Il settore giovanile del Napoli, specie con l’avvento di De Laurentiis, non ha mai goduto di grande luce. Strutture non all’avanguardia, mancanza di servizi navetta per gli spostamenti, risorse economiche che vengono impiegate poco e male, ma non solo.
Questo ed anche altro noi di IamNaples lo abbiamo analizzato nel dettaglio con Vincenzo Vasca, classe ’99 ed ex azzurrino, che oggi ha già dato il suo addio al calcio, a cui rivolgiamo in anticipo il nostro ringraziamento per la disponibilità.
Guardando al tuo passato in azzurro, hai qualche remore nei confronti della SSC Napoli?
“Sebbene molto giovane, ho avuto modo di sviluppare in me un forte spirito critico e non nego che il settore giovanile del Napoli soffre di grossi problemi. Ma non ne parlo da persona risentita, perché ho scelto con coscienza di lasciare il calcio. Tuttavia, frequentando tutt’ora ambienti calcistici, mi sono fatto la mia idea.
Sulla gestione organizzativa: “Per una realtà che compete nelle massime competizioni europee, la gestione del settore giovanile dovrebbe basarsi innanzitutto sull’ingaggio di persone competenti in termini non solo puramente calcistici ma anche di organizzazione dirigenziale, che sappiano fornire alla società uno stampo manageriale. E’ fondamentale, cioè, investire soldi ma investirli bene in dirigenti e strutture. Ed io, purtroppo, vedo nel Napoli una forte carenza in tal senso”.
Sulla figura dell’allenatore: “Ci tengo poi a fare un appunto anche sulla figura dell’allenatore e le tecniche di allenamento utilizzate. A mio modo di vedere, un grosso limite del settore giovanile del Napoli è quello di non puntare abbastanza su ogni elemento della rosa. Ai tempi in cui c’ero io, venivano valorizzati soltanto alcuni quando, in realtà, un ragazzo del settore giovanile può far meglio di chi l’anno precedente era stato considerato più pronto rispetto a lui. Porto a sostegno della mia tesi l’esempio dell’Espanyol, realtà con cui ho avuto modo di interfacciarmi. Lì tra il primo e il secondo tempo venivano sostituiti 7 giocatori (se ne potevano sostituire così tanti), in modo tale che a fine gara tutti avevano disputato praticamente gli stessi minuti. Gli allenatori devono soprattutto recuperare il loro ruolo di istruttori e non pensare solo ed esclusivamente alla vittoria di un campionato, a raggiungere il traguardo, quindi alla valorizzazione personale: loro sono prima insegnanti di calcio e poi allenatori. Ecco, nella mia esperienza pochi si sono rivelati insegnanti. Il rischio è quello di valorizzare molti meno ragazzi in rapporto alla quantità di talenti che ci sono in giro per la Campania e ne ho visti davvero tanti”.
Sui metodi di allenamento: “Per il modo in cui intendo io il calcio adesso, gli allenamenti dovrebbero essere spezzettati. Nell’arco della settimana, un giorno dovrebbe essere dedicato all’allenamento collettivo, un altro a quello individuale, un altro ancora legato ai ruoli. Gasperini, ad esempio, è solito dividere il campo di allenamento in piccole porzioni, ognuna dedicata ai singoli reparti”.
Sull’addio al calcio: “E’ un mondo in cui non mi ci rivedevo più, ma non è l’unica motivazione. Io ho preso la scelta consapevolmente riconoscendo i miei limiti. Mi sono ritrovato a bazzicare tra Serie D ed Eccellenza, sognavo un giorno di arrivare in Serie A ma non ci sono riuscito. Non attribuisco, però, alcuna colpa al Napoli, che è la società di rango maggiore in cui ho militato, rifarei sicuramente quella scelta. Certo, con la presenza di dirigenti preparati, qualcuno che mi indirizzava, avrei potuto far meglio, ma parte della colpa è mia. Il motivo principale che mi ha spinto a lasciare così presto è che il calcio a quei livelli è diventato invivibile, lo vediamo oggi con la pandemia che ha creato grosse difficoltà anche in squadre di Serie C che non riescono nemmeno a pagare i calciatori.
Ho pensato realisticamente al mio futuro, a come potevo crearmi una famiglia e sostenerla e certamente il calcio attuale ai livelli in cui ho militato non ti permette di farlo. Fortunatamente ho anche una famiglia alle spalle che mi ha aiutato tanto, mi ha permesso di iscrivermi alla facoltà di Giurisprudenza, ad impegnarmi in politica per via della mia socialità, la quale mi consente di poter migliorare anche nel mio lavoro futuro: ad essere sincero, perciò, non rimpiango la scelta di aver appeso gli scarpini al chiodo. Abbandonare il sogno che cullavo sin da bambino non è stato facile, ho sofferto, però questa decisione mi ha aiutato a crescere come persona e la rifarei sempre”.
Sul presente: “Continuerò a dedicarmi ai bambini che alleno e a donare loro tutta la mia esperienza calcistica e di vita, per me già è una cosa importante questa. E soprattutto, non commetterò con loro gli stessi errori che i dirigenti del Napoli hanno commesso con me e tanti altri ragazzi”.
A cura di Giuseppe Migliaccio
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