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Benitez: «Roma-Napoli, che spettacolo! De Laurentiis? Mi accontenta a metà. Vi svelo segreti, pensieri e opinioni. Su Mascherano…»

La supersfida contro la Roma, il rapporto con De Laurentiis, l’amicizia con Maradona, i segreti della sua metodologia di lavoro, la passione della città e l’obiettivo di rendere il suo Napoli competitivo negli anni. Rafa Benitez a tutto campo nel forum organizzato al Mattino.

Roma-Napoli, che partita sarà? «Una partita importante, la Roma è al vertice della classifica, noi siamo vicini. Una partita diversa dagli ultimi anni perchè dall’altra parte c’era sempre qualche altra squadra e ora siamo noi e loro. Di sicuro sarà una bella partita».

Gerrard ha detto che quando lei allenava il Liverpool chiese ai suoi giocatori di attaccare alla gola quelli del Barcellona: cosa dirà prima della Roma? «È diverso. Una cosa è la Champions con partite che devi vincere subito o in cui fare risultato dalla prima giornata, un’altra è il campionato con tante partite dove c’è una corsa di resistenza. Noi vogliamo vincere, questa è la nostra idea ma c’è da gestire l’ambiente: si vince alla fine, non oggi o venerdì».

Avverte la pressione di dover vincere? «Ogni società e ogni squadra che cresce ha sempre l’idea di provare a vincere. Ho parlato con il presidente, Bigon e con tutti coloro che lavorano nella società: sappiamo che è molto importante se la squadra ogni anno può mantenersi su questi livelli. La Champions con i numeri fa la differenza, garantisce più soldi e così arrivano giocatori di qualità. Se l’anno prossimo saremo in Champions potremo salire ancora. Se una società come la nostra non può competere in Europa per stadio e merchandisnig, deve farlo piano piano e la Champions ti permette di prendere quei soldi per fare la differenza».

Higuain, Albiol e Zuniga: giocheranno a Roma? «Maggio sta bene e si sta allenando bene. Loro tre hanno fatto un po’ di lavoro differenziato e oggi (ieri, ndr) quasi tutto, mancano due giorni alla partita. Sono fiducioso per qualcuno ma non per tutti, bisogna vedere le condizioni di ognuno. La notizia positiva è che Pandev si è allenato con noi e anche Hamsik: se fossero andati in nazionale non sarebbe stato possibile».

Garcia-Benitez, al primo anno già vincenti in due piazze particolari come Roma e Napoli: sarà anche la vostra sfida? «Garcia è un allenatore di massimo livello, siamo stati una settimana insieme a Valencia. Non è mio allievo, è un allenatore che ha fatto la sua carriera. Molto intelligente, sta portando avanti un grandissimo lavoro. Sono sempre contrario a quest’idea di un allenatore contro un altro allenatore. Io ero all’Extremadura, la prima partita era contro il Barcellona di Van Gaal: se l’avessi battuto sarei stato un fenomeno? Dipende da quello che hai a disposizione, siamo due tecnici nuovi: Garcia ha una squadra che gioca una partita alla settimana, noi due. Se vinciamo noi non vuol dire che sono migliore io, stessa cosa se vincono loro. So quello che abbiamo fatto noi in ritiro, di sicuro lo ha fatto anche Rudi. Io trasferisco la mia idea ai giocatori che devono poi metterla in pratica sul campo: fin qui l’abbiamo fatto bene sia noi che la Roma di Garcia».

Qual è il giocatore della Roma che la preoccupa di più? «Non c’è un giocatore solo che può fare la differenza. Se diciamo che gli attaccanti sono i più pericolosi succede che difensori possono fare gol su palla inattiva. Per me è più importante la squadra che interpreta il calcio: c’è Gervinho che sta facendo bene, Totti anche, ma senza il lavoro di De Rossi e degli centrocampisti non potrebbero farlo»

Considera Totti a 37 anni un miracolo calcistico? «Lui è intelligente, sa gestire le forze durante la partita, un giocatore di qualità».

