In diverse sessioni di calciomercato del passato ed anche in quest’ultima con la vicenda Klaassen le trattative del Napoli hanno subito rallentamenti a causa dei diritti d’immagine. Il portale L’Ultimo Uomo ha fatto un interessante riepilogo su come questi diritti influenzino la società azzurra. Ecco il report:
L’immagine dei calciatori di medio-alto livello ha un suo valore, dato dalla presunta capacità di generare maggiori profitti a favore delle imprese che si legano a essi con accordi commerciali che prevedano la sponsorizzazione dei propri prodotti. La “cessione dei diritti d’immagine” a una società (o per meglio dire: “l’affidamento della licenza esclusiva ad utilizzare l’immagine”, visto che il diritto d’immagine è un diritto della personalità e come tale non cedibile) prevede che i calciatori rinuncino alla possibilità di generare introiti extra attraverso di essi, lasciandone la gestione e gli eventuali ricavi alla società d’appartenenza, in cambio di ingaggi lordi leggermente più alti.
Nell’ultima sessione di calciomercato, come accaduto più volte negli ultimi anni, questa questione ha rallentato per l’ennesima volta le operazioni in entrata del Napoli finendo per farne sfumare molte. In questo ambito la società di De Laurentiis rappresenta una eccezione quasi unica nel mondo del calcio. Se nell’ambito della Formula 1, ma anche in quello dello spettacolo (che d’altra parte il presidente del Napoli conosce molto bene), la presenza nei contratti di un ampio paragrafo relativo alla cessione dei diritti d’immagine è la prassi, nel calcio questa strada viene battuta sporadicamente e in relazione a casi particolari che possano soddisfare il reciproco interesse di club e calciatore senza che questo argomento diventi un vincolo a volte insormontabile nelle trattative d’ingaggio.
Per il Napoli, invece, quella della gestione del 100% dei diritti d’immagine dei propri calciatori sembra essere una questione di principio, visto che De Laurentiis è tornato spesso su questo tema spiegandone pubblicamente le ragioni. In un intervento a Radio Marte del 28 giugno 2011 il patron dei partenopei lanciò già sei anni fa l’idea di produrre scarpe da calcio con marchio Napoli entrando così in concorrenza con Adidas, Nike e Puma con l’obiettivo di aumentare i ricavi del club, mettendo in evidenza come ciò sarebbe stato impossibile da fare con giocatori già sotto contratto con le principali aziende del settore. Nonostante questa idea per il momento non abbia visto la luce, l’intransigenza sulla questione è stata ribadita in maniera perentoria da De Laurentiis anche nel 2016: «Non verrà mai un calciatore senza cedermi i diritti d’immagine».
L’unico altro grande club europeo che chiede ai propri calciatori un accordo su questo argomento sembra essere il Real Madrid che, badandosi sull’assunto difficilmente contestabile che l’immagine di un calciatore aumenta di valore per il solo motivo di vestire la maglia delle “merengues”, propone una divisione al 50% dei proventi relativi ai diritti d’immagine a tutti i componenti della rosa che vengono ritenuti in grado di generare ricavi di questo tipo, accettando una suddivisione differente solo in casi eccezionali (Bale e Cristiano Ronaldo – ma il portoghese solo dopo l’ultimo rinnovo – possono tenere per sé il 60% dei ricavi di questo tipo). Una prassi che nel club spagnolo ha preso il via solo nel 2000, quando venne ideata nel corso delle contrattazioni per l’ingaggio di Figo. Non ci sono testimonianza di altri club che adottino politiche simili, oltre ovviamente al Napoli.
La posizione dei calciatori
Se da un punto di vista prettamente teorico le motivazioni di De Laurentiis sono comprensibili, all’atto pratico si scontrano a volte con la volontà di alcuni calciatori che, nel legittimo tentativo di tutelare i propri interessi economici, non vogliono rinunciare a una possibile fonte aggiuntiva di guadagno per venire incontro alle esigenze del Napoli. Sono diversi i fattori che il calciatore deve valutare al momento della “cessione” dei propri diritti d’immagine.
In primo luogo c’è ovviamente l’aspetto economico, legato al valore che il giocatore e il suo entourage danno a questi diritti sia nel presente che nel futuro: il Napoli, per portare avanti la trattativa, dovrebbe innanzitutto offrire un ingaggio lordo più alto, che soddisfi il giocatore nonostante l’assenza dei proventi derivanti dai suoi diritti d’immagine. Ma lo scoglio più grande da superare, in questo senso, rimane l’eventuale presenza di contratti pluriennali eventualmente già stipulati dal calciatore con una o più aziende al momento della trattativa per il suo passaggio al Napoli. In questo caso, se la società non arretra nella sua richiesta e il calciatore vuole firmare il contratto, deve essere aperta una trattativa con le suddette aziende per arrivare a una rescissione dell’accordo pregresso o per la stipula di un nuovo contratto che sia accettata da tutte e tre le parti in causa (azienda, calciatore e club). Questo scenario comporta inevitabilmente dei rallentamenti che, soprattutto negli ultimi giorni di mercato, possono fare la differenza tra una trattativa conclusa e una sfumata.
Non vanno sottovalutati, infine, gli aspetti fiscali e legali. Per quanto riguarda i primi, capita abbastanza frequentemente che accordi stipulati fra il calciatore e aziende con sede all’estero possano essere soggette a una tassazione più favorevole rispetto a quella relativa agli stipendi incassati dal club, spingendo così il giocatore a richiedere un ingaggio lordo ancora più alto dal Napoli per rinunciare agli accordi già sottoscritti con altre aziende.
