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Tu vuò fà l’americano, le contraddizioni di James Pallotta e della proprietà della Roma

A Roma c'è un solco sempre più ampio tra dirigenza e tifoseria, proviamo ad analizzare il perchè

Napoli-Roma si gioca come sempre tra grande fermento. Entrambe sono nei primi posti in classifica, anche se la forma e soprattutto il morale sembrano essere agli antipodi. Nonostante la sconfitta di Bologna il Napoli viene comunque da una lunga serie positiva e la recente vittoria in Europa League, con conseguente 6 su 6 vinte nel girone, ha fatto dimenticare la sconfitta del Dall’Ara. A Roma invece, nonostante la qualificazione agli ottavi di Champions, si respira un clima teso che certamente lo 0-0 con Bate non ha contribuito a rasserenare.

A Trigoria ormai si è quasi arrivati al muro contro muro tra società e tifosi, con i recenti risultati negativi (tra cui spicca, oltre ai passi falsi in campionati, anche i 6 gol incassati nella trasferta di Barcellona) che non fanno altro che mettere altra benzina sul fuoco. A dire il vero il rapporto tra la proprietà giallorossa e i tifosi non è mai stato particolarmente idilliaco. Anzi, tutt’altro. A dimostrazione delle grandissime contraddizioni che si porta dietro la proprietà americana che qualche anno fa rilevò la Roma dalla famiglia Sensi.

Partendo dal restyling del logo, passando per i prezzi di biglietti e abbonamenti e finendo con la decisione di dividere la Curva Sud, la proprietà americana ha fin da subito scavato un solco con un tifoserie che, forse anche un po’ a torto, nell’era Sensi era decisamente più al centro delle vicende societarie.

Ma i demeriti, se così li possiamo definire, di Pallotta e soci non si fermano al rapporto con la tifoseria. Anzi, in alcuni frangenti il muro contro muro nei confronti di alcune parti della tifoseria giallorossa (come nel caso degli striscioni contro Ciro Esposito) è stato qualcosa di condivisibile e sacrosanto. I demeriti maggiori riguardano soprattutto la gestione societaria. Si certo i capitali freschi sono arrivati, sono stati immessi molti soldi e fatte alcune ricapitalizzazioni. Ma con quali risultati? Zero titoli. Da quando gli americani sono arrivati a Roma i giallorossi non hanno più vinto. Un confronto impietoso quello con l’ultima parte dell’era Sensi dove, seppur con ristrettezze di budget e mercati low-cost i giallorossi a fine anno qualche Coppa Italia la portavano a casa.

Oggi, soprattutto negli ultimi tre anni, la Roma spende fior fior di milioni sul mercato, ma a fine anno si ritrova puntualmente ad un soffio dal grandino più alto del podio. Dalla finale di Coppa Italia persa conto la Lazio fino ai due secondi posti consecutivi dietro la Juve. E nella storia non si scrivono i nomi di chi si piazza, ma di chi vince.

Continuando sul mercato altre note dolenti arrivano dalla cifre spese. Cifre insostenibili per qualsiasi club, ma che la Roma può ammortizzare solo grazie all’abile opera di Sabatini. Uno in grado di mettere a segno diverse plusvalenze ed evitare ai giallorossi passivi di bilancio insostenibili. Va da se che un tale modo di operare sul mercato non può durare in eterno, soprattutto se prima o poi, come è logico che accada, non riesci a mettere a bilancio la cessione dell’anno.

Capitolo allenatore: l’asse franco-americano Garcia-Pallotta vacilla. Dopo un’iniziale ubriacatura, dovuta alle 10 vittorie consecutive del primo anno, Garcia è diventato un tecnico “eterno secondo”, battuto prima da Conte e poi da Allegri. Eliminato nelle coppe prima da Benitez e poi da Montella. E adesso nel mirino dopo una serie di risultati negativi.

Insomma questa Roma a trazione straniera sembra non funzionare al meglio. Ben descritta dalla stampa, ma mal digerita dai tifosi. Ed anche la chimera della stadio nuovo diventa solo un semplice paliativo per una tifoseria che chiede di più.

Chi ha ragione?

In realtà è difficile dirlo semplicemente perchè la proprietà americana crede di operare in un contesto culturale diverso. Pallotta ha già esperienze a livello sportivo, essendo socio dei Boston Celtics, una delle squadre più celebri dell’NBA. Il problema di Pallotta però è proprio questo. Ragiona da americano, basando la sua conoscenza del mondo dello sport sullo sport americano. E tra la concezione di sport in America e quella in Europa (soprattutto Europa meridionale) c’è un abisso. In Italia il tifoso ha sempre rivestito un ruolo centrale. Esiste il tifoso e poi esiste la squadra. E la squadra rappresenta una città, un quartiere, un insieme di tifosi. Negli Usa invece la squadra, o meglio la franchigia, prescinde dal territorio (sono frequentissimi i trasferimenti) e il tifoso è visto come semplice cliente-consumatore. Lo stesso stadio, palazzetto, arena, che in Europa è luogo di ritrovo per gente con una “fede” in comune (dove manifestare questa “fede”) in America è semplice luogo dove assistere ad uno spettacolo, come un teatro.

Concezioni diametralmente opposte di cosa sia lo sport. Certo le estremizzazioni del tifo che abbiamo noi in Italia sono da condannare, ma di certo non è da prendere a modello un sistema come quello americano che riduce una grande manifestazione sociale quale lo sport a semplice business.

In definitiva il grande limite della proprietà americana della Roma, al di là delle mancanze a livello di risultati, è forse proprio quello di essersi catapultata in un realtà diversa dalla loro senza l’umiltà di capire cosa c’era prima. E continuando su questa strada hanno scavato un solco sempre più grande tra loro e i tifosi, un solco difficilmente colmabile. Forse un monito per gli altri imprenditori stranieri che un giorno vorranno investire in club di Serie A.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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