Ha detto alla squadra di fare tesoro degli errori contro l’Arsenal: ha chiesto grande personalità contro la Roma? «Dopo ogni partita scrivo quello che mi piace e quello che non mi piace, poi con lo staff lavoriamo per migliorare. La partita con l’Arsenal è stata totalmente diversa: il loro ritmo è troppo alto, loro giocano con molta velocità su un campo perfetto. Noi abbiamo avuto problemi a capirlo, anche se io lo sapevo che era diverso: se non hai la concentrazione altissima e fai benissimo la fase difensiva si fanno errori all’inizio e si paga».

Insigne l’ha subito stregata? «L’ho visto quando giocava con l’under 21, con la Nazionale e il Napoli. Un giocatore diverso, speciale, il lavoro che dobbiamo fare è proteggerlo un po’. Lui ha tutto il potenziale per arrivare e restare a questo livello alto per tanto tempo: non è la prima volta però che un giocatore sembra debba restare così per dieci anni e poi dopo due si perde. Lui ha la qualità e noi dobbiamo lavorare per farlo restare a lungo al massimo».

Ha allenato per molti anni in Inghilterra: cosa pensa dei cori razzisti e della chiusura degli stadi? «Ricordo un’intervista letta ai tempi dell’Inter, credo di Baggio. Diceva che non gli piaceva il calcio italiano perchè non si poteva andare allo stadio con la famiglia e che in Inghilterra era diverso. Se qualcuno deve dire qualcosa non sono io ma chi ha la responsabilità per controllare queste cose, noi dobbiamo fare il nostro compito. Quando giocavo dagli spalti me ne dicevano di tutti i colori e io ero solo concentrato sul mio lavoro. Più ne parliamo e più si amplifica il problema. Chiusura degli stadi? È chiaro che non possiamo far pagare sessantamila tifosi per cento, duecento persone. Negli stadi ci sono le tv a circuito chiuso per osservare i tifosi e individuare i responsabili di certi atti, in Inghilterra si fa da tempo e la polizia le espelle dal campo».

Da quando è a Napoli ha parlato con ex giocatori azzurri che hanno vinto lo scudetto? «No. Conosco Maradona personalmente, ho parlato a Liverpool con lui e Bilardo, era un serata speciale. Mi dicono che potrebbe venire venerdì a Roma: sarebbe bello così potremmo parlare un po’ di calcio e io di sicuro potrei imparare qualcosa».

Con sua moglie parla della sua esperienza a Napoli? «A lei piace la cultura, mi ha parlato del Palazzo Reale, io parlo di calcio, lei adesso segue un po’. Ma non le dico chi gioca sulla fascia».

Caso Balotelli: i calciatori devono essere dei modelli per bambini? «Noi abbiamo 24-25 giocatori in rosa, impossibile controllare tutti. Se vuoi cercare qualche notizia lo fai tra due-tre del gruppo e la tiri fuori. I calciatori fanno una cosa speciale e ti aspetti da loro un messaggio sociale: qualcuno lo fa, altri non lo fanno. Noi dobbiamo pensare al calcio».

Ci spiega i segreti della sua preparazione: ottanta per cento con il pallone, gli allenamenti sempre di mattina e i giorni di riposo a metà settimana? «Se abbiamo determinati calciatori e quello al centro è molto intelligente, non corre tanto. Ma dopo tre mesi di allenamento sarà in ritardo rispetto agli altri. Così se ci alleniamo l’ottanta per cento con la palla siamo sicuri che tutti faranno lo stesso lavoro e poi si aggiunge un supplemento di lavoro personalizzato perchè c’è chi ha bisogno di correre dieci chilometri, un altro venti, uno per un’ora e mezza e così troviamo l’equilibrio. Ricordo un allenatore molto famoso del Barcellona che allenava la sera, i dirigenti gli dicevano di allenare al mattino perchè dopo la seduta pomeridiana non si potevano controllare i giocatori. Il presidente organizzò una riunione per spiegare che era preferibile allenarsi la mattina: alla fine proseguirono gli allenamenti di sera perchè forse l’allenatore era libero lui… È un’abitudine, per me è preferibile al mattino perchè si ha più energia. E poi parliamo di ragazzi tra i venti e i trent’anni che lasciano i bambini a scuola e vanno ad allenarsi e così è più facile per loro gestirsi nella giornata. Noi dobbiamo allenare le gambe ma anche l’uomo, la persona. I giorni di riposo? Soprattutto quando si giocano due partite alla settimana, se non hai un po’ di riposo, guardi sempre lo stesso allenatore e lo stesso preparatore ti stanchi: cambiare per qualche giorno serve a caricare di più i giocatori».

