Ancelotti mette d’accordo tutti. Almeno virtualmente. Perché poi nella pratica tutti sanno che la proposta choc di Carletto («sospendiamo le partite quando iniziano gli insulti») non è assai praticabile. «Sarebbe bello – ammette sconsolato il presidente della Figc Gabriele Gravina – ma lo vedo di difficile attuazione». Un modo per dire: quante partite arriverebbero al 90′? Certo, le chiacchiere se le porta via il vento, però Ancelotti squarcia davvero il velo al calcio italiano, lo mette con le spalle al muro, lo obbliga a confrontarsi con il resto dell’Europa calcistica. Non è solo il mondo del pallone che Carlo mette in un angolo con il suo intervento, ma è la visione complessiva del nostro Paese. Lui che è osservatore privilegiato, dopo le esperienze a Madrid, Parigi, Londra e Monaco di Baviera. Il suo è un grido forte: Ancelotti non vuole arrendersi alla banalità di chi accetta cori, parolacce, minacce, insulti a genitori e figli di allenatori e calciatori, come fosse una cosa normale, sopportabile, per cui tirare dritto come nulla fosse. Si può e si deve fare qualcosa, dice con forza. Dimentica, forse, che quasi tutti i club della nostra serie A fanno puntualmente ricorso quando vengono chiuse le curve per cori di discriminazione territoriale o per gli ululati razzisti nei confronti di giocatori di colore.
Carlo riprende il discorso da dove aveva finito a Castel Volturno. Pochi giorni fa. Il filo del ragionamento è lo stesso, quello intavolato per prendere le difese di Mourinho. «Non si può pensare di subire per tutta la partite degli insulti dagli spalti. Qui da noi si vive il calcio come una battaglia, all’estero non c’è chi ti insulta, in Inghilterra è impossibile perché persino quando giochi in trasferta i tifosi della squadra avversaria chiedono di fare una foto con te. All’estero sono più avanti di noi nella strutture ma anche a livello culturale. Fuori non c’è mai la maleducazione che c’è nei nostri stadi. Possiamo migliorare molto: possiamo sospendere le partite, non solo per la pioggia». Ecco, dal pubblico di allenatori arriva l’applauso. E anche dopo, i tecnici fanno a gara per dire che Carlo ha pienamente ragione. Per primo Di Francesco, il tecnico della Roma: «Condivido in pieno, sarebbe davvero bello fischiare la fine di un incontro quando cominciano a insultarti». Bello ma complicato.
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