Welcome back Alex”. Più che un benvenuto è un bentornato. Del resto, lui stesso lo ripete più volte durante la giornata: “Once neapolitan, neapolitan is forever”, una volta che diventi napoletano, è per sempre. Ventitré anni dopo, Alex English torna nella città che l’ha visto giocare nel 1992. In molti ricordano quel girone di ritorno nel campionato del Napoli Basket, la sua squadra, giocato al Palasport Mario Argento di viale Giochi del Mediterraneo (oggi abbandonato e in rovina). Fu l’ultima stagione della sua gloriosa carriera, trascorsa nell’Nba, soprattutto nei Denver Nuggets e che lo vede, dal 1997, iscritto di diritto alla “Naismith Memorial Basketball Hall of Fame” degli Stati Uniti. Due metri di stazza, piede taglia 49: oggi il campione, ex cestista e allenatore, ha 61 anni. Ed è un ambasciatore internazionale dello sport. Alex infatti è testimonial di “Sports Envoy”, iniziativa del Dipartimento di Stato Usa, grazie alla quale atleti e allenatori di varie federazioni sportive americane collaborano con ambasciate e consolati in tutto il mondo, allo scopo di diffondere tra i ragazzi la cultura dello sport, la leadership e il rispetto della diversità.
Non solo, in ogni conferenza e dibattito, English, gigante buono, ammonisce ogni platea sulla pericolosità del bullismo, soprattutto quello che serpeggia in internet, nelle chat dei social network, spesso causa di traumi e shock, se non, addirittura, peggio.
La sua tappa partenopea, giovedì, parte proprio da qui. Una toccata e fuga in città per poche ore, pronto a presenziare due importanti appuntamenti organizzati dal Consolato generale americano di Napoli. Il primo è alle 11, accompagnato dal console Deborah Guido O’Grady (capo della sezione stampa e cultura) nella scuola Francesco Saverio Nitti di viale Kennedy, diretta da Annunziata Campolattano. L’istituto, suddiviso in due sezioni (tecnica-economica e liceo scientifico) con ulteriori indirizzi, comprende anche un “liceo scientifico di scienze applicate con curvatura sportiva”, dove ogni classe si esercita per sei ore a settimana in diverse discipline sportive. Un programma vario e stratificato (che include, tra le altre attività, lezioni di nuoto alla piscina Scandone, corsi di lotta libera, tiro a piattello) tenuto dal professor Italo Gatta. I risultati non tardano ad arrivare: il Nitti alleva veri e propri campioni, come Massimo Di Martire ed Emanuele Ciardi, in nazionale under 17 di pallanuoto, o Gianluca Talamo, campione italiano di lotta libera. E poi c’è Mariano Esposito, 18 anni, giocatore del Givova Napoli Basket. Saluta English come una star, un mito: “E’ un onore per me conoscere un grande giocatore dello sport che amo”. Il campione Nba tiene una lezione nell’aula magna dell’edificio: ad applaudirlo, più di cento studenti tra i 14 e 18 anni. E c’è una sorpresa: tra le persone che lo accolgono, c’è anche un suo vecchio compagno di squadra, Giovanni Dalla Libera. Alto ancora più di English, veneto e da trent’anni a Napoli, oggi è allenatore della “Libertas Pallacanestro Napoli” e tiene corsi di basket ai detenuti del carcere minorile di Nisida.
Alex lo riconosce subito, si emoziona per un attimo, abbraccia il vecchio amico, poi torna nello spirito di coach: “Non dimenticherò mai lo spirito che si viveva qui a Napoli – ammette – la nostra squadra non era al massimo delle potenzialità, ma ho vissuto un’esperienza indimenticabile, soprattutto grazie a compagni come Giovanni”.
Poi inizia il dibattito con gli studenti. Il discorso verte sul cyberbullismo: “Anch’io, da ragazzo – inizia Alex – sono stato vittima di ingiustizie molestie. Sono nato nell’America della segregazione, so cosa significchi essere discriminato soltanto per il colore della pelle”. La platea ascolta attenta, quasi rapita. Quella voce profonda, anche se di lingua incomprensibile per alcuni, lascia il segno. “Oggi, con l’avvento della rete – continua, assistito dalla preziosa interprete Gabriella Rammairone – il bullismo è ancora più strisciante. Attraverso le chatline si può insultare, offendere, denigrare una persona per il suo aspetto fisico, la sua pelle, la sua religione. E, contemporaneamente, si ha la possibilità di rimanere invisibili, protetti dalla distanza e dal guscio di un monitor”.
