo creato un equilibrio da questo punto di vista tra giocatori giovani e giocatori di esperienza, il più vecchio sapete è Acerbi che ha 36 anni perché quando poi hai l’esperienza, quest’esperienza non la si mette in pratica o la si fa vedere solo nel terreno di gioco ma in quel lavoro oscuro che è lo spogliatoio, e quindi io ritengo che noi abbiamo messo insieme una squadra che ha queste componenti, cioè la dinamicità del giovane, l’entusiasmo del giovane e l’esperienza e la saggezza del meno giovane.
Sei ancora convinto che un blocco di italiani o comunque un blocco di giocatori che conoscono molto bene il nostro campionato sia un vantaggio?
Assolutamente sì e credo che anche i risultati conseguiti lo dimostrino. In Italia il campionato è qualcosa di unico, di particolare, la pressione che c’è in Italia non c’è in nessun altro paese europeo, e quindi è importante che chi viene in Italia, che sia in Italia e che gioca a calcio deve conoscere il suo habitat. E allora gli italiani conoscono il proprio habitat, sanno cosa vuol dire andare a Lecce, a Cagliari, ad Empoli e trovare delle difficoltà e cercare di superarle. Ecco, quindi lo zoccolo duro di italiani ha questo vantaggi e poi permettetemi di dirlo è anche orgoglio della nostra nazione mettere a disposizione della nostra Nazionale dei giocatori.
Quali sono le linee guida che hai concordato con una proprietà come Oaktree, ci sono delle peculiarità, ad esempio di interventi sul mercato che sono particolarmente gradite se non addirittura richieste? Mi riferisco ad esempio ai giovani, alla tipologia dei contratti, all’abbassamento del monte ingaggi,
Devo dire che Oaktree è arrivata in punta di piedi e in modo molto silenzioso ma molto concreto e partecipe della vita del club e quindi il confronto, oggi, è quotidiano con loro ed è positivo, tutto volto a garantire continuità al club nella ricerca della sostenibilità che è finanziare la parte economica, e questa sostenibilità come hai sottolineato avviene attraverso delle linee guida che ci hanno indicato, che abbiamo concordato insieme e che dobbiamo mettere in pratica. Queste linee guida, come hai sottolineato, sono quelle di comporre una rosa che possa rispondere a dei limiti economici dal punto di vista del costo del lavoro, a un’età media che possa garantire anche il fatto di comprare, quindi acquisire, investire su giovani che rappresentano un patrimonio perché oggi avere un patrimonio all’interno dell’azienda è un elemento che contribuisce a dare sostenibilità. Questo è quello che noi stiamo facendo e che maggiormente faremo nella stagione futura, quello di garantire la massima competitività attraverso giocatori, magari meno vecchi rispetto a quelli che abbiamo oggi, ma che rappresentino anche qualità, professionalità e allo stesso momento anche patrimonio.
Tra le tue responsabilità quest’anno hai dovuto affrontare anche la vicenda dell’inchiesta curve. Il procuratore di Milano Viola ha detto chiaramente che le Società, riferendosi a Inter e Milan, sono parti lese e ha chiesto, in quell’occasione, collaborazione. Ti chiedo, per quel che si può dire ovviamente dato che c’è un’inchiesta e un interrogatorio in corso, come si stia sviluppando e se si stia sviluppando questa collaborazione?
Intanto, chiaramente l’inchiesta è in corso e io non posso che innanzitutto esprimere gratitudine e ringraziamento alla magistratura, alle forze dell’ordine per l’opera che stanno facendo. Noi ci siamo messi a disposizione e stiamo collaborando al fine di debellare questo fenomeno che è straordinario in negativo e ha a che fare con il mondo dello sport e che forse è una delle prime volte che si verifica, che sono attività criminali che non c’entrano niente con i valori dello sport. Io ho vissuto, come te del resto, i decenni precedenti in cui c’era magari una violenza, una violenza fisica consumata all’interno o all’esterno dello stadio ma era nell’ottica di quello che era un fenomeno di calcio.
Possiamo dire purtroppo, di calcio.
C’è un sociologo, Desmond Morris, che ha scritto un libro negli anni ‘90, “Le tribù del calcio”, in cui parla di questa metafora del calcio e dell’arena, cioè il combattimento che c’è tra le varie componenti. La violenza era proprio nata quando c’era una contrapposizione violenta/fisica tra le due realtà.