A livello legale, invece, c’è una questione pratica ancora più semplice, ma non per questo meno importante. Di solito, infatti, per leggere e controfirmare contratti “standard” che legano le prestazioni sportive di un calciatore a una determinata società bastano pochissimi istanti, in sostanza quelli necessari per controllare che siano corretti i dati anagrafici, quelli relativi all’ingaggio e alla durata del contratto. I contratti stipulati dal Napoli, invece, possono essere composti anche da più di 100 pagine, contenendo al loro interno tutti i cavilli necessari a dirimere qualsiasi controversia legata alla gestione dei diritti d’immagine. Di fronte a contratti di questo genere sia la società cedente che lo stesso calciatore hanno la necessità di far leggere minuziosamente ogni riga ai propri avvocati prima di firmare, trasformando così un’operazione di pochi minuti in un compito di diverse ore, che a sua volta può far saltare una trattativa negli ultimi concitati momenti delle sessioni di mercato.
I casi più famosi
Gli acquisti del Napoli mandati in fumo da questa politica sono diversi, anche se l’impossibilità di verificare in prima persona i contratti (che non sono di pubblico dominio nemmeno quando vengono ufficialmente sottoscritti, figuriamoci quando sono cestinati prima della chiusura delle trattative) ci obbliga a fidarci di ciò che viene raccontato alla stampa dalle parti in causa. Pierpaolo Marino, ex direttore sportivo dei partenopei, ha raccontato che il primo della lista fu Rolando Bianchi nel 2007, versione però smentita recentemente dal calciatore, che sostiene di aver scelto il Manchester City per motivazioni economiche indipendenti dai diritti d’immagine.
Due anni dopo fu il turno di Obinna e De Sanctis, con il portiere abruzzese che però riuscì a trovare un accordo all’ultimo momento, mentre per il primo la trattativa si concluse con un nulla di fatto. La questione legata ai “fantomatici” scarpini con marchio Napoli è tornata a galla con la trattativa per l’acquisto di Astori nel 2015, saltata per il suo precedente accordo con Puma, seguita poche settimane dopo anche dal “nulla di fatto” per Soriano, proprio all’ultimo giorno del mercato estivo, a causa del mancato accordo definitivo sui diritti d’immagine nonostante il contratto di cessione fosse già stato sottoscritto nel primo pomeriggio da Napoli e Sampdoria.
Questa estate la musica non è cambiata. L’allenatore dell’Everton, Allardyce, ha chiamato in causa nuovamente questo problema per spiegare il fallimento della trattativa che avrebbe potuto portare Klaassen a Napoli negli ultimi giorni di mercato. E poi c’è il caso di Politano che forse sarebbe potuto approdare alla squadra di Sarri se non fosse per i complicati contratti fatti sottoscrivere da De Laurentiis (le perplessità del Sassuolo, però, non vertevano solo su questo punto). Infine, non bisogna dimenticare che ci sono diversi tesserati che vorrebbero una gestione diversa dei loro diritti d’immagine, a partire da Maurizio Sarri.
A ben vedere, però, non sempre il Napoli ha mantenuto la sua intransigenza sui diritti d’immagine e può succedere che a volte faccia delle eccezioni, anche se solo per i giocatori e gli allenatori più importanti. Ci sono ad esempio i casi, non smentiti dai diretti interessati, riguardanti i contratti di Benitez, Reina e Higuain, sottoscritti concedendo loro una percentuale dei diritti d’immagine, e poi quello di Hamsik, che è riuscito a tenere fuori dal suo contratto l’utilizzo della propria immagine in Slovacchia.
Il Napoli ci guadagna?
Vista la quantità di problemi che ogni volta il Napoli si ritrova ad affrontare, c’è da chiedersi a quanto ammonti l’impatto di questa gestione dei diritti d’immagine sui ricavi della società di De Laurentiis.
Se fino alla stagione 2009/10 gli introiti di questa voce erano apprezzabili e avevano raggiunto in quell’anno la cifra massima di 7,4 milioni, nei cinque bilanci successivi (in attesa di quello del 2016/17, che deve ancora essere pubblicato) gli incassi non hanno mai superato i 330 mila euro, se non nel 2013/14 quando un accordo con Vodafone (con protagonisti Hamsik e Higuain) ha fruttato al club poco più di 2 milioni.
È difficile da fuori spiegare perché il Napoli perseveri così tanto in una politica che, finanziariamente, gli porta così poco. Forse la società di De Laurentiis si augura di gestire meglio i diritti d’immagine dei suoi calciatori nel prossimo futuro, magari con un progetto sistematico che ancora non è stato avviato (in questo senso, i discorsi di De Laurentiis sulle scarpe del Napoli potrebbero essere un indizio).
Leggendo esclusivamente i bilanci, però, viene da pensare che qualcosa sia cambiato a partire dal 2010, visto il crollo dei ricavi dalla gestione dei diritti d’immagine fra la stagione 2009/10 e quella 2010/11 (da 7,4 milioni a 143 mila euro). Una ipotesi, impossibile da verificare per le ragioni spiegate sopra, sarebbe che a partire da quell’anno siano state inserite nei contratti delle deroghe a favore dei giocatori più rappresentativi (e quindi maggiormente in grado di generare introiti) che rendono la questione meno restrittiva di quanto si possa pensare.
Quel che si può dire con certezza è che dall’estate del 2010 non ci sono più state evidenze a bilancio che giustifichino a livello economico le tante problematiche sorte nelle operazioni di mercato a causa dei diritti d’immagine. Insomma, non sembrerebbe una questione poi così importante, eppure ancora oggi ci ritroviamo a parlarne come una delle possibili ragioni che influenzano il mercato di De Laurentiis. Solo il tempo, probabilmente, ci dirà se tutta questa fatica, un giorno, porterà vantaggi consistenti alle casse del Napoli.
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