La soluzione ad ogni intemperanza è però, come sempre, a portata di cuore, nell’umanità che, però, spesso vacilla: “Siate sempre inclusivi: amate le diversità e, soprattutto, se conoscete una persona vittima di molestie, statele accanto. Aiutatela ad uscirne, avvisate i suoi familiari, non lasciate che si chiuda a riccio peggiorando la situazione”. Sono i ragazzi stessi a far partire un lungo applauso finale. Sincero. Giusto il tempo di consegnare al loro “american professor” un piccolo regalo (una scultura di Pulcinella contenente i più famosi detti napoletani) e poi tutti in palestra. Per un’altra lezione speciale di Alex English, stavolta pratica. Con lui c’è anche Giovanni Dalla Libera. Venti studenti si esercitano in palleggi, stretching e tiri a canestro. Tra oro c’è anche una ragazza, Martina: ha 17 anni e indossa una casacca del Napoli. “Solitamente – ammette – amo giocare a calcio, ma il basket è uno sport sorprendentemente bello. Mi ha fatto piacere partecipare a questa sessione”.
L’INTERVISTA – LA SECONDA VITA DEL CAMPIONE NBA
Da Fuorigrotta a Secondigliano. Nel pomeriggio, alle 15, Alex ha un altro appuntamento. Intenso come il precedente ma, forse, con un tocco di emozione in più. La star Nba partecipa infatti ad un incontro organizzato dall’associazione Larsec (Laboratorio di riscossa secondiglianese), presieduta da Vincenzo Strino, in collaborazione con la parrocchia dei Santi Cosma e Damiano, guidata da don Vincenzo D’Antico. All’incontro partecipano anche il Console generale americano Colombia Barrosse e Ciro Borriello, assessore comunale allo Sport. Il parterre, stavolta è costituito da bambini tra i 7 e 13 anni. Provengono tutti da difficili situazioni familiari, in uno dei luoghi più duri della città, in attesa di rilancio. Che potrebbe arrivare proprio dallo sport. Ne sa qualcosa il piccolo Antonio, 12 anni, giocatore di rugby, aspirante titolare della maglia nazionale. Per lui è un sogno: lo stesso che aveva Alex alla sua età. Gli sguardi e le espressioni di chi lotta per affermarsi, non tardano a trovare intesa. Alex se ne accorge subito: “Voi mi dite che questo è un quartiere difficile? Ok, ma non quanto il mio, credetemi”. Inizia così il suo intervento: “Vengo da Colombia, una città del South Carolina e, fino a quattordici anni ho vissuto in tre stanze con altri 13 fratelli. Ci scambiavamo i vestiti, non c’era abbastanza denaro nemmeno per mangiare. Adoravo la mia famiglia ma, una volta adolescente, capii subito che non volevo più trascorre così il resto della mia vita”.
Ed è attraverso lo sport che il giovane Alex costruisce il suo trampolino di lancio. “Il mio sogno era diventare giocatore di football, ma ero troppo magro. Così ho scelto il basket, l’altro sport che amavo tantissimo ed che ora è parte di me”. Anni di allenamento, lunghi turni di palestra e campo e tanta volontà: “La prima volta che feci domanda in una squadra mi scartarono. Ma non mi arresi, lavorai sodo e riuscii ad entrare in un altro team. Quell’anno giocai soltanto un minuto di partita e capii che dovevo ancora impegnarmi. Non amo perdere: per me il basket è sempre stata una passione, la mia arte. E volevo diventare il Picasso o lo Chagall della pallacanestro”.
La costanza lo premia, Alex corona il suo American Dream: dai sobborghi di Colombia, alla ribalta dell’Nba: “Grazie allo sport ho potuto studiare, laurearmi al college, girare il mondo e vivere esperienze uniche. Ed ero un ragazzino come voi. Nato in una città difficile, ma con grandi potenzialità. Basta saperle cogliere”. Poi, tutti al campetto della parrocchia: un piccolo spiazzo di cemento con due porte e canestri. I ragazzi ascoltano la lezione del coach. Agli esercizi partecipa anche un gruppo di marines e lo stesso console Barrosse. E, per una volta, nella città del calcio, è un canestro a riunire aspettative e speranze.
Fonte: Repubblica.it
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