I miti sono una delle forme narrative più significative della storia dell’umanità, e non si sono fermati ai tempi degli Antichi Greci, ma la tecnica è arrivata anche ai giorni nostri. “Dal mito della caverna” di Platone a quello dl Pioli, che come Di Carlo, Mihajlovic (esonerato qualche settimana dopo il pareggio al San Paolo), entra nel lotto dei tecnici passati alla storia per sapienza tattica grazie alla comoda lettura che assegna loro il premio di aver imbrigliato Mazzarri.
Il tecnico del Bologna ricorda Chievo-Napoli e mette in campo uno schieramento tattico che ha come unico scopo limitare le fonti di gioco degli azzurri. Morleo e Pulzetti a bloccare Maggio e Dossena, il centrocampo muscolare formato da Mudingayi e Perez a vincere sul terreno della fisicità, Taider tra le linee al posto di Ramirez per bloccare Inler come fonte del gioco piuttosto che cercare d’insidiare il Napoli tra le linee con il talento uruguagio, come ammesso anche dal tecnico della compagine rossoblù nel post-partita.
Nei primi dieci minuti gli azzurri hanno avuto due chiare occasioni da gol: prima Maggio al 6′ sugli sviluppi di un fallo laterale ha perso l’attimo giusto per calciare a rete ed al 9′ Hamsik si è fatto ipnotizzare da Gillet a pochi metri dalla porta avversaria. Il Napoli subito pericoloso ben due volte, l’asse Dossena-Hamsik sulla sinistra schiantava Pulzetti, buon cursore di centrocampo ma incapace nel coprire tutta la corsia, come dimostrato anche nella ripresa.
Allora la domanda è lecita: Pioli è riuscito nel suo obiettivo? La verità è che il Napoli aveva approcciato bene al match, soprattutto dal punto di vista psicologico. La squadra di Mazzarri ha nel ritmo alto e nell’intensità la sua forza e contro il Bologna al San Paolo gli azzurri hanno subito aggredito l’avversario, giocando con il piede sull’acceleratore.
Oltre alla buona tenuta psicologica, c’è anche un aspetto tattico da sottolineare: la mobilità dei tre tenori metteva in crisi la linea Maginot frapposta dai bolognesi in fase difensiva. Hamsik, Cavani e Pandev cambiavano continuamente la posizione, creando costantemente gli spazi per far male. Al 15′ un incredibile errore del Napoli a difesa schierata porta Acquafresca al gol ed allora comincia un’altra partita. Per circa venti minuti il San Paolo prova con la bolgia a dare la carica per rialzarsi dallo schiaffo subito, ma il Napoli va in confusione: tanti passaggi sbagliati ed azioni costruite senza idee precise. Hamsik e Cavani capiscono il momento di difficoltà ed arretrano di più per aiutare i compagni in fase d’impostazione, così nascono i pericoli creati proprio dallo slovacco e da Pandev a fine primo tempo. Nella ripresa la musica non cambia, si stenta a trovare spazi ed allora Mazzarri al 54′ ridisegna le carte in tavola con Zuniga e la difesa a quattro, prima degli inserimenti di Vargas e Lucarelli negli ultimi minuti per tentare il tutto per tutto. Il catenaccio di Pioli è difficile da aggirare, ma sicuramente l’intensità cresce e la mano di Perez ci aiuta (il rigore è sacrosanto, intervento con il braccio aperto con Zuniga pronto ad impossessarsi del pallone alle sue spalle in buona posizione), con il rigore trasformato da Cavani al 71′. Il tecnico del Bologna ha mostrato sicuramente di saper preparare le partite, ma la sua tattica è diventata letale solo grazie ad un episodio, o meglio da un orrore della retroguardia partenopea. Alla luce di questa disamina, è chiaro che la valutazione della gara è da compiere nell’equilibrio tra il potere degli episodi e i problemi tattici di un Napoli in svantaggio, incapace di acquisire imprevedibilità senza Lavezzi contro le compagini che si chiudono.
