Protagonista del grande calcio internazionale ormai da anni, Fabio Cannavaro ha lasciato da tempo il calcio occidentale per diventare tecnico in Cina. Dopo l’ottima esperienza sulla panchina del Tianjin Quanjian l’ex Pallone d’Oro partenopeo andrà nella “Juventus di Cina”, il Guanzghou Evergrande, che, ha trionfato negli ultimi sette anni. Ecco le sue parole nell’intervista a Il Mattino:
“Emozionato? No, direi che più che altro non vedo l’ora. Anche se so che appena arriverò lì mi mancherà Napoli”.
Un Mondiale senza Italia?
«Ne ho già assaporato l’amarezza a Mosca, nel giorno del sorteggio dei gironi. Io c’ero e mi sono sentito una specie di pesce fuor d’acqua. È stato tutto diverso prendere parte a una festa e rendersi conto di non essere altro che un ospite».
Che cosa deve fare il nostro calcio per rialzarsi?
«Per prima cosa smettere di inseguire i modelli altrui. Mi fa ridere l’idea di dover imitare la Germania o l’Inghilterra o la Francia. Abbiamo la nostra cultura e la nostra tradizione e ripartiamo da qui. Ovvio, con nuove regole. Abbiamo toccato il fondo e può essere più facile far accettare delle decisioni».
In Germania abbiamo toccato il cielo con un dito. Poi cosa è successo?
«Eravamo ammalati già allora, solo che quella coppa del Mondo e la finale anche dell’Europeo del 2012 hanno nascosto i nostri problemi, hanno fatto perdere di vista i veri obiettivi. Dovevamo già iniziare da tempo un processo di cambiamento, che ora non possiamo più rinviare anche perché la gente non aspetta altro».
Tavecchio ha pagato, Ventura pure. Ma i calciatori che sono andati in campo con la Svezia colpe non ne hanno?
«Non mi pare che ci sia chi non abbia dato il massimo. Non mi sembra che ci siano state delle loro responsabilità».
Chi è la favorita in Russia?
«Brasile e Germania sono sempre quelle che alla fine trovi almeno in semifinale. La Francia è molto forte, un buon gruppo. Ma per me questa è la volta buona che il Belgio possa regalarsi delle belle soddisfazioni».
E per la sua Napoli, nell’anno nuovo, cosa si augura?
«Sono preoccupato. Purtroppo c’è un senso di abbandono in tutto. Ed è un peccato. Le strutture sportive sono carenti. Quando passo per l’Italsider, dove dalla Loggetta prendevo il bus 141 per andarmi ad allenare, mi chiedo come sia possibile che non sia stato fatto ancora nulla in tutti questi anni. Ogni volta ho un colpo al cuore. Il centro Paradiso non esiste più e bisogna fare un progetto per ripristinare i tanti campi del centro cittadino che non ci sono più. Io mi chiedo? Vero, ci sono una miriade di scuole calcio, ma una volta finita la lezione di un’ora, dove vanno a giocare migliaia di ragazzini? Io lo facevo per strada ma ora non è più possibile».
Il Collana è una ferita ancora aperta?
«Meglio che mi stia zitto. … è assurdo, hanno avuto la possibilità di dare a un privato che avrebbe investito soldi, tanti soldi, un impianto che ha fatto la storia di Napoli e invece… Lo avremmo recuperato e rilanciato, fatto divenire un fiore all’occhiello della città. Certi atteggiamenti faccio fatica a comprenderli».
Sullo scudetto: «Il primo anno con Capello alla Juventus, nel 2004, eravamo in 14. Eppure alla fine il campionato lo vincemmo noi. La rosa corta non deve essere un alibi, perché è vero che Inter e Juve in termini di organico hanno molte più alternative, ma alla fine giocano quasi sempre gli stessi».
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