E adesso il problema è che cosa ne facciamo, che cosa se ne fa il mondo di un talento gassoso disperso in un corpo fisico, troppo fisico, in una testa che confonde l’arroganza con l’indipendenza, la volgarità con la fantasia, il menefreghismo con l’astuzia. Il colore della chitarra con la musica.
Pablo Daniel Osvaldo sarebbe un supersoldato se riuscisse a vestirsi di una bandiera qualsiasi senza essere colto da convulsioni esistenziali. E’ bravo, è bello, ha i piedi e l’acrobazia, ha la presenza in area e il senso di ragno che coglie l’esistenza della porta anche quando è nascosta. Poi scende negli spogliatoi e non sappiamo se si metta a gridare o a piagnucolare come sostiene Andreazzoli, però per voce di popolo calciatore non riesce a dimostrarsi amico di nessuno e da nessuno si lascia conoscere davvero. Sembra che nella Roma il suo migliore compagno sia Burdisso, avvicinatosi in pace a Osvaldo dopo essere stato illividito di calci durante un allenamento.
Lasciando perdere tutti gli altri peccati che i tifosi non gli hanno rimesso, la fuga dal derby di campionato, le manate ai compagni, i litigi a Trigoria. Perdere Osvaldo è una disgrazia. Tenerlo sarebbe un suicidio, un altro da parte di questa Roma che ne ha già commessi tanti ma continua a camminare grazie alle sue sette vite.
Fuori dell’Europa, due sole competizioni alle viste per la prossima stagione, un centravanti giovane come Destro in fila per entrare, la possibilità di prendere una punta centrale esperta per premunirsi. A questo punto Osvaldo diventa un lusso, di quei lussi che mordono. Solo che il ragazzo si deprezza da solo a ogni bravata. Questo litigio con Andreazzoli, prima faccia a faccia e poi per interposti vecchi e nuovi media, gli è costato il posto in Nazionale. Basta e avanza per abbassarne la quotazione. Poi la pubblicità internazionale data al caratteraccio del giocatore aiuta gli acquirenti e non certo i venditori.
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