Ti riferisci allo scontro tra tifoserie, mentre oggi siamo di fronte ad un’attività legata alla criminalità organizzata.
Oggi siamo davanti a una situazione che non c’entra niente con questo e quindi siamo davanti a una situazione difficile per le Società da debellare e per questo ringrazio ancora e maggiormente la magistratura e le forze dell’ordine con le quali noi stiamo collaborando al fine di garantire trasparenza.
Ci sono due temi generali che vorrei affrontare su questo argomento: uno, lo riferisco anche in base all’esperienza da inviato. Ci sono state occasioni in cui vedevo che la DIGOS stessa chiedeva alle Società collaborazione nel gestire, come una sorta di politica di contenimento del danno e dell’ordine pubblico, i tifosi facendoli avvicinare ai giocatori o facendoli parlare con i dirigenti. Insomma creando un dialogo. Ecco, come si può inserire questa situazione in quello che poi è emerso?
Devo dire che chiaramente è difficile anche contrastare un certo tipo di tensione, di esasperazione, di violenza quando questa è consumata non da 4 persone ma da 400 persone, quindi molto difficile. Io credo che sia un fatto culturale, ecco, bisogna lavorare fin da quando si è alle elementari e far capire che il gioco del calcio è un gioco che appassiona, che coinvolge, è un fenomeno di forte aggregazione ma si deve limitare a quello. Cioè oggi manca la cultura della sconfitta, spesso gli atti violenti si consumano quando ci sono delle situazioni di sconfitte, ma anche a livello periferico perché poi la violenza non si consuma solo nei grandi stadi, si consuma anche nei piccoli campi di provincia. In questo periodo per esempio le vittime sono gli arbitri, anche i giovani arbitri che arbitrano in categorie inferiori. Ecco tutto questo poi si ripercuote maggiormente in questi grandi contenitori che sono gli stadi dei grandi club e si combatte per quanto ci riguarda con un acculturamento. Il fatto di capire, appunto, che il gioco del calcio è un gioco e va vissuto come tale e bisogna saper perdere soprattutto.
Ecco, magari si potrebbe far qualcosa per evitare che i giocatori dopo le sconfitte si debbano esporre a chiedere scusa perché una sconfitta non dovrebbe essere una colpa, ma dovrebbe essere sport.
Assolutamente d’accordo e io sono perfettamente allineato con questo, non ci sono dei giudici che alla fine della partita devono esprimere il loro verdetto, assolutamente. Se si perde evidentemente gli avversari sono stati più bravi, chiaramente c’è il rammarico ma questi processi fatti in campo sicuramente fanno del male anche perché poi quando si parla di grandi club, di grandi partite, c’è un concetto di emulazione e i nostri figli, i nostri bambini, i nostri nipoti vedono queste immagini e da queste immagini assumono dei valori sbagliati, diseducativi e quindi questo sicuramente dobbiamo debellarlo.
Ti sei mai chiesto se avessi potuto, a livello di Società, fare qualcosa in più per evitare fra giocatori e ultras?
Si può e si deve fare sicuramente molto di più, però già oggi esistono figure all’interno del sistema – mi riferisco per esempio allo SLO, alla legge Maroni – che aiutano tantissimo nel garantire una certa trasparenza e quindi noi società possiamo fare qualcosa acculturando anche i nostri giocatori al rispetto di quelle che sono le leggi dello Stato, quelle che sono le norme federali che sono il codice di Giustizia Sportiva che va rispettato. Ecco, noi lo facciamo già perché durante l’anno calcistico facciamo delle lezioni in cui spieghiamo, grazie alla collaborazione delle autorità di polizia, con i nostri calciatori ma poi è difficile entrare nella vita privata di ogni giocatore, la vita privata è qualcosa di cui noi non possiamo controllare e quindi poi lì ecco la parte un po’ d’ombra, grigia, nella quale non possiamo entrare, possiamo magari aiutare il nostro giocatore con una cultura maggiore.
Usciamo da questo argomento ma rimaniamo nell’ambito giocatori. Tu ne hai visti tanti in tanti anni, hai visto tante generazioni passare. Com’è il rapporto con i calciatori oggi e con la generazione di oggi con la tipologia di ragazzi che ti trovi ad incontrare, a gestire, se c’è oggi una tipologia precisa?