Ha scelto di vivere a Castelvolturno per difendersi dalla pressione di Napoli? «No, a me piace preparare le partite, guardare i video, fare la riunione con lo staff, l’albergo è a cinque metri dal centro sportivo e questo è un vantaggio, se devo andare in città ogni volta occorrono cinquanta minuti. Napoli la sto vivendo, vengono in tanti al campo e mi chiedono una foto al volo. Ho visto Palazzo Reale, il Cristo Velato, ho visto Napoli sotterranea: fatto almeno cinquanta fotografie ogni volta che esco, tutti mi chiamano Rafà o Rafè. Sento e vivo la città».

Il suo rapporto con De Laurentiis? «Per me non è un rapporto complicato. Sono 26 anni che lavoro nel calcio e ho avuto quindici presidenti, il loro ruolo è particolare, hanno la responsabilità di tutto: pensate, oggi ho ricevuto il messaggio di un tifoso che chiedeva alla società di intervenire sul prezzo del biglietto di Roma-Napoli. Aurelio è un imprenditore, ha un’idea e sono qua perchè mi piace molto. A Londra, nella prima riunione, mi colpì la sua energia, mentre Bigon e Chiavelli erano tranquilli. Questa differenza mi sembra positiva: lavoriamo tutti insieme per arrivare allo stesso obiettivo. Io gli dico quello che penso e De Laurentiis mi accontenta al cinquanta o all’ottanta per cento, avviene la stessa cosa quando lui dice delle cose a me. Lui ha la mentalità di fare bene e io sono un allenatore di esperienza che vuole fare il meglio per la società».

Lo stadio non di proprietà è un elemento di debolezza rispetto a club come Arsenal, Barcellona e Bayern? «Forbes ha mostrato i numeri, il Napoli è la diciassettesima società al mondo, sta crescendo ma c’è ancora una differenza. Saurini, l’allenatore della Primavera, dopo la partita con l’Arsenal mi ha detto che il centro sportivo era magnifico. Io che vengo dall’Inghilterra so che ogni squadra, dalla Premier League alla serie B, ha un centro sportivo e la proprietà dello stadio. La differenza tra una squadra e un’altra può essere tra i 50 e i 100 milioni di ricavi, significa che si possono fare investimenti. De Laurentiis ha questa visione e vuole arrivare a questo punto ma non è facile. Se rimani in Champions sono certi 20 milioni ogni anno, noi arrivammo a 35 milioni con il Liverpool, il Bayern Monaco quest’anno a 55: ecco la differenza se vai in finale o sei fuori dall’Europa. Lo stadio e il merchandising fanno la differenza, le società che pagano più soldi hanno vinto nove volte su dieci il campionato negli ultimi dieci anni. Il 99 per cento delle volte le squadre che spendono di più vincono, questa è una regola o quasi».

Come mai c’è questo gap tra le migliori d’Italia, Juve e Napoli, e le migliori d’Europa? «Ho ascoltato il pensiero di Conte, lui conosce le cose della sua società, io so le nostre e siamo ancora un po’ distanti con le big d’Europa. Ma allo stesso modo dico che il Valencia non poteva competere con Real Madrid e il Barcellona e abbiamo vinto il campionato due volte e una coppa Uefa; il Liverpool non poteva competere con Barcellona, Juve e Milan e ha vinto la Champions. Sì può vincere anche se hai meno soldi quando tutto va bene: su dieci volte, nove vince chi ha più soldi, una volta però si può fare ma se tutto va bene. Vincere è una corsa di resistenza ma dobbiamo lavorare tutti insieme per arrivare più avanti e così sarà più facile».

