Scrivi “Brasile”, leggi “Mondiali”, delirio forse, tra goal e rivolte il primo tempo si è concluso, la fase a gironi archiviata. Ora non si può più sbagliare, i primi tre passi permettono rimedio, dal quarto in poi è un altro sport quasi, per altri uomini. I mondiali scandiscono il tempo, la vita di ognuno di noi, in parte specchio del mondo, sono unione di due anime, Europa e America, che si contendono l’incisione sulla coppa, così lontani ma Pangea di una nuova terra, con centro carioca, per poco più di un mese.
“Il Mio Miglior Nemico”
“Mick Jagger conduce gli Stones, John Lennon conduce i Beatles; è veramente difficile metterli assieme” (Federico Buffa), sintesi perfetta del bipolare rapporto tra Lionel Messi e Neymar Jr., anime di Argentina e Brasile, parte felice dell’ombrosa annata catalana, 4 goal a testa e tanto potrebbe bastare ma c’è molto di più dietro, veri trascinatori dei paesi che farebbero da cornice ideale del Maracanà il 13 luglio, eppure i dubbi c’erano, le difficoltà al Barcellona, l’ex Santos che spesso è partito dalla panchina e la Pulga che ha vissuto il suo anno più complicato in blaugrana con più di un’ombra sulle sue condizioni di salute, quando tutti i titoli eran pronti a decantare le loro disfatte Messi e Neymar hanno guidato Brasile e Argentina agli ottavi da leader indiscussi. Albiceleste e Seleção si sono strette alle spalle dei due numeri 10, con l’abdicazione di Ronaldo che resta a guardare dopo aver dominato l’Europa nei nove mesi precedenti, obrigado CR7 ma è na noite de dez, la noche del dièz, la notte del 10, ancora una volta.
“La guerra dei Mondi”
E’ l’Europa contro le Americhe, come lo è sempre stato, con una sfumatura di Nigeria e Algeria, l’Africa che non ti aspetti, che ribaltano il pronostico di chi voleva Costa d’Avorio, Camerun e Ghana grandi protagoniste e piacevoli conferme, la loro vittoria l’hanno già ottenuta, Germania e Francia due scogli insormontabili, almeno fino al fischio d’inizio. C’è un oceano di mezzo alla coppa del Mondo, questione di cultura, ritmo e fantasia contro organizzazione e disciplina, o almeno era così una volta, il calcio del nuovo millennio è l’emblema della globalizzazione e il mondiale carioca non è che una conferma.
“L’impero del Sole”
Doveva essere il mondiale delle sudamericane e così è stato, almeno fino agli ottavi di finale. E’ l’America intera a non deludere, ci sono anche Stati Uniti, Messico e Costarica. Non è più il calcio dei nostri padri quando al di là dell’Oceano si rimaneva stregati per la fantasia e l’imprevedibilità, oggi c’è organizzazione di gioco, la solidità difensiva, è così che la Costarica ha sbaragliato Uruguay, Inghilterra e Italia, subendo un solo goal su calcio di rigore, ora la Grecia, avversario alla portata per i ragazzi del C.T. Pinto la vera rivelazione del mondiale carioca. E’ il mondiale del Chile di Sampaoli, che modella il tiki taka catalano dandogli maggiore verticalità, come nella prima versione di Guardiola, con interpreti di livello, Sanchez e Vidal, attaccante e centrocampista emblemi del nuovo calcio, uomini tuttofare, atleti a tutto campo e leader della Roja cilena. C’è la Colombia di Pekerman, squadra solida e concreta, con le ali più veloci del mondiale, Grecia, Costa d’Avorio e Giappone le vittime dei cafeteros guidati dalla stella mancina di James Rodriguez, ancora un numero 10, e dall’esplosività di Cuadrado, alla tesi di laurea nell’università calcistica carioca, contro l’Uruguay di Tabarez, tutta muscoli e orgoglio, e testa… quella di Godìn, l’uomo del destino Colchoneros, che fa fuori l’Italia che però si porta con se Suarez, costa 9 giornate il morso a Chiellini, e si affida adesso a Cavani e a quel che resta di Forlan per l’ennesimo guizzo Celeste. E poi ci sono sempre loro, Brasile e Argentina, nella difficoltà degli esordi, con i fantasmi nell’aria e con la sicurezza degli sceneggiatori più illustri, Neymar e Messi che le trascinano agli ottavi calciando via la paura, a giro o su punizione sopra la barriera.
