La brutta avventura della sparatoria di Bayamon, Porto Rico, dove la sua auto la scorsa settimana è stata centrata da una raffica di proiettili, se l’è messa alle spalle e non ne parla troppo volentieri. Denis Clemente, effervescente playmaker del nuovo Basket Napoli, quando arriva al Polifunzionale di Soccavo ha l’aria spavalda dei chicos portoricani raccontati in West Side Story. Per poi rivelarsi timido davanti ai taccuini. Giocatore da playground se ce n’è uno, genio e sregolatezza, estro e coraggio, Clemente sembra davvero incarnare il giocatore ideale per il pubblico partenopeo. Atterrato ieri alle 14.30 a Capodichino, accolto dal direttore sportivo Antonio Ambrosino e dal team manager Antonio Mirenghi, è stato portato subito a mangiare un piatto di penne alla sorrentina. Dopo tre ore era già in campo, pur con una bella sfilza di fusi orari da smaltire, avendo fatto un devastante tour Porto Rico-Slovacchia-Miami-Napoli in meno di una settimana.
«È la mia prima volta a Napoli e nel campionato italiano, sarà un’esperienza bella e importante per la mia carriera, l’Italia è uno dei paesi dove si gioca il miglior basket ed è una grande occasione», le prime parole di Clemente. «Napoli è una grande città e sono certo di trovarmi bene qui, ha l’animo latino come me. Obiettivi? Nessun programma, vogliamo stupire. Possiamo arrivare in alto solo lavorando duro ogni giorno in palestra, ed è quello che faremo. Di sicuro ho imparato dalla vita che, nel bene nel male, tutto può accadere». E il riferimento è forse al terribile episodio della sparatoria di Bayamon, riguardo la quale glissa: «No, lasciamo perdere, preferisco non parlarne, è acqua passata». Cugino di una leggenda mondiale del baseball come il connazionale Roberto Clemente, morto in un incidente aereo nel 1972, dunque 14 anni prima della sua nascita, Denis è rimasto legatissimo alla figura del lanciatore dei Pittsburgh Pirates, un grande Hall of famer, di cui si diceva avesse un bazooka al posto del braccio. «Non l’ho conosciuto, purtroppo, ma le sue foto sono dappertutto in casa mia e le sue gesta mi sono state descritte dai miei familiari. È un’icona per me ed è la mia guida spirituale. Ho chiesto il numero 21, lo stesso che usava lui, proprio per ricordarlo e per portare come lui nel mondo il nome della famiglia Clemente e della mia terra».
Il suo mentore è stato il coach di Kansas State Frank Martin che di lui dice: «Non indietreggia davanti a nessuno, è un combattente, un vincente, gioca con tremenda passione». Il quotidiano El Nuevo Dia lo descrive come «focoso canastero», il lato oscuro è il suo carattere, nell’ultimo anno di università, ovvero da sophomore, ha avuto paio di sospensioni per gioco violento, ma se troverà la sua dimensione può essere l’anima vincente di questa squadra. «La Nba? Ho provato, ma non mi è andata bene, quello è un mondo a parte, ma non ho mollato la presa è questo potrebbe essere il mio trampolino di lancio. Anche il mio ex compagno a Kansas State, Pullen, che ha giocato a Biella, mi aveva consigliato di venire in Italia». Classe 1986, alto 185 cm, nell’ultima stagione al Nitra in Slovacchia con 17.9 punti a partita, 3.3 rimbalzi e 3.7 assist, 1.5 recuperi e il 56% al tiro. Statistiche confermate anche in Eurochallenge, dove ha realizzato 17.8 punti a partita. Velocissimo, funambolico e con grande senso per il canestro, ha iniziato la sua carriera universitaria nel college di Miami-Florida, per poi trasferirsi, dopo due anni, presso l’ateneo di Kansas State dove ha giocato strepitose stagioni in Ncaa trascinando il college tra i primi 8 d’America.
Fonte: Il Mattino
La Redazione
P.S.
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