1,87 metri di disponibilità, umiltà e professionalità ne fanno uno dei migliori talenti italiani (e napoletani) volati fuori dai confini nostrani. L’esperienza di 25 (lui che è un classe ’83) anni di campo e due piedi raffinati, da difensore “tecnico” (che all’occorrenza può fare anche il mediano, vedi il campionato vinto in B con la Juve del primissimo post-Moggi) gli hanno permesso di far parte della Top 11 UEFA della Quarta giornata di Champions League. Ha iniziato a calciare il pallone per gioco, sotto lo sguardo attento di papà Domenico nei campetti dell’Hotel Quadrifoglio di Pomigliano d’Arco, sua Città natale. Oggi Felice Piccolo, difensore del Cluj Campione di Romania, una delle 3 squadre nella Storia della Champions (con Real e Basilea) ad essere riuscite ad espugnare l’Old Trafford di Manchester, ci apre le porte della villetta dei suoi genitori, dove si trova per trascorrere gli ultimi spiccioli di vacanza prima di tornare in Romania, e si concede ad un’interessante intervista sulla sua carriera, da Pomigliano alla Juventus, dalle Nazionali Giovanili (di cui è stato sempre capitano) ai gol in Europa con l’Empoli, dagli anni neri dell’infortunio alla rinascita in Romania, dov’è un idolo. Molti si chiedono come mai un talento del genere abbia dovuto emigrare così lontano per esprimersi al meglio, ecco il suo personalissimo punto di vista:
Da predestinato in casa Juve ad emigrante in Romania. Cos’ è successo?
“Un brutto infortunio e due anni di inattività mi hanno portato lontano da casa, ma va bene così, nonostante il calcio dell’Est non sia molto seguito in Italia, ho trovato grandi stimoli in Romania ed un livello tecnico molto più elevato di quanto pensassi” Raccontaci com’è andata.“Dopo aver fatto la trafila di tutte le nazionali giovanili, fino all’Under 21, ho avuto, forse nel periodo più critico per la formazione di un calciatore, una serie d’infortuni che mi hanno tenuto lontano dai campi per quasi due anni. Ero alla Lazio, primo acquisto della gestione Lotito, ma vidi il campo molto raramente, fortemente condizionato da guai fisici”
L’anno dopo ritorni a “casa”: in B, nella Juve del dopo-calciopoli che ti ha cresciuto, per vincere.“Esatto. Dai tredici ai diciotto anni ho fatto parte del vivaio bianconero e, dopo quattro anni di peregrinare tra Lucchese, Como e Reggina, mi richiamarono per affrontare il primo torneo di “B” della storia della Juventus. Nella prima parte della stagione assistetti da spettatore al campionato dei miei compagni e così decisi di andarmene. Per mia fortuna Deschamps mi parlò per trattenermi a Torino e ci riuscì. Giocai l’ultima parte di stagione, spesso utilizzato in un ruolo non mio, quello di centrocampista, ma con Nedved e Camoranesi al mio fianco, riuscii a cavarmela bene.” Parlaci della tua esperienza a Reggio con il “nostro” Walter Mazzarri.
“In Calabria non trovai molto spazio, specie perché spesso ero impegnato con l’Under 21. Di Mazzarri, però, preservo un buon ricordo: un grande motivatore e un abile stratega, chiunque scendesse in campo per lui sapeva benissimo quale fosse il suo compito”.
In Italia, però, spesso è criticato, nonostante i buoni risultati ottenuti col Napoli.
“In Italia, spesso, si passa da un estremo all’altro, se vinci due partite sei un fenomeno, se ne perdi tre, però, diventi un brocco. A Napoli, poi, il calcio è vissuto con grande passionalità, a volte morbosa, e allora si sfocia in critiche poco costruttive e tensioni che possono far male alla squadra. Il grande amore di noi napoletani per il calcio è una cosa molto bella, ma a volte fa in modo che si creino problematiche e polemiche che, in realtà, non stanno né in cielo né in terra.”
Invece com’è lì in Romania?
“Devo dire che qui, la gente, è riuscita a farmi ambientare sin dai primissimi giorni della mia esperienza col Cluj. I tifosi sono passionali ed esigenti, ma non ho mai avuto problemi con loro. La squadra, poi, è molto forte: in Campionato siamo secondi, con lo Steaua ormai in piena fuga, ma negli ultimi due anni abbiamo vinto praticamente tutto in Romania, tra Campionato, Coppa Nazionale e Supercoppa. La Champions, invece, è stata segnata dalla sfortuna: dopo essere riusciti a vincere all’Old Trafford, cosa fino ad allora riuscita nella storia della Champions solo a Real e Basilea, e a racimolare ben dieci punti, siamo “retrocessi” in Europa League a causa della classifica avulsa. In generale credo di giocare in un grande team.”
Qual’è la differenza tra i due paesi dal punto di vista meramente calcistico?
