In questa rubrica del lunedì non parleremo del Napoli, di mercato, del settore giovanile, credo che il gesto più importante che i giornalisti possono compiere in ricordo di Piermario Morosini è riflettere ed argomentare sui temi della tutela sanitaria per fare in modo che si riduca sempre di più la possibilità di altre tragedie. E’ stata una domenica triste, il mondo del calcio era ancora scosso dalla tragedia che ha colpito Piermario Morosini, centrocampista dell’Udinese in prestito al Livorno accasciatosi al suolo durante Pescara-Livorno. Il pallone si è fermato, stavolta finalmente la legge “dello show must go on” tipica della società del consumo ha lasciato spazio al rispetto, alla necessità di riflettere ed alla semplice constatazione che qualsiasi giocatore non avrebbe avuto la forza emotiva di scendere in campo.
I medici dell’Ospedale “Santo Spirito” di Pescara affermano che niente avrebbe potuto salvare la vita di un ragazzo che aveva già pagato caro il conto con la fortuna, visto che aveva perso i genitori, un fratello e si dedicava con costanza a sua sorella gravemente malata.
L’autopsia farà maggiore luce sulle cause della morte e in generale su tutta la vicenda, ma ciò che conta è che la morte di Mario rappresenti una lezione per un mondo che anche in altre situazioni fa una fatica enorme a fare innovazione, ad ammodernarsi. L’attenzione delle inchieste della Magistratura e del Comune di Pescara si è concentrata sull’auto della polizia locale che avrebbe ostruito l’ingresso dell’ambulanza. Il vigile si è autosospeso, ma quest’episodio rientra nell’impreparazione e nella disorganizzazione totale mostrata in quei minuti tragici. Piuttosto che cercare un capro espiatorio sull’onda mediatica, le inchieste devono servire a costruire un’analisi generale di ciò che non ha funzionato, suddividendo le responsabilità e dialogando per predisporre tutte le mosse necessarie per adeguare gli impianti sportivi.
La tutela sanitaria degli atleti è disciplinata dalla legge 91/81 che dà le direttive in merito agli adempimenti per la tutela medico-sportiva delle società professionistiche.
Indicazioni importanti che, però, sono vecchie di trentuno anni e non tengono conto del lavoro scientifico compiuto da tanti medici che si stanno interrogando sulla necessità di adeguare la medicina sportiva ai cambiamenti del sistema calcistico e della società in generale: dalle tante partite che si disputano, ai programmi più dettagliati per il rafforzamento muscolare degli atleti alla complessità degli infortuni fino alle novità dettate dalla lotta al doping.
Il mondo dello sport consulti gli esperti del settore e predisponga in tempi brevi una nuova legge per la tutela sanitaria nel mondo professionistico. La morte di Piermario ci impone subito un provvedimento d’urgenza che imponga i defibrillatori in panchina, formazione all’avanguardia sul primo soccorso ed un monitoraggio specifico sull’organizzazione delle società di calcio dal punto di vista medico.
La sospensione del calcio per questo maledetto weekend deve servire a strutturare un percorso per evitare altri drammi e dare maggiore tranquillità a chi pratica questo magnifico sport a tutti i livelli. Non bastano i defibrillatori ma serve un report dettagliato sull’organizzazione della tutela sanitaria e riguardo alla prevenzione dell’emergenza: presenza di ambulanza a bordo campo, equipe d’infermieri e rianimatori, corsi di primo soccorso per i medici sportivi e monitoraggio attento sul lavoro compiuto dalle società riguardo alla cura degli atleti.
Il calcio è lo sport con maggiore attenzione mediatica, ma le istituzioni di tutte le discipline devono garantire precisione e cura dei dettagli perché le storie di Cassano, Bovolenta, Mancini rappresentano un campanello d’allarme da valutare con attenzione. Non c’è ostacolo economico che tenga davanti a questi obiettivi; chi ha meno risorse deve ricevere il contributo delle istituzioni attraverso magari anche l’aiuto dei club più ricchi e della stessa Associazione Italiana dei Calciatori, colpevole di pensare troppo alle questioni contrattuali e poco a quelle sanitarie.
Bisogna portare questa problematica anche su scala mondiale a tutti gli organi competenti perché l’Italia su certi aspetti può vantare anche una preparazione maggiore rispetto ad altre nazioni. Garantire l’esercizio dello sport senza particolari rischi è un obbligo morale da assumere come priorità assoluta.
Oltre al lavoro da compiere in merito all’ambito professionistico, c’è poi un vuoto incredibile scendendo ai livelli dilettantistici o dei settori giovanili. Le dichiarazioni della campionessa di scherma Valentina Vezzali o quelle di Patrizia Panico, giocatrice della Torres, squadra di calcio femminile che hanno raccontato che nelle palestre e nei campi in cui esercitano la loro professione non c’è nessun defibrillatore mostrano una crepa profonda sulla tutela della salute in tantissime discipline. Circa settantamila persone all’anno muoiono in Italia per arresto cardiaco ed una percentuale che oscilla tra il 3% ed il 5% perdono la vita in strutture sportive.
Nessuno vuole gridare all’allarmismo ma sono dati che devono determinare l’impegno degli organi competenti, altrimenti sarà un’altra domenica vissuta tra il sacrosanto ricordo di un ragazzo di 25 anni e tante parole spese a vuoto, senza uno sbocco concreto.
A cura di Ciro Troise
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