L’intervento imbarazzante di Campagnaro e la dormita di Maggio, che non fa né il fuorigioco né rimedia provando la chiusura sull’attaccante avversario, non sono però degli eventi a sé da classificare come casuali. Non si tratta dei primi disarmanti “orrori”, ricordiamo ancora la partita contro la Roma per commettere tale ingenuità. C’è un problema di lucidità e di forma altalenante di alcuni uomini, in primis Campagnaro e Maggio, evidente non tanto nelle sgroppate verso la metà campo avversaria ma proprio nella concentrazione costante da garantire in fase difensiva. Lo sosteniamo ormai da mesi: il Napoli ha nel reparto difensivo degli elementi qualitativamente inferiori ai suoi calciatori più rappresentativi, i vari Inler, Hamsik, Cavani, Lavezzi, Pandev. Oltre questa considerazione, c’è poi un problema di condizione fisica e psicologica dovuta all’accumulo di energie impiegate in quest’estenuante stagione. Campagnaro, Cannavaro, Aronica, come lo stesso Grava di un anno fa, sono calciatori che fanno dell’impegno, della concentrazione e dell’applicazione le armi giuste per superare anche i limiti tecnici. Ciò naturalmente è per loro lodevole, ma per fare il salto di qualità a Giugno è necessario intervenire in quel reparto. L’argentino è un giocatore fondamentale per il modulo di Mazzarri e i dirigenti partenopei vedono in Benatia colui che può percorrere le sue orme sotto la guida del tecnico livornese. E’ un ragionamento furbo, per cercare la “via facile” per superare il complesso scoglio di comprare calciatori da adattare poi “a meraviglia” nella filosofia mazzarriana, in una piazza che dà tanta pressione. Basta pensare che tra gli acquisti dell’era “post-Marino” solo Cavani è riuscito a superare l’ostacolo, mentre Pandev sta completando il suo processo di recupero atletico e d’inserimento. Inler non ha ancora soddisfatto, Dossena dà il suo importante contributo ma Mazzarri ha approfittato della duttilità di Zuniga per risolvere la difficoltà dell’esterno di Lodi a coprire tutta la fascia con continuità.
Yebda, Ruiz, Mascara, Sosa, sarebbe lunghissimo l’elenco di giocatori con le caratteristiche non idonee per affermarsi nelle filosofie che si applicano dalle parti di Castelvolturno.
Tutti giocatori che non hanno portato al Napoli nessun passivo in termini di bilancio, quindi le capacità del ds Bigon in termini aziendali sono da lodare, ma i limiti della rosa partenopea nascono da questi errori. Campagnaro e Maggio sono costretti agli straordinari perché le alternative non sono ritenute all’altezza del tecnico, che ha a disposizione solo tre esterni per due corsie, ma, nonostante ciò, non si parla di acquistare un elemento per il lato mancino al mercato di Gennaio. Fideleff ha dimostrato i suoi enormi limiti, si attende Britos per far rifiatare Aronica, e sulla destra Fernandez avrebbe bisogno di più minutaggio per crescere.
Ai giovani bisogna concedere il diritto di commettere gli errori senza essere ridimensionati, se si crede nelle loro qualità. L’ex Estudiantes è ricordato soprattutto per le disattenzioni contro la Juventus, ma il suo processo di crescita è bloccato se non gli viene data la necessaria fiducia.
Il salto di qualità in difesa non si compie con un difensore all’altezza di quelli che già sono in rosa, come Benatia, semplicemente per l’adattabilità dal punto di vista tattico, ma con un centrale difensivo di maggiore spessore rispetto ai vari Cannavaro, Britos, che possa anche far crescere gli altri componenti del reparto sotto la sua guida. L’identikit non corrisponde a Benatia, sopravvalutato dagli abili dirigenti dell’Udinese, interpreti di un modello che non si può esportare. Le difficoltà di Inler, che rimane comunque un grande centrocampista, lo dimostrano.
Ciro Troise
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