“La qualità è, logicamente, ancora superiore in Italia, ma non è quella grande differenza che immaginavo all’inizio. In Italia siamo molto più preparati dal punto di vista tattico, gli allenatori hanno qualcosa in più, vedi Mandorlini che, al primo tentativo, è riuscito a riportare lo Scudetto al Cluj. Qui ci sono più libertà tattiche, in Italia giocare è più difficile.”
Se potessi, torneresti in Italia? Cosa ti manca del tuo Paese?
“Ci ritornerei, ma solo a determinate condizioni. La mia famiglia mi manca molto e non è facile vivere a più di mille chilometri da loro, ma la carriera del calciatore è breve e bisogna riuscire ad ottenere il meglio.”
Quindi niente Genoa?
“Il Genoa è una squadra molto importante, dalla storia molto prestigiosa e il fatto che si sia interessata a me non può che farmi piacere. In queste ore si apre la finestra del calciomercato invernale e vedremo gli sviluppi. Qualunque essi siano, posso dire che prenderò le mie decisioni con grande serenità, dovessi rimanere a Cluj continuerei a lottare per i traguardi stagionali.”
Dov’è ora la tua testa?
“Ora come ora, qui, nella mia villa di famiglia, a godermi le ultime ore di vacanza con le persone più care, nel mio paese, Pomigliano. Il prossimo step è tornare al mio club e preparare i prossimi impegni, su tutti il sedicesimo di finale con l’Inter. In campionato siamo molto indietro per concorrere per il titolo, ma in Europa League possiamo ancora dire molto e ci proveremo anche con l’Inter.”
Che si prova a marcare gente del calibro di Rooney o Van Persie?
“Una bella emozione, specie se, dopo che li hai marcati, riesci a portare i tre punti a casa. La serata dell’Old Trafford è stata storica, abbiamo vinto nella tana degli uomini di Ferguson, ma la vittoria è diventata amara perché, nonostante l’impresa non siamo passati. Nessuna rumena, Steaua campione d’Europa compresa, è mai riuscita a racimolare dieci punti in un girone di Champions ma, nonostante ciò, siamo finiti terzi e ora incontreremo l’Inter in Europa League, pronti a giocarcela al 100%.”
Nella tua carriera hai avuto la fortuna di poter marcare molti top player, chi è quello che ti ha messo più in difficoltà?
“Tra tutti i grandi Campioni che ho marcato, quello che più ho temuto è di sicuro Zlatan Ibrahimovic, un colosso, una forza della natura che riusciva ad essere molto agile nonostante la stazza. Poi di campioni ne ho visti molti, da Del Piero a Trezeguet, da Nedved a Buffon e Camoranesi.”
Il compagno di squadra più forte con cui hai mai giocato?
“Zinedine Zidane, uno spettacolo.”
Il talento inespresso su cui invece tu avresti puntato?
“Nicola Beati, un giocatore di una classe assurda che la sfortuna ed i guai fisici hanno tenuto ingiustamente lontano dai campi di primissima fascia.”
La partita più bella che hai giocato?
“Non ce n’è solo una. Ricordo tante gare importanti e tanti momenti felici: l’esordio con la Juve, il gol europeo con l’Empoli, il gol in Under 21 contro la Francia di Ribery, un Napoli-Juve in serie B e non ultima la gara dell’Old Trafford e, in generale, tutte le partite di Champions.”
A proposito di Under, tu hai fatto tutte le trafile delle varie Nazionali ma non sei mai arrivato alla maggiore. Ci speri?
“Dovesse arrivare una chiamata, sarei l’uomo più felice del mondo, non lo nego. Sono però conscio del fatto che, specie perché parte di un calcio poco seguito da noi italiani, molto probabilmente il mio rimarrà un sogno nel cassetto.”
Consigli per gli acquisti: c’è qualche calciatore del Cluj pronto al palcoscenico occidentale, magari italiano?
“Credo di sì. C’è una folta colonia portoghese in squadra e tra loro spiccano elementi molto validi come Pinto, Valente, Cadù ed altri. I primi tre potrebbero essere già pronti, gli altri forse avrebbero bisogno di un pò di adattamento.”
Quando vedi difensori mediocri, spesso stranieri, giocare nel nostro Campionato con risultati spesso alterni, cosa pensi? Hai dei rimorsi?
“Sono un ragazzo di 29 anni che vive della sua passione, una passione coltivata sin da piccolissimo, sui campetti della vera periferia, quelli pieni di sassolini e polvere. Dai 13 ai 18, allontanandomi dalla mia famiglia cui, come potete vedere sono molto legato, ho iniziato a fare sacrifici perché il mio sogno era quello di diventare un calciatore. Noi calciatori siamo privilegiati ed io, personalmente, sono molto soddisfatto della mia carriera.”
Quando hai capito che volevi essere un giocatore di calcio?
