Ci hanno fatto sognare, tutti ci credevamo dopo le ventisette partite vinte su trentaquattro, di cui tredici su diciassette in trasferta. Nessuno avrebbe immaginato un finale come quello di Trento, con la squadra alle corde già all’inizio del terzo quarto. La torcida napoletana al PalaTrento ha gli occhi persi nel vuoto, consapevole del turbinio di emozioni per l’incertezza sul futuro di questa favolosa esperienza. Lo sport è programmazione, anche i più grandi successi di gruppo hanno bisogno di anni per realizzarsi. Lo sport è una delle cose più belle che possa esistere al mondo perché non si smette mai d’imparare, in tal senso è una parziale metafora della vita. Il “day-after” è duro da digerire ma suggerisce anche riflessioni che ieri sera sotto i colpi di Forray, Negri e Pazzi non potevano essere sviluppate. Ho sempre speso parole d’elogio verso i protagonisti di questa società che hanno compiuto un miracolo: riportare il basket nel cuore dei napoletani creando entusiasmo nonostante la precarietà di un’iniziativa nata dal basso con i problemi del PalaBarbuto e la storica assenza del PalArgento. Tutti attorno a Bartocci e compagni e pronti a dimenticare che solo sei anni fa la Napoli dei canestri conquistava la Coppa Italia a Forlì; anche il campionato di DNA era “una bella storia” per riportare la palla a spicchi in città. Da questo patrimonio l’esperienza deve continuare; il supporto deve arrivare dalla politica. L’assessore Tommasielli convochi un tavolo con Carpisa Yamamay e BpMed Napoli e metta al centro le loro esigenze, partendo dalle situazioni del Collana e del PalArgento; l’attenzione mediatica non può essere concentrata solo sullo stadio. Chi gestisce la città deve saper guardare al complesso delle opportunità di crescita e non solo ai bagliori dei riflettori mediatici.
Una volta garantita la permanenza di questa realtà, la BpMed deve fare tesoro del cammino compiuto finora. La precarietà ha bloccato tutto sul più bello perché la squadra ha sentito la pressione di una vittoria da ottenere necessariamente perché troppe volte si è detto: “La Dna deve essere solo di passaggio, un anno e basta”. Nello sport ci sta anche la sconfitta, bisogna metterla in preventivo e metabolizzarla attraverso i progetti. La promozione in LegaDue era un traguardo raggiungibile, non condizione essenziale per costruire una mentalità ed una realtà societaria.
La gestione nervosa pessima delle due gare contro Trento ha messo in luce proprio quest’eccessiva tensione, come se un’eventuale sconfitta fosse un dramma. Ieri sera, anche durante le ottime battute iniziali, notavo l’ansia trasmessa dai ragazzi. Ogni azione prevedeva discussioni con gli arbitri, tanti dibattiti sul parquet anche tra i compagni, scene di disperazione anche in panchina per ogni punto subito. La partita era lunga ed era importante rimanere nel match fino alla fine, poi la vittoria poteva tranquillamente arrivare ed, invece, quella maledetta ansia ha rovinato l’equilibrio psicologico complessivo.
Una lezione da acquisire per progettare il prossimo anno; ciò che conta è che questa città è affezionata al basket e non deve perderlo. Rilanciare il progetto con l’aiuto di nuovi sponsor; a Napoli l’imprenditoria c’è ed è pronta a sostenere le attività sportive. E’essenziale valorizzare il patrimonio della passione popolare ed in questo Calise rappresenta un maestro. La stagione compiuta deve essere motivo d’orgoglio e non di disperazione; una sconfitta non può essere un dramma. Onore ai vincitori, a Trento che meritatamente conquista l’accesso alla finale, nonostante la pessima organizzazione del servizio in tribuna stampa. Anche loro hanno da imparare…
La nostra redazione è orgogliosa di aver seguito per l’intera stagione la realtà cestistica napoletana con un lavoro di grande qualità. Noi ci siamo e ci saremo sempre, a differenza di altre testate che hanno snobbato quest’iniziativa. La presenza di valide realtà sportive nella nostra città vale più della categoria d’appartenenza.
A cura di Ciro Troise
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