Oggi abbiamo a che fare con i ragazzi del 2024, così come avevamo avuto a che fare con i ragazzi del ‘90, quindi è la società attorno che sta cambiando, che sta evolvendosi in modo differente, anche questo poi condiziona chi agisce all’interno del mondo del calcio, quindi i nostri ragazzi. Posso dire che oggi trovo i nostri ragazzi, sia delle giovanili che anche i giocatori della prima squadra, molto più emancipati rispetto a prima e quindi difficilmente subiscono le direttive degli allenatori, dei dirigenti senza un confronto democratico, vogliono spiegazioni ed è giusto che sia così. Di conseguenza, anche io che ho iniziato tanti anni fa mi sono dovuto adeguare ai tempi, e i tempi sono quelli di un confronto maggiore. Oggi il calciatore viene e chiede più dialogo. Quindi io credo che oggi, una virtù, una capacità del leader sia proprio quella dell’ascolto, l’allenatore deve ascoltare, il dirigente deve ascoltare.
Torno all’attualità calcistica, qual è la principale rivale dell’Inter per lo Scudetto?
Intanto grazie perché ci attesti come favorita. Io credo che la griglia sia sempre la stessa perché oggi siamo in una situazione di fine girone d’andata, o quasi, e le favorite sono sempre le stesse. C’è un gruppettino di testa che è composto da Atalanta, Inter e Napoli, ma Milan e Juventus sono pronte a riagganciarsi, quindi siamo veramente in una fase interlocutoria. Credo invece che una delle grandi favorite quest’anno sia l’Atalanta perché ha raggiunto quella maturità, quella credibilità, quella convinzione che non aveva mai avuto. Penso che sia un grande modello da seguire, non certo nei grandi club perché è difficile, però ha dato dimostrazione di poter vincere senza spendere tanti soldi. Mi riferisco per esempio all’Europa League.
Tu hai vinto con Conte alla Juve, poi vi siete lasciati in modo un po’ traumatico, non con te personalmente ma con il Club. La stessa cosa è accaduta quando l’hai ripreso all’Inter e hai rivinto con Conte e adesso qualche volta c’è qualche confronto dialettico sia pure in ruoli diversi, abbastanza vivace. Pensi che sarà una delle caratteristiche ricorrenti da qui alla fine della stagione, questo dualismo?
No, non è un dualismo, io cerco sempre di accendere un pochino di attenzione e spingere l’avversario magari alla pressione, ma questo è quasi un gioco comunicativo. C’è grande rispetto tra le parti, poi è normale che l’aspetto mediatico in Italia sia molto sentito e quindi da una dichiarazione si fa un titolo e questo titolo poi porta al fatto che ci sia una reazione. Ma sono delle dinamiche di un mondo corretto, di un mondo all’interno del quale c’è grande rispetto tra i protagonisti e quindi credo che queste schermaglie dialettiche facciano parte del gioco.
Tu sei alla guida del Club al vertice del calcio italiano ed europeo da 12/13 stagioni consecutive più o meno, sei stato confermato con una proprietà nuova, anzi in un ruolo ancor più rilevante, sposti degli equilibri in Lega, in FIGC e se chiedessi a chiunque del calcio italiano, e forse non solo, “chi è oggi il personaggio più potente del calcio in Italia” penso che quasi tutti mi risponderebbero: Beppe Marotta. Che cosa ne pensi?
No, io sono una persona che ha raggiunto forse il pieno della propria esperienza calcistica in questo settore che conosco molto bene, avendo iniziato proprio da ragazzino, questa esperienza però la metto a disposizione.. Oggi, credo che uno degli aspetti che dobbiamo combattere al nostro interno è quello della litigiosità e dei personalismi esasperati, dobbiamo essere invece tutti uniti nel cercare di portare avanti un fenomeno che a tratti traballa nel confronto delle altre nazioni europee. Ad esempio oggi si crede che il grande problema sia il confronto tra le Leghe e la Federazione quando invece noi dobbiamo rivolgerci alla politica, al governo, perché oggi i grandi problemi sono ad esempio il Decreto Crescita, che non ci dà la possibilità di utilizzare gli stranieri con agevolazioni che invece un manager normale.