Era preoccupato per le partenze di Cavani e De Sanctis? «No, perchè a me sembrava che Cavani andasse via. Se fosse rimasto sarei stato contento ma se fosse andato via avevo detto a Aurelio che avremmo dovuto essere sicuri di fare investimenti per migliorare la rosa e così abbiamo fatto. De Sanctis? Sapevo cosa pensava ma noi dobbiamo fare il nostro lavoro e Rafael dobbiamo prepararlo per il futuro. Quando Morgan è andato via, c’è stata l’opportunità di Reina e non potevamo non afferrarla».

Quale è l’obiettivo finale? «Penso sempre di vincere la prossima partita. La cosa più importante è migliorare la squadra ogni giorno in ogni allenamento, vedo ancora che la squadra può crescere: il 75 per cento è una percentuale che si può migliorare. Con il Borussia Dortmund abbiamo giocato al 110 per cento, ma una cosa è farlo una volta, un’altra è arrivare come livello di squadra al cento per cento, nessuno può farlo. Noi dobbiamo cercare di essere vicini alla perfezione per avere possibilità di vincere qualcosa, anche se nel calcio succede di vincere la finale di Champions a Istanbul in un certo modo e di perdere ad Atene dopo aver giocato meglio. Il nostro messaggio è questo: essere forti negli anni come squadra, società, come rosa, avere la stabilità ad alto livello. Non serve vincere una volta e basta. Meglio essere cinque anni sempre ad alti livelli».

Pensa a Mascherano? «No. Non parlo di mercato, ho rispetto per la mia squadra che sta lavorando benissimo. Penso ad un giocatore come Radosevic che sta migliorando, il mio lavoro da oggi al primo gennaio è lavorare con questa squadra e fare crescere tutti. Se si fanno dieci nomi di mercato uno poi alla fine arriva. Oppure succede che un procuratore spinge un suo calciatore e lo accosta al Napoli e magari non è vero, o viene fatto per alzare il prezzo e creare aspettative. Mascherano è un giocatore che oggi non devo seguire perchè lo conosco benissimo: sono molto contento con i giocatori che abbiamo in rosa, se loro hanno ancora margine per migliorare sarò contento. Ma questo non significa che non lavoriamo per il mercato, parlo sempre con il presidente, Bigon e Chiavelli e guardiamo già al prossimo anno. Quando andrò via dopo due, tre o cinque anni e verrà un altro allenatore mi aspetto che qualcuno dica che la squadra e la società è migliorata e questi giocatori hanno imparato qualcosa».

Cose non le piace di Napoli? «Mi hanno detto che nel 1890 una scrittrice ha fatto riferimenti a qualcosa che non andava bene a Napoli. Sì, Matilde Serao, che ha fondato Il Mattino. Perfetto, qualcosa ancora è rimasto, dobbiamo migliorare».

Disse che era amico di Mourinho fin quando non aveva cominciato anche lui a vincere: ci spiega le differenze? E ancora: quali sono le differenze tra Nord e Sud? «Non parlo di un altro allenatore. Non è facile avere un amico quando devi vincere soprattutto a questo livello. Quando una squadra è a metà classifica non è un problema, arrivare fino in fondo è diverso perchè la Champions la vince una soltanto. Nord e Sud in Italia? È lo stesso discorso della Spagna, di Madrid, Valencia e Siviglia: il carattere della gente del sud è diverso, c’è più calore, qualche volta è molto positivo, altre volte no. Per questo sostengo il messaggio della tranquillità: “Sin prisa pero sin pausa”, senza fretta ma senza pausa. L’obiettivo è vincere qualcosa ma soprattutto rimanere al livello dove siamo oggi e fare ancora meglio. Se in ogni partita siamo sotto pressione tutto diventa più difficile».

Se vince lo scudetto tornerà qui al Mattino con il suo amico Maradona? «Io posso dire sì, per me non è un problema al cento per cento, però dovrà dirlo anche lui».

Fonte: Il Mattino

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