Partiamo da una doverosa premessa, anche perché sotto gli occhi di tutti. La Juve è forte, di certo la più forte in Italia, nella “mediocre” Serie A. La potenza economica dei bianconeri, difficilmente raggiungibile da altre squadre italiane, ha permesso a Conte e Marotta di creare una macchina quasi perfetta al di qua delle Alpi. Altro discorso quando si travalicano i confini italici, ma sorvoliamo su quest’aspetto. Una supremazia netta, costruita a suon di ingaggi milionari e campagne acquisti degne di Real e Barcellona, ed anche da un pizzico di benevola fortuna (cosa fondamentale per qualsiasi squadra). Fin qui tutto nella norma, i soliti complimenti a mister Conte, all’arguto Marotta e al “mecenate” Agnelli. Insomma le stesse cose che sette giorni su sette, ventiquattr’ore su ventiquattro ci propinano all’unisono i vari giornali e tg sportivi. Una manifesta superiorità (o inferiorità della altre, fate voi) più volte (giustamente) sbandierata dai tifosi bianconeri.
Se siete juventini potete anche fermarvi qui. Questa introduzione è la summa di tutto ciò che vorreste sentirvi dire. Belli, bravi, forti, vincenti. Se non fosse che questo ritornello si presta a diventare l’alibi perfetto, in campo e soprattutto fuori.
Il recente derby col Torino ha lasciato strascichi più che polemici. Da un lato i fedelissimi tifosi bianconeri, dall’altro tutto il resto. I primi a ripetere “Siamo i più forti!”, i secondi a gridare “Sapete solo rubare!”. Nel mezzo un rigore non dato al Torino per fallo su El Kaddouri da parte di Pirlo, e un mancato rosso a Vidal. E questo è solo quello che è successo in campo. Di ciò che è successo sugli spalti parleremo dopo. Ora, lungi dal voler criticare la classe arbitrale italiana che, umanamente, può benissimo incorrere in valutazioni errate, la nostra disamina si vuole concentrare piuttosto sulla “abitudinarietà” di determinati errori e su quel finto buonismo che impone un politically correct anche di fronte a situazioni gravi. Non serve aver sostenuto un corso d’arbitro per affermare a gran voce che quello su El Kaddouri era rigore, così come il mani di Vidal era rosso. E, continuando: i gol di Tevez a Verona in fuorigioco e i due rigori non dati agli scaligeri, la rete invece annullata a Paloschi del Chievo, il gol di Llorente contro il Napoli in fuorigioco, o le mancate ammonizioni (doppio giallo, ergo rosso) dei vari Chiellini, Bonucci, Lichtsteiner. Episodi contro? Certo capitano, sono pochi, una rarità ma capitano. E finiscono per essere un alibi nei confronti di quelli a favore. Un episodio contro ne giustificherebbe decine a favore. Una casistica imbarazzante a confronto di quello che succede ad altre squadre. Per fare un esempio la Roma ha si beneficiato di un rigore generoso contro il Napoli, ma lo stesso penalty non le fu assegnato contro il Torino. E lo stesso Napoli, dopo il torto subito contro la Roma, ha beneficiato di un rigore inesistente contro la Fiorentina. Ma guai a parlarne. Una critica equivale ad un affronto, ad una lesa maestà. “La Juve vince perché è più forte, non perché è aiutata!” o ancora “Il Torino ha fatto solo un tiro in porta”. Beh, se davi il rigore può darsi che con due tiri in porta facevano 1-1. Lungi dal voler intravedere, come ipotizzato da qualcuno, una sorta di Calciopoli II, bisognerebbe quantomeno avere l’onestà intellettuale di ammettere che quest’anno alcuni punti della Juve sono arrivati grazie a “sviste” arbitrali. E non abbiamo neanche tirato in ballo la sudditanza psicologica, cosa che, per bocca di arbitri, sarebbe anche vera.
Il campo purtroppo è solo una faccia della medaglia. Sul mancato rosso a Chiellini o sul calo di zuccheri che fa crollare Pirlo, con puntuale fallo a favore, possiamo e dobbiamo anche passarci sopra. Ciò che invece non può e non deve passare inosservato è quello che accade fuori. Che è di gran lunga peggio. I vergognosi striscioni su Superga sono solo l’ultima triste pagine di una storia fatti di mezze punizioni, se va bene. Dai cori sul Vesuvio e quelli contro Facchetti, passando per i “buu” razzisti. Ora, una parte del tifo continuerà a sostenere a spada tratta la “libertà d’espressione” e a considerare sfottò queste cose, un’altra (quella bianconera) si appellerà, come nel più classico “mamma ha cominciato lui” a striscioni e cori sull’Heysel. Ma nessuno qui giustifica quei cori altrettanti beceri, e guai a noi se lo facessimo. Ciò che stiamo analizzando è il diverso metro che la giustizia sportiva e l’opinione pubblica ha nei confronti della Juve. In tre anni di Juventus Stadium (impianto di proprietà, è bene ricordarlo) la Juve ha ricevuto una sola volta la squalifica delle curve, per i cori sul Vesuvio. Squalifica solo parzialmente scontata, in quanto i posti abitualmente riservati agli ultras furono presi dai bambini, logicamente accompagnati (da chi non ci è dato saperlo). Il risultato? Angeliche vocine che all’unisono gridavano “Merda!”, con annessi applausi dell’intera gerarchia calcistica italiana per una società e un mini-pubblico “modello”. E per i cori di domenica su Superga? La notizia è ancora fresca: 25mila euro. Spiccioli per una società con un fatturato da 300 milioni annui. Ma cosa c’entra la società, direte voi. Già, perché il buon Andrea Agnelli s’è anche dissociato da tutti i cori offensivi. Beh, basti pensare che il rampollo di casa Agnelli da quasi quattro anni conduce una battaglia contro la Figc per la restituzione degli Scudetti di Calciopoli. Una battaglia che è sfociata in una serie di “insubordinazioni” che hanno portato prima all’eliminazione delle stellette dalla maglia, poi all’esibizione di un 31 in bella vista allo Stadium ed infine a diverse decine (il conto l’abbiamo peso) di dichiarazioni che millantano un complotto anti-Juve nel mondo del pallone. Senza che la Figc avesse mai pensato a richiamare all’ordine solamente qualcuno dei protagonisti della vicenda. Così capita che lo stesso tecnico Conte, in preda ad una comprensibile “rabbia”, si permette di definire “revocati” gli Scudetti di Capello. Apriti cielo. Non si può dire. Calciopoli diventa tabù, il più grande scandalo della storia calcistica italiana si trasforma in un’abile mossa propagandistica per rivendicare la superiorità bianconera. E lo stesso calcio sta a guardare, perdendo credibilità ad ogni dichiarazione non ribattuta.
Discorsi da bar, diranno in molti. Tanto alla fine, nel calcio come nella vita, conta solo una cosa: vincere. D’altronde è proprio il loro motto: “Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta”. Ecco, l’unica cosa che conta. Perché, in fondo, loro hanno capito tutto. Alla faccia di Turone, di Muntari, di Iuliano-Ronaldo, del doping e di calciopoli. Alla fine chi vince ha sempre ragione, è sempre il “più forte”. Voi continuate a vincere, a cantare impunemente quello che volete, e a mandare bambini accompagnati nei vostri settori. A noi, poveri perdenti, quelli “scarsi”, lasciateci almeno il diritto di dire, e di urlare che su El Kaddouri era calcio di rigore!
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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