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ESCLUSIVA- Rescigno: “Che ricordi quel campionato Berretti. Conservo ancora la medaglia d’oro”

"Il calcio e gli studi si possono e si devono conciliare a livello giovanile"

Antonio Rescigno non è solo un giovane e promettente avvocato napoletano nonché consigliere della sesta Municipalità, ma è stato anche uno dei protagonisti del primo successo del Napoli di Aurelio De Laurentiis. Rescigno, infatti, era il capitano della formazione Berretti che nel 2004/2005 si laureò Campione d’Italia dando il via, di fatto, alla rinascita del settore giovanile azzurro. L’ex capitano azzurro ha rilasciato un’intervista esclusiva alla redazione di IamNaples.it per la rubrica “Amarcord” che stiamo realizzando alla vigilia della finale di Coppa Italia Primavera contro la Juventus, in programma martedì sera alle 20:45 al San Paolo:

Dottor Rescigno, lei è stato il primo capitano dell’era De Laurentiis a sollevare un trofeo. Cosa ricorda di quella stagione?

“Conservo ricordi indelebili. Quello fu un campionato veramente molto strano. Il Napoli era fallito da poco ed oltre al campo per gli allenamenti non c’erano nemmeno i palloni. Il settore giovanile, poi, era completamente da ricostruire perché, dopo il fallimento, ci fu una vera e propria diaspora di molti ragazzi delle giovanili. Il Napoli era in C e di conseguenza non poteva avere una squadra primavera, per questo molti dei miei compagni lasciarono l’azzurro per cercare fortuna altrove. Io, come molti altri a dire il vero, decisi di restare per amore di questa maglia e di giocare nel campionato Berretti. Ad inizio stagione il nostro allenatore era Caffarelli, ma poi Reja lo volle con sé in prima squadra e la panchina fu affidata a mister Lucignano. Quell’anno fu determinante l’acquisto di Vitale. Gigi proveniva dalle giovanili dell’Avellino e le sue qualità ci aiutarono molto. Cominciammo il campionato con il piede giusto, vincevamo sempre in casa ed in trasferta riuscivamo sempre a fare punti; poi sopraggiunse un periodo di appannamento, ma dopo il cambio in panchina riuscimmo ad invertire la rotta. Il cambio di guida tecnica, però, non fu la chiave della svolta. Caffarelli fece un ottimo lavoro, ed il suo passaggio in prima squadra ci diede quella scossa psicologica necessaria per rialzarci da un momento no”

Quando ha capito che questa squadra poteva arrivare in fondo?

“A Foggia. Poco dopo il cambio allenatore andammo a giocare in Puglia e riuscimmo a fare una grande prestazione vincendo per 1-6, feci goal anch’io. Quella vittoria ci trasmise fiducia e convinzione nei nostri mezzi. Da quel momento vincemmo tutte le gare con una certa facilità, riuscendo a conquistare la finale contro il Padova. L’andata della finale la giocammo in trasferta, dove perdemmo per 2-1. Non fummo accolti molto bene in Veneto, diciamo che non tardarono ad arrivare gli stupidi cori contro i napoletani che ancora oggi, purtroppo, si sentono. Al ritorno, però, riuscimmo nell’impresa di ribaltare il risultato: ricordo ancora lo stadio De Cicco di Sant’Anastasia strapieno. Arrivarono anche dirigenti della società per darci il loro sostegno. I tempi regolamentari finirono 2-1, proprio come l’andata, ci vollero i rigori per farci conquistare il titolo. Conservo ancora la medaglia d’oro massiccio che ci consegnò la Federazione al momento della premiazione”

Esperienze in prima squadra? 

“Dopo la vittoria del campionato, andai in ritiro con la prima squadra. All’epoca l’allenatore era Reja. Assieme ad altri miei compagni della Berretti, partecipai a questa splendida esperienza. Con me c’era anche Gigi Vitale; lui rimase in prima squadra perché in rosa non c’era alcun esterno sinistro, io tornai in primavera perché con l’acquisto di Amodio e Bogliacino c’erano uomini in abbondanza in mezzo al campo”

Lei si è realizzato in campo e fuori. Ha giocato a calcio ad alti livelli, ma ha anche studiato riuscendo a laurearsi. Quanto è stato difficile conciliare lo studio e l’allenamento?

“Sono dell’idea che chi sostiene l’inconciliabilità tra studio e sport lo faccia, soprattutto, per pigrizia. A livello giovanile, le due cose si possono e si devono fare. Il calcio deve essere un divertimento per i ragazzi che lo praticano, anche ad alti livelli: quando ciò non accade vuol dire che c’è un problema o nella famiglia o nella società. Poi nella vita si fanno delle scelte. Io, per esempio, avrei potuto fare il calciatore professionista ma ho scelto di continuare negli studi e di laurearmi”

Avrà sicuramente sentito parlare del caso Stendardo. Il difensore dell’Atalanta è stato richiamato dalla società per essersi assentato all’allenamento per sostenere l’esame d’abilitazione alla professione di avvocato. Cosa ne pensa?

“Conosco Mariano perché ho giocato con lui. Non sono ben informato sui dettagli di questa faccenda, ma sicuramente l’Atalanta avrebbe dovuto assecondarlo e consentirgli di andare a fare l’esame senza problemi. Non vedo dove sia il problema”

Intervista realizzata da Luigi De Magistris

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