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“Arbitravo una guerra, non una partita”, le offese italiane e la battaglia di Santiago

Quando l'Italia uscì al primo turno dopo la battaglia di Santiago

“… il simbolo triste di uno dei paesi sottosviluppati del mondo e afflitto da tutti i mali possibili: denutrizione, prostituzione, analfabetismo, alcolismo, miseria… Sotto questi aspetti il Cile è terribile e Santiago ne è la sua espressione più dolente, tanto dolente che perde in sé le sue caratteristiche di città anonima… Interi quartieri della città praticano la prostituzione all’aria aperta…” Ed ancora: “…il Cile sul piano del sottosviluppo deve essere messo alla pari di tanti paesi dell’Asia e dell’Africa… Gli abitanti di quei continenti sono dei non progrediti, questi sono dei regrediti.”

Per capire cosa successe esattamente il 2 giugno ’62 all’Estadio Nacional di Santiago era fondamentale aprire con queste righe. Righe apparse sui giornali italiani, giornali scritti alla vigilia di quel Mondiale che, nel Bel Paese, sarebbe passato alla storia per quella partita, per quel Cile-Italia, per la “Battaglia di Santiago”.

Nel 62’ la Fifa decise di riportare il Mondiale in Sudamerica. Dopo le edizioni in Svizzera e Svezia, la Coppa del Mondo (allora chiamata ancora Coppa Rimet) varcava di nuovo l’Atlantico. Delle tre grandi sudamericane l’unica a non aver ancora organizzato un campionato del mondo era l’Argentina. Ci era andata vicina sia nel ’30 che nel ’50, ma entrambe le volte fu beffata da Uruguay e Brasile. Stavolta invece gli argentini erano sicuri. Il Mondiale si sarebbe giocato da loro.

Ed invece non fu così. A sorpresa la Fifa scelse il Cile. I maligni dicono che dietro quella decisione ci fosse lo zampino del Brasile, squadra-simbolo del momento, che non aveva nessuna intenzione di dare l’assalto alla sua seconda Coppa (raggiungendo Italia e Uruguay in testa al palmares) in casa del “nemico”.

Fatto sta che la decisione destò moltissime perplessità. Il Cile, in base alla nota spocchiosità di noi europei, era considerato un paese povero, del terzo mondo. Uno di quei paesi che, tra mille problemi, non poteva permettersi i costi di un Mondiale. Ed invece il Cile sulle prime sembrò smentire tutti. Il paese andino riuscì a costruire gli stadi, gli alberghi e i servizi necessari. Almeno fino all’imprevedibile: il terremoto del ’60. Il sisma spezzò la fragile economia del Cile. Distruzione e macerie ovunque. Ma i cileni non si diedero per vinti. Rimboccarono le maniche e, con grande orgoglio nazionale, completarono a tempo di record la ricostruzione. Il Mondiale si poteva giocare!

Ciò che invece si poteva francamente evitare fu la serie di articoli che i giornali italiani fecero uscire prima dell’inizio della Coppa. Il Cile fu descritto come un paese povero, arretrato, in mano alla corruzione e pieno di diseguaglianze sociali. Logicamente i cileni non la presero affatto bene. E, a rendere più acceso il confronto, ci pensò il sorteggio: Italia e Cile nello stesso girone, e scontro diretto alla seconda giornata.

Sulla carta non c’era confronto tra le due nazionali. Il Cile era una selezione di buoni giocatori. Una tipica sudamericana, quelle dove se non c’è la tecnica c’è il cuore. La stella era Leonel Sanchez, attaccante del Colo Colo, unico a spiccare in mezzo ad una squadra di buonissimi comprimari. L’Italia invece era forte. Non forte per meriti “propri” (nonostante la presenza di Cesare Maldini e di un giovane Rivera), ma forte per i moltissimi oriundi portati in Cile. Dopo le delusioni del ’50 e del ’54, e dopo il mezzo passo falso del ’58, l’Italia vedeva nei vari Sivori, Altafini, Maschio la luce in fondo al tunnel. I “messia” venuti da fuori su cui costruire una squadra forte. E poco importa se di italiano avessero solo qualche nonno emigrante, l’importante era la vittoria. O meglio, sarebbe dovuto essere la vittoria.

Già perché la prima partita l’Italia la stecca: 0-0 contro la Germania Ovest. Il Cile invece batte la Svizzera e si porta ad un passo dalla qualificazione. Una “miracolosa” vittoria proprio sull’Italia e il gioco e fatto.

Alla partita si arriva in un clima di guerra. I cileni si ricordano di quegli articoli, si ricordano del modo in cui sono visti dagli italiani. “terzo mondo”, “regrediti”, “sottosviluppati”. E i giornali cileni passano giustamente al contrattacco. Come possono gli italiani parlare di sviluppo quando loro fanno vivere metà del loro paese nella povertà. La Revista Estadio tuona “Anche noi abbiamo visto le condizioni del Sud Italia, ma preferiamo parlare di Firenze e Venezia”. El Clarin addirittura titolò in prima pagina: “Guerra Mondiale”

E guerra fu, almeno stando alla parole dell’arbitro Aston. “Non stavo arbitrando una partita di calcio, facevo il giudice in un conflitto militare”. Mente la telecronaca inglese registrata (allora non esisteva la diretta) esordiva con: “Buon pomeriggio. L’incontro a cui state per assistere è l’esibizione di calcio più stupida, spaventosa, sgradevole e vergognosa, possibilmente, nella storia di questo sport”

E Aston raccontò il vero. Si trovò suo malgrado (era stato designato un arbitro spagnolo, cambiato perché gli italiani si lamentarono della possibilità di “favoritismi”) protagonista di una delle pagine più violente del calcio. Già dopo 7’ minuti l’italiano Ferrini fu espulso per fallo di reazione. Nel parapiglia successivo Sanchez colpì con un pugno Maschio, fratturandogli il naso senza che l’arbitro lo vedesse. E per far uscire l’espulso Ferrini dal campo dovette intervenire la polizia cilena. La partita proseguì su questa falsa riga, con falli e scorrettezze da ambo le parti, finchè nuovamente Sanchez non colpì con un pugno anche David. Visto che l’arbitro non intervenne l’italiano decise di farsi giustizia da solo, colpendo il cileno con un calcio alla spalla. Risultato? Espulsione e polizia che dovette intervenire di nuovo.

E il risultato? Dal punto di vista del punteggio l’Italia resiste fino al 73’, quando prima Ramirez e poi Toro firmarono il 2-0 finale. Il Cile, nonostante la sconfitta nell’ultima partita contro la Germania Ovest, passava al turno successivo. All’Italia non bastò battere la Svizzera. Gli azzurri tornarono mestamente a casa, eliminati dopo una partita violenta, passata alla storia più per le polemiche del pre e post partita che per il non-spettacolo visto in campo.

I giornali italiani se la presero con l’arbitro, con il povero Aston, e il Consolato cileno di Milano dovette essere presidiato dalla Polizia per diversi giorni, in attesa che “sbollisse” la rabbia italiana. Per settimane continuarono le polemiche, da una parte e dall’altra. Solo il tempo potè mitigare gli strascichi della “Battaglia di Santiago”. Qualche mese dopo Sanchez disputò un provino col Milan, in cui giocava David. I due si videro, si sorrisero stringendosi la mano e, davanti alle telecamere, si dichiararono “grandi amici”.

Così, con un “grande amici”, si chiuse una delle peggiori pagine dei Mondiali

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