Il Dall’Ara ed il San Paolo, a distanza di una domenica, sono i luoghi della tristezza per i tifosi del Napoli che hanno salutato l’esperienza più bella vissuta negli ultimi vent’anni: la Champions League. Il turbinio delle emozioni, tra la musichetta ed i boati del San Paolo, gli ottomila di Monaco di Baviera e la gioia di essere stato contro il Manchester City Davide che batte Golia; purtroppo, almeno per una stagione, saranno solo ricordi. C’è un solo modo per dimenticare la tristezza dello scivolone di Bologna e della vittoria amara contro il Siena: tornare a vincere un trofeo dopo ventidue anni contro il nemico di sempre, la Juventus. Il “popolo della passione”, quello capace di far sentire ospiti tantissime tifoserie d’Italia, si è messo in moto già da tempo per invadere l’Olimpico domenica prossima e portare gli azzurri verso la vittoria di una Coppa, che è molto di più di un premio da aggiungere in bacheca, ma simbolicamente il ritorno al successo che scaccia via angosce e delusioni. Sarà messa a dura prova anche un ambiente che deve essere capace di dimenticare tutto in vista della finale: il destino di Lavezzi e tutte le polemiche delle ultime settimane. I fischi al Pocho sono stati accolti con un certo stupore, ma la spaccatura intorno all’argentino covava da tempo nei meandri del San Paolo. C’è chi è estasiato dalle sue gesta tecniche così tanto da dimenticare i “colpi di testa” (la fuga in Argentina, le ammonizioni prima di Natale, la querelle intorno alla vacanza in Sardegna di Natale e tanto altro..) e chi invece non riesce a tralasciare questi aspetti ed ha fatto esplodere il proprio malessere nel momento in cui sembra sempre più probabile la sua partenza.
Il genio e la sregolatezza da tempo affascinano e dividono, producono amore ed odio, che poi spesso sono due facce della stessa medaglia. Mi dispiace per i fischi soprattutto per la tempistica con cui sono arrivati perché la stagione è ancora in corso e non bisogna dare altri elementi per distrarre una compagine chiamata all’appuntamento più importante che gli consentirebbe anche di evitare il fastidioso play-off di Europa League previsto per il 23 e 30 Agosto.
Questa è la stagione delle contraddizioni, lo sosteniamo da tempo. Mezze verità, silenzi pesanti e dichiarazioni sull’onda del clima di giornata hanno attanagliato l’annata del Napoli. La “querelle Lavezzi”, ormai vicino al Paris Saint Germain, è soltanto l’ultimo episodio di una serie di polemiche nate dallo scorso Maggio con Mazzarri che chiedeva ventidue elementi di valore per affrontare la stagione fino alle continue dichiarazioni di Gargano che critica attraverso i media la società responsabile di non averlo informato in merito alla diffida prima della semifinale di Coppa Italia contro il Siena. Il tecnico toscano ne ha utilizzati poi con regolarità poi solo quattordici, quindi il compromesso al ribasso prodotto dalle varie anime della società nei fatti non ha funzionato.
Soltanto le capacità gestionali proprio dell’allenatore sono riusciti a costruire una stagione comunque entusiasmante che potrebbe poi impreziosirsi proprio domenica sera. Così non si può andare avanti: la coesistenza tra il tecnico con velleità di manager, il presidente-padrone ed il direttore sportivo maestro dell’equilibrio con il supporto degli uomini-scouting ha creato uno stato di confusione. La decisione di affidarsi a “direttori di sezione” (definizione usata dal patron in una sua recente intervista a Radio Marte) alimenta l’idea che il patron voglia scendere sempre di più in campo in prima persona. De Laurentiis non ha ancora digerito completamente il post-Marino, perdendo un po’ di fiducia nei suoi collaboratori.
Tutti concentrati sulla finale di Coppa Italia, poi dal 21 Maggio serve chiarezza. Il Napoli deve dire cosa vuole fare da grande rispondendo ad una domanda: dopo otto anni di gestione De Laurentiis, vuole attraverso il proprio valido modello finanziario compiere i passi decisivi per diventare un top team o accontentarsi di “sorprendere in silenzio” navigando così senza grandi pretese in un progetto stile Udinese. Le amicizie tra Pozzo e De Laurentiis, l’investimento sullo scouting, l’asse di mercato sempre aperto mi fa pensare che dalle parti di Castelvolturno stanno pensando di declinare, con le difficoltà dovute alle differenti pressioni, il modello friulano all’ombra del Vesuvio. Può starci a patto che si costruisca un piano di crescita societaria modellato su più anni e lo si comunichi con chiarezza, solo così si può combattere il scientifico gioco ad alzare l’asticella degli obiettivi.
Il presidente dell’Udinese ha inoltre una grande esperienza nel mondo del calcio ed una solida struttura: due vantaggi su cui De Laurentiis non può certamente contare. Il Napoli, fino al licenziamento dell’ex dg Marino, si è strutturato sul lavoro di un uomo che proveniva proprio dall’Udinese ed il modello che il patron vorrebbe continuare a far crescere è nato in quegli anni. C’erano già dei limiti: disinvestimento e poca attenzione sul settore giovanile, qualche scommessa sbagliata di troppo sul mercato (Hoffer, Navarro, etc…), strategia dello scontro e non del dialogo con il mondo della stampa. Errori, però, che i nuovi protagonisti del quartier generale dell’Holiday Inn non sono riusciti sicuramente a risolvere creando un effettivo cambiamento. La svolta non è mai avvenuta, un po’ d’attenzione in più sulle giovanili ma è ancora troppo poco. Tutte le contraddizioni che ha sofferto il Napoli sono dovute all’assenza di dirigenti autorevoli capaci di fare filtro tra la squadra, l’allenatore e la proprietà. E’ ora di affrontare e risolvere questi problemi per dare nuova linfa al progetto che poggia su eccezionali basi economiche, che, per essere valorizzate, devono essere accompagnati da scelte coraggiose in merito a monte ingaggi, mercato ed organizzazione societaria.
A cura di Ciro Troise
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