Quindi saresti a favore del ritorno del Decreto Crescita?
Certamente. Guarda caso nel momento in cui abbiamo attuato il Decreto Crescita le nostre squadre sono riuscite ad arrivare in fondo in tutte le competizioni in un’annata, Champions League, Europa League, Conference League in finale, ci siamo ritornati, l’Atalanta ha vinto cioè abbiamo messo a frutto quest’agevolazione. Credo che togliendoci quest’agevolazione torneremo ancora indietro nel nostro ranking.
Come rispondi a quelli che dicono che così c’è meno spazio per i nostri giovani italiani?
Basta calibrare il fatto che tu hai questo strumento di agevolazione partendo per esempio da 2 milioni lordi. Due milioni lordi significa che metto un tetto verso l’alto e quindi evidentemente il mondo giovanile non viene toccato. Quindi assolutamente non si va a prendere un giocatore straniero di 16 anni, perché non hai un vantaggio, uno sconto fiscale, mentre tu porti in casa dei giocatori affermati che possono far crescere anche i giocatori che hai già con te.
L’idea di fare il presidente della Federazione o qualcosa di più ampio, il politico, il Ministro dello Sport, perché si è parlato di tutti i ruoli per te quest’anno… Ti affascina?
Sì, grazie, ma io sono un amante e innamorato del mondo del calcio e dello sport, quindi è chiaro che sono molto contento della mia carriera, sono contentissimo di fare il presidente dell’Inter, che mi occupa molto e quindi poi mi dedico a osservare quello che viene intorno a noi. Faccio un altro esempio, una delle grosse pecche che il nostro sistema oggi ha è quello di non poter garantire lo sport in modo gratuito a tutti i bambini, a tutti i ragazzini, oggi per avviarsi a una disciplina sportiva bisogna pagare praticamente la retta e questo secondo me è una cosa che dobbiamo cercare di eliminare. Il ministro Abodi è un ministro moderno, un ministro molto acuto. Bisogna che insieme ad un altro ministro, che è Valditara, creino questo connubio tra attività scolastica e attività sportiva per garantire, all’interno del sistema, lo sport gratuitamente a tutti i giovani.
Quindi ti vedremo ancora a lungo all’Inter?
Sì, all’Inter sto bene, per cui assolutamente spero di dare e contribuire a dare risultati.
Hai fatto due finali di Champions con la Juventus, una finale di Champions con l’Inter e quest’anno hai una squadra fortemente competitiva, anche in Europa. Il fatto di vincere la Champions, possiamo dire che non è un sogno ma un obiettivo o ancora no?
Credo che bisogna sempre garantire l’occasione per essere lì e quindi noi ci dobbiamo garantire quest’occasione, dopodiché si vince e si perde, dipende anche dagli avversari. Ecco, questo è quello che dobbiamo perseguire, perseguire di essere lì al momento giusto e questo è un atto non di arroganza ma di ambizione sportiva. Nello sport bisogna essere ambiziosi, altrimenti non si vince e quando alcuni miei colleghi di grandi club dicono “ma noi dobbiamo arrivare tra i primi 4, dobbiamo accontentarci”, io non sono molto d’accordo, perché bisogna avere la sfacciataggine di avere obiettivi anche magari utopistici, ma credere in questo perché nello sport tutto è garantito.
Hai iniziato a fare il dirigente a 20 anni, adesso ne hai 67 e sei presidente dell’Inter dopo una grande carriera. C’è un metodo Marotta che è rimasto uguale da quando hai iniziato fino ad adesso?
Il mio metodo è quello di aver ascoltato tutti quelli che erano più vecchi di me e che mi davano un contributo di crescita, che sono stati tutti i dirigenti del mondo del calcio che ho frequentato. Dopodiché ora, nella parte seconda della mia vita, che è questa, cerco di dare quello che ho ricevuto. Gli insegnamenti che ho ricevuto cerco di trasmetterli a quelli che sono più giovani di me.
Ti diverti ancora?
Molto, mi diverto moltissimo, se non provassi questo divertimento non farei questo lavoro perché bene o male negli anni ho dato tanto e la passione è quello che stimola, l’adrenalina che ti dà una partita, credo che nella vita normale non te la dà niente, nessuno.
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