O lo ami o lo odi. C’è poco da fare! Quado si parla di Zdenek Zeman le mezze misure non sono ammesse, il compromesso è vietato, e qualsiasi pensiero vagamente democristiano è repentinamente bandito. Zeman è questo, prendere o lasciare, semplice. O lo ami o lo odi.
E pensandoci bene, quanti di loro possono vantare un simile onore. L’onore di dividere le masse, di spaccare il popolo dei calciofili. Ci sono coloro che godono di un’ammirazione generica. Bravi, forti, talentuosi, ma che più di quell’indefinito e quasi riverente rispetto non suscitano altro sentimento. Pelè, Van Basten, Patinì, tutti portatori di un rispetto sterile che si conclude nell’istante in cui li etichetti come “grandi”. L’essere amati o odiati, lo spaccare spettatori e addetti ai lavori, è però prerogativa di pochi. Pochi privilegiati. Pelè sarà rispettato, Maradona sarà o odiato incondizionatamente o amato in modo viscerale. È questa la grande differenza che passa tra i due. E’ questo che rende il secondo, ora e per sempre, il “più grande”
L’odio appartiene ai “più grandi”. E Zeman è un “più grande”. È un “più grande” proprio perché divide, spacca, crea, dopo 30 anni in panchina, ancora due parti inconciliabili che discuteranno, ieri, oggi e per sempre, se il suo è un grande calcio o un calcio fallimentare. Quanti possono vantare questo privilegio, quanti possono, a testa alta, affermare che il loro essere se stessi crea dibattito più di una partita o di un rigore non assegnato al 90’.
Zeman è così, prendere o lasciare. C’è chi, come il sottoscritto, ha fatto del suo 4-3-3 una Bibbia e chi invece al solo pensiero dei gradoni, del tridente e della difesa alta viene colto da attacchi di repulsione calcistica. È il personaggio, il grande personaggio, colui capace di spaccare le masse, non di riunirle in un’indefinita idea di rispetto.
Ha vinto poco, obiettano i detrattori. Ha rivoluzionato il calcio, ribattono i sostenitori. Idee e punti di vista che, per quanto inconciliabili, restano pur sempre entrambi veri. Come è vero il fatto che Zeman abbia collezionato più esoneri che successi. Ma la grandezza del boemo non sta in questo, come non sta solo nelle dozzine di giovani lanciati nel grande calcio (senza il boemo avrebbero mai visto la prima squadra?) o solo nei movimenti offensiva.
La particolarità di Zeman, il suo limite e al contempo la sua grandezza, è quella di essere un rivoluzionario perdente. Uno con le idee chiare, che romanticamente difende, non le baratta, non le cambia, a costo di fallire, per l’ennesima volta. Le conserva anche quando il mondo attorno a lui sembra non essere più disposto ad accettarle. Cambia il calcio, ma non cambia Zeman. Non cambia la sua idea di gioco. Non cambia la sