E’ passata poco più di una settimana dagli attentati di Parigi che hanno scosso il mondo ridestandolo da un torpore di cui esso stesso è parzialmente responsabile. L’attacco terroristico in Europa ha colpito le coscienze di tutti ma il mondo, quello vero, ha ripreso a fare ciò che in realtà ha sempre fatto, andare avanti. Perfino Madrid, una delle città più sicure al mondo, si è resa conto che qualcosa di diverso c’è. Quando lunedì 16 Novembre inizia la settimana del ‘Clasico’, la sfida che ogni appassionato di calcio cerchia in rosso sul proprio calendario, Madrid sa bene di non potersi permettere di sbagliare contro un nemico che potrebbe essere benissimo nascosto anche nel suo ventre.
Real Madrid-Barcellona non è solo una partita, oggi rappresenta probabilmente ciò che di meglio si può osservare su un rettangolo verde, Bayern Monaco permettendo. Ecco perché chi per un motivo o per un altro, come me, si ritrova nella capitale spagnola, un tentativo, per entrare al Bernabeu ad assistere a ‘La Partita’, deve farlo. E lo fa, a vuoto ma lo fa. Sold out ancora prima di cominciare, poi ogni tanto qualche biglietto appare, frutto di qualche rinuncia dettata dalla paura, o da semplici impegni fuori programma ma non si è mai troppo veloci per arrivare prima degli altri e nemmeno si ha un portafoglio sufficientemente pieno. Il biglietto più economico per assistere a ‘El Classico’ costa(va) 80 euro e via via che ci si avvicinava al campo i prezzi lievitavano fino a raggiungere i 300 euro delle prime file, eppure trovare un biglietto diventa impossibile. Allora non si può far altro che armarsi di pazienza e cogliere comunque l’occasione di andare ad assaggiare un ambiente fuori dall’ordinario, per toccare così con mano, anche se in maniera defilata, l’atmosfera de ‘El Clasico’. Ci si rende subito conto che questa non è una partita come le altre, tanto meno un ‘Clasico’ come gli altri. Appena due settimane fa, sabato 7 novembre, ho avuto modo di assistere all’ambiente del Ramón Sánchez-Pizjuán pochi attimi prima della sfida tra il Siviglia e il Real Madrid vinta poi dagli andalusi per 3 a 2. Il clima è di tutto un altro livello ma non per ragioni tecniche dettate dall’importanza della partita. Al Ramón Sánchez-Pizjuán era possibile, letteralmente, arrivare a toccare con mano le mura dello stadio pur essendo privi di biglietto. Si poteva vivere il clima prepartita cantando e danzando con i tifosi andalusi e portando con se qualche ricordo, una foto, una sciarpa. Una festa più che una partita, qualcosa a cui purtroppo, da noi, non siamo più tanto abituati, specialmente negli incontri di cartello. A Madrid, il 21 novembre, è un’altra storia. I controlli sono serrati, la gente dice di non aver paura ma in realtà mente a se stessa perché nell’aria si avverte tensione e si sta con gli occhi aperti alla ricerca di ogni minimo movimento sospetto. Perché il pensiero di tutti va a quanto è successo a Parigi, perché non potrebbe accadere qui? E’ per questo che i controlli cominciano a più di un chilometro dallo stadio. C’è polizia ovunque e tutti quelli che indossano una sciarpa, che sia del Real o del Barcellona (per me resta una ‘piacevole stranezza’, assistere a tifosi di squadre diverse che vanno tranquillamente allo stadio insieme mettendo in mostra i propri colori), vengono perquisiti. Con il mio chiaro accento italiano domando ad un’agente se ci siano stati problemi fino a quel momento, all’inizio fa fatica a capirmi poi la sua risposta è lapalissiana: “Todo tranquilo”, è perché dovrebbe essere altrimenti, intanto però mi perquisisce e mi chiede di mostrargli le foto che avevo scattato fino a quel momento domandandomi il motivo per ognuna di esse. Siamo solo all’inizio. Metro dopo metro incontro sempre più tifosi e si comincia finalmente ad entrare nel clima partita. Mi imbatto in due ragazzi catalani, tifosi ovviamente del Barcellona, Fernando e Diego. Direzione Bernabeu. “Biglietto?” Domando con il mio solito accento italiano, “Estamos Buscando”, lo stiamo cercando. Allora decido di unirmi a loro colto da un’improvvisa fiammata di speranza, se c’è gente che cerca un biglietto vuol dire che è ancora possibile entrare. Con Fernando e Diego si parla in lingue differenti ma il calcio nel bene e nel male unisce e si finisce per parlare lo stesso linguaggio e capirsi. La passione è anche questa, farsi oltre 500 kilometri in pullman sperando di assistere ad una partita pur sapendo che c’è la concreta possibilità di restare fuori. A Madrid fa freddo, soprattutto in inverno, però, quando siamo vicino allo stadio avvertiamo una strana fibrillazione. La gente è felice e non ha paura perché per un attimo ha dimenticato, vuole solo entrare e