“Posti in piedi in Paradiso”
E’ l’Europa che prova a rovinare la festa, nel volto noto di Germania e Francia, nella rivoluzionaria Olanda di Van Gaal e nel nuovo che avanza di Belgio e Svizzera. In punta di piedi contro il dominio sudamericano ma neanche poi tanto se ti chiami Germania, Löw e i suoi uomini per ribaltare la storia, il blocco Bayern a guidare lo Sturm Und Drang, tempesta e impeto tedesco nell’estro di Thomas Müller, nella fantasia di Götze e Özil. Parte in silenzio la Francia di Deschamps, col fulmine a ciel sereno dell’infortunio di Ribery e un lavoro di ricostruzione dopo la delusione sudafricana, oggi è agli ottavi di finale, con un progetto nuovo, un grande leader nel nome di Karim Benzema e tante piccole stelle pronte alla definitiva esplosione, come Mangala, Pogba e Griezmann, prima l’Algeria, un vero e proprio derby coloniale, poi chissà, con i tedeschi all’orizzonte. Rivoluzione Orange per Van Gaal, con un’Olanda che è sempre più Arancia Meccanica, fossilizzando il 4-3-3 per un 5-3-2 che esalta gli esterni Blind e Janmaat oltre le straordinarie qualità di Robben in una forma straripante, vero incubo per le difese di Chile, Spagna e Australia, ora il Messico per la via già scritta verso le semifinali, salvo eventuali sorprese. Ce lo aspettavamo più spettacolare il Belgio di Wilmots e invece, in questa centrifuga culturale tra fiamminghi e valloni, abbiamo scoperto una squadra solida e cinica, con vittorie di misura giunte nei minuti finali, un solo goal subito su calcio di rigore e spruzzate di calcio offensivo con sfumature di Hazard e Mertens e della piacevole sorpresa Origi, nella spasmodica attesa di Romelu Lukaku assente ingiustificato nell’attacco Red Devils fino a questo momento, agli ottavi l’altra sorpresa, gli Stati Uniti di Jurgen Klinsmann, orgoglio del presidente Obama e di un paese intero che si è scoperto improvvisamente tifoso di calcio. C’è anche la Svizzera di Hitzfeld, da discussa testa di serie agli ottavi di finale, con tanti alti e bassi colorati dal talento di Shaqiri, tre goal all’Honduras per la qualificazione, ora l’Argentina di Messi in un match dove i rossocrociati non avranno nulla da perdere contro un’albiceleste che comincerà ad avvertire la pressione dei momenti decisivi.
“Prigionieri dell’Oceano”
Lo sono state europee e africane, Italia, Spagna, Inghilterra, Portogallo, Costa D’Avorio e Ghana, in balia dell’uragano sudamericano, vittime degli eventi, in crisi di identità e di gioco. La fine di un ciclo per la Spagna di Del Bosque, spenta nel fuoco dell’ardore che le aveva permesso di mettere il mondo ai suoi piedi, nel Tiki Taka che da utopia rivoluzionaria diviene prevedibile e sterile nel concetto nella forma e vittima di un ricambio generazionale che è rimasto a guardare il mondiale in TV, nei nomi di Llorente, Callejön e Borja Valero, prede della riconoscenza catalano/madrilena. Paradiso Amaro il Brasile per l’Italia di Prandelli che si affacciava con tante speranze alla rassegna carioca e rimasta vittima di se stessa, di una frattura generazionale creatasi dal 2006 ad oggi e dalla crisi del settore giovanile che non produce più i talenti di un tempo ma superstar senza merito prigioniere del proprio ego. Fallisce il Portogallo di Bento e di Ronaldo, arrivato in condizioni precarie ci ha messo la faccia e tutto se stesso, lasciato solo sull’isola dai lusitani, ma il talento a volte non basta, specie se porta un’unica firma.
“L’oro di Napoli”
Luci e ombre nella Napoli mondiale che si affacciava con entusiasmo in Brasile. Ridotte in polvere le speranze dello scugnizzo Lorenzo Insigne, mezz’ora e nient’altro contro la Costarica, in un’Italia in crisi di identità fatica a ritagliarsi il suo spazio, finisce a rincorrere gli avversari per il campo pagando con un prezzo troppo caro lo scotto dell’esordio. Difficoltà anche per Gonzalo Higuaìn, oscurato dalla luce accecante di Leo Messi, perso nella congestione offensiva albiceleste e in ritardo di condizione, serviranno anche i goal del Pipita per guidare l’Argentina al successo, ora più che mai dopo il saluto di Aguero; note positive per El Flaco Fernandez, sempre titolare al fianco di Garay con Mascherano che gli fa da scudo, la fiducia di Benitez e Sabella paga e la crescita di Federico è tangibile, da verificare contro attacchi più importanti rispetto a Bosnia, Iran e Nigeria. Un buon esordio per Ghoulam, suo il cross da cui nasce il fallo da rigore per momentaneo vantaggio algerino contro il Belgio e una buona partita nel complesso, di corsa e sacrificio, poi sparisce dai radar del c.t. Halilhodžić che fa scelte diverse. Raggi di luce in giornate grigie per Edu Vargas, mattatore contro la Spagna, autore del goal del vantaggio e di una prestazione sopra le righe, poi la solita e continua incostanza, di un talento che si accende e si spegne tra le luci carioca. Brilla invece Dries Mertens, il migliore dei “Napoletani” in Brasile, parte dalla panchina all’esordio contro l’Algeria, poi entra, spacca in due la partita e trova il goal della vittoria e le maglie da titolare contro Russia e Corea del Sud inanellando dribbling, giocate e prestazioni positive. Ben figura anche la legione Svizzera, Inler e Behrami sono i titolari inamovibili del centrocampo di Hitzfeld, vero faro della mediana il Turco… napoletano, grinta e muscoli per il Kosovaro dalla cresta bionda, spiccioli di partita per Dzemaili e un goal su punizione contro la Francia che resterà più come una storia da raccontare ai nipoti che come una pagina lieta del calcio rossocrociato. A volte ritornano! verrebbe da dire, Zuniga è titolare indiscusso della fascia destra colombiana tessendo notevoli trame offensive con Cuadrado e ben figurando in fase difensiva, entusiasmante il duello con l’ivoriano Gervinho, è uno dei punti fermi della nazionale di Pekerman che da sorpresa entra di diritto nelle candidate al titolo per ciò che mostrato nel girone. Tanta panchina per Henrique, Reina e Albiol, il difensore brasiliano non vede mai il campo, gli spagnoli invece assistono seduti e inermi alla disfatta Roja per poi bagnare il proprio esordio nell’inutile partita conclusiva per il cucchiaio di legno vinta contro l’Australia.
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