“Avrò avuto 10 o 11 anni e mio padre mi chiese di giocare una partita di calcetto con lui. La sera prima della gara non riuscii a prendere sonno e quando arrivai al campo per iniziare a giocare provai una gioia incredibile, indescrivibile. Quella è stata una delle gare più belle che abbia mai giocato e fu l’inizio della mia carriera: da quella sera il mio obiettivo fu quello di diventare un calciatore.”
Sei molto legato a tuo padre, anche se ti sei trovato spesso lontano da lui negli anni più importanti della tua crescita. Tra i tuoi allenatori, chi è riuscito a ricoprire questo ruolo, con le debite differenze?
“Da professionista ho avuto la fortuna di poter essere allenato da gente del calibro di Delio Rossi, Eugenio Fascetti, Walter Mazzarri, Didier Deschamps e con tutti ho avuto un buon rapporto. Anche in Romania ho incontrato due tecnici molto validi come Mandorlini, con il quale formavamo una fitta colonia italiana insieme a De Zerbi e Sforzini, e Paulo Sergio, il mio tecnico attuale, un portoghese molto preparato e anche molto disponibile dal punto di vista umano. L’uomo di calcio che più ha segnato la mia crescita è comunque Domenico Antignani, un guru del calcio pomiglianese ahimè deceduto qualche anno fa. Fu lui che in tenerissima età credette in me e nei miei mezzi: ero un ragazzino molto timido ed introverso e questo carattere poteva limitarmi dal punto di vista calcistico, grazie ai suoi consigli ed alla sua presenza, invece, riuscì a maturare e a migliorare il mio carattere, in campo e fuori.”
Stai seguendo le vicissitudini del Pomigliano, la squadra della tua Città?
“Da molto lontano, ma le sto seguendo. Fino a qualche giorno fa a difendere la porta granata c’era mio fratello Antonio, un altro innamorato del pallone come me. Purtroppo, però, i suoi rapporti con la Società dell’Alfa si sono rotti in quanto si è deciso di puntare, col cambio di direzione tecnica, su un portiere “under” nonostante prestazioni sempre all’altezza. Personalmente credo che un lavoratore non vada trattato in questo modo ma, ahinoi, a certi livelli trovare cose del genere è paradossalmente più frequente che farlo nel calcio d’ élite. Quando arrivi in alto, oltre alle tue qualità, è fondamentale avere un forte bagaglio di umiltà e serietà, altrimenti non vai da nessuna parte. Questo era il segreto dello stile Juve di fine anni ’90- inizio 2000: non c’era spazio per protagonismi, anche i fuoriclasse erano persone semplici, serie e disponibili.”
Quindi ha ragione Cassano, alla Juve devi essere un soldatino.
“Non ho detto questo (sorride ndr) ma di sicuro i personaggi controversi o troppo esuberanti vengono allontanati. Quello stile-Juve che si era un pò perso negli ultimi anni è ritornato: anche oggi è così e se la Juve va a mille è merito anche di quelle personalità che hanno fatto la storia di quegli anni, come Conte e Buffon, due grandissimi rappresentanti dell’incarnazione dello Juventus-pensiero.”
Domanda retorica: Calciopoli ha aiutato?
“Con la massima sincerità ammetto che se ci sono state delle sentenze di sicuro qualcosa non è andato, d’altra parte posso assicurarvi che noi calciatori non conoscevamo nulla di queste situazioni e se i miei compagni macinavano vittorie su vittorie il motivo era semplice: quella Juventus era una squadra fortissima, più forte delle altre. Moggi o meno.”
Quindi sei juventino?
“No. Non sono juventino, ma ammiro i bianconeri ed il Napoli. In generale non sono un tifoso di una squadra in particolare, quanto più del gioco.”
Appese le scarpette al chiodo, ti vedi in panchina?
“Con tutta sincerità non credo di avere le caratteristiche per essere un allenatore. Di sicuro, però, cercherò di rimanere nel mondo del calcio, che mi ha dato tanto. Casomai dovessi allontanarmi, comunque, non ne farei un dramma: noi calciatori siamo privilegiati e con un pò di intelligenza possiamo progettare il nostro futuro senza eccessivi patemi.”
Ad un giovane che si avvicina al mondo del calcio, cosa consigli?
“Ad un giovane che vuole vivere di calcio dico di provarci con tutto se stesso. Allo stesso tempo, però, consiglio ai giovani di lasciarsi tante porte aperte. Anche chi è molto bravo, a volte, non riesce ad arrivare, vuoi per sfortuna, vuoi per il procuratore sbagliato, vuoi per guai fisici. Il mondo del calcio è un bellissimo ma molto difficile: non c’è spazio per egocentrismi o pazzie, ci vuole professionalità e umiltà, altrimenti non vai da nessuna parte.”
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Servizio a cura di Mirko Panico
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