Le due sconfitte di fila sono state indolore. E non solo perché sono arrivate dopo settimane con allenamenti a singhiozzo pergli infortuni, ma anche (e forse soprattutto) perché sono arrivate dopo otto vittorie consecutive, record in tutte le conference della DNA. Numeri ma non solo. Perché Napoli, la nuova Napoli ‘reincarnata’ di Salvatore Calise, oggi è una realtà. In espansione, ambiziosa. Che mira in alto. Il clima è positivo ed entusiasta, la voglia di serie A, quella persa in quel settembre nero del 2008 (perché la parentesi Papalia, sia ben chiaro, non ha nulla a che vedere col basket napoletano), palpabile. Questione di numeri anche qui. E un dato su tutti, la crescita costante del pubblico. Dai 1200 della prima con Pavia ai 1930 con Ferentino: una strada in salita in cui i dubbi, legittimi e giustificati, sono stati cancellati da una squadra che Maurizio Bartocci, coach ormai indissolubilmente legato alla storia del basket napoletano, ha saputo costruire compatta in campo e sul parquet. E allora, pian piano, il PalaBarbuto ha iniziato ad avere sempre meno spazi vuoti. Certo, i pienoni dell’era Maione sono ancora lontani, ma il livello del campionato è quello che è e per rimarginare le ferite (profonde) del passato recente ci vorrà tempo.
PIENO Eppure, a conti fatti, il borderò di Napoli non ha nulla da invidiare a quello di piazze che militano nelle categorie superiori e che hanno comunque un appeal mediatico e spettacolare molto più elevato. Questo almeno in teoria. Già, perché confrontando i dati parziali del pubblico con le altre due metropoli dei canestri, Roma e Milano, si scopre che Napoli ha avuto più spettatori totali della Capitale: 7530 contro i 7404 del club di Toti. Che, è vero, ha giocato in casa solo tre partite contro le cinque dei partenopei, ma è pur sempre una squadra di serie A e per giunta di vertice. E allora se Milano, coi suoi 26300 spettatori totali (e gli investiti milionari di Armani) è irraggiungibile, il saldo con Roma è positivo. La media dell’Acea è più alta (2468 spettatori contro i 1506 di Napoli), ma il confronto non è alla pari. E fa riflettere che in questa stagione, senza più l’Eurolega, la Virtus Roma abbia deciso di giocare le gare casalinghe nel vecchio Palasport di viale Tiziano (3500 spettatori) e non più al PalaEur (12mila posti circa). Il calo di spettatori e di interesse è evidente. Mentre altrove, a Napoli per esempio, la sete di basket, per usare l’espressione coniata in estate per i manifesti dei tifosi, aspetta di essere soddisfatta.
SALTO Il punto è proprio questo: l’esperienza in DNA, pur se appena iniziata, ha detto chiaramente che la piazza aspetta altri palcoscenici. E che, in prospettiva, è pronta ad una risposta importante. Rieccoli, i numeri: in proiezione, i 1506 spettatori di media in DNA sono pronti a diventare 4mila per una partita di serie A. Quasi il doppio, giusto per restare alle cifre, della media spettatori di Roma, società che frequenta il ’salotto buono’ del basket taliano ed europeo da anni e in maniera stabile. Riflessioni che sono state fatte anche all’interno del Napoli Basketball. E non solo in maniera accademica. Il ’piano serie A’ di cui Cronache di Napoli ha già riferito 20 giorni fa, va avanti su due binari. Da un lato c’è la necessità di allargare la base societaria, di dare un impatto economico importante ad un club sorto praticamente da zero ma che ha capito in fretta la lezione: mai fare il passo più lungo della gamba. Avere una solida base economica con l’ingresso di investitori è il primo passo. Non è un caso che già da un po’ si stia dando un’occhiata ai bilanci dei club delle categorie superiori. Per capire,certo, quanto costa fare basket al piano di sopra ma anche quanto ci vorrebbe per fare il doppio salto. Sempre che, è questa è un’altra strada, il Palazzo del basket non decida di riformare i campionati, con l’addio alla LegaDue e la’promozione’ della DNA a secondo torneo professionistico nazionale mantenendo l’obbligo dei giovani in campo ma aggiungendo due extracomunitari per squadra. Una doppia direzione che potrebbe schiudere a Napoli le porte della categoria superiore. In parallelo, corre un altro progetto: dotare il club di strutture adeguate e gestite in maniera diretta. Il PalaBarbuto, certo, ma non solo. Basta dare un’occhiata di fronte, a quelle che oggi sono rovine ma che un tempo erano la ’casa’ del basket napoletano. Da quel passato oggi infestato di rovi e clochard potrebbe nascere un futuro radioso e moderno, con un impianto super controllato da chi lo ricostruisce. E allora sì, la sete sarebbe davvero passata.
Fonte Cronache di Napoli
La Redazione
A.F.
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