godersi Messi e Ronaldo. Guardo e ascolto, non sento solo il castigliano, si parla in inglese, in cinese, in francese, in italiano anche, è Giovanni, un infermiere bolognese che vive da 7 anni a Madrid, ha incontrato sua moglie durante un viaggio di studio 10 anni fa e non se ne è più andato ed oggi è qui per tifare Real, con il biglietto per la partita a differenza nostra. Cominciamo a scorgere lo stadio come scenografia di questo frammento di Madrid, vediamo bandiere, del Barcellona, del Real Madrid, insieme, a momenti sembrano quasi di più i tifosi catalani. India, Australia, Giappone, Stati Uniti, Canada, è un evento mondiale, è la Woodstock del pallone, fatte le dovute proporzioni. Sul più bello però la polizia ci ferma. “Entradas!”, Biglietti. Ci accorgiamo che non è una domanda ma un ordine, siamo a 300 metri dallo stadio ma oltre non si può andare se non si hanno i biglietti. Allora con il mio solito accento italiano domando se posso avvicinarmi un po’ di più per fare delle foto, con l’indice mi indicano dove andare, dietro una transenna, ancora più lontano di dove mi trovo adesso. Faccio un altro tentativo, domandando se tutto stesse andando secondo i piani e se ci fossero stati problemi. “Todo tranquillo”, ancora una volta, stupido io a domandare. Allora mi fermo, con Fernando e Diego, in un piccolo spiazzale a 300 metri dallo stadio. I due ragazzi catalani tirano fuori un cartello, di quelli che si vedono all’aeroporto con sopra scritti i nomi dei passeggeri. “Compro Entradas”, compro biglietti. La cosa lì per lì mi fa ridere, non ne capisco il senso. Perché dovrei vendere a dei perfetti sconosciuti un biglietto di una delle partite più importanti del mondo? Eppure Fernando e Diego non sono i soli, ci sono altre tre persone con un cartello, “Buy Tickets” e c’è anche John, dagli Stati Uniti, che è a Madrid per lavoro. Cerca anche lui un biglietto, tifa Barcellona. Gli chiedo se ha avuto fortuna fino a quel momento e se si fosse fermato qualcuno. Mi dice che la gente si ferma, è normale assistere a scene del genere per eventi così importanti. Allora gli domando quanto gli avessero chiesto per comprare il biglietto. Mi dice 600 euro, altri 500, il più economico 400, ma lui è deciso, sopra i 200 non vuole andare. “Suerte” mi dice, gli rispondo allo stesso modo. Buona fortuna John. Torno da Fernando e Diego, decido di dargli una mano, magari salta fuori un biglietto anche per me. John aveva ragione, la gente si ferma. Le richieste però sono assurde, 700 euro, 570, uno addirittura 1000. Stiamo lì per quasi un’ora, continua ad arrivare gente ma nessuno sembra voler cedere il suo biglietto a prezzi più umani. Gira la voce che Messi è in panchina, Fernando e Diego allora ci riprovano: “Con Messi 600, senza 200 euro.” Non gli danno ascolto. O 500 euro o niente. I minuti avanzano e dalla flebile speranza sono tornato ad uno stato di rassegnazione, al Bernabeu si comincerà senza di me. Intanto ritorna di nuovo la polizia, ci chiedono di andare via perché lì, senza biglietto, non possiamo stare. Arriva un’ondata di gente, ragazzi, bambini, persone di ogni età e cultura si avvicinano verso lo stadio. Intanto si alza il vento e vola via qualche transenna. Lì non possiamo più stare. Nella baraonda generale perdo di vista Fernando e Diego, provo a cercarli con lo sguardo ma c’è troppa gente allora decido di andare via. Di cercare un bar o un pub per poter assistere alla partita, anche perché comincia a far freddo e i minuti passano. Ne trovo uno non molto lontano dallo stadio, entro e chiedo al barista se c’è un posto. Mi trova un sedia in mezzo ad altri otto ragazzi, sono tutti baschi e tifano per l’Atletico Bilbao, loro ovviamente conoscono Napoli, io avrei fatto volentieri a meno di ricordare. La partita comincia, ordino una birra, c’è uno strano silenzio, in sottofondo l’inno della Marsigliese, poi il calcio d’inizio, quasi non si fa il tifo per rispetto. Poi accade tutto in un attimo, al 10′ segna Suarez, mi aspetto silenzio e rassegnazione, invece il pub esplode di gioia, non tutto ovviamente ma buona parte, ha segnato il Barça e si fa festa a Madrid, magari anche Fernando e Diego che chissà, alla fine avranno trovato il loro biglietto per il Bernabeu, e festeggiano anche i baschi e io li guardo con sorpresa. “Un basco non può tifare Real Madrid!” mi dice uno di loro, questa volta lui con chiaro accento euskera, ma questa è un’altra storia… Quella di questa sera si colora ancora una volta di blaugrana, 0-4 senza riserva e senza Messi che per davvero è partito dalla panchina, a Madrid si brinda e si canta in catalano, di nuovo.
Dal nostro inviato a Madrid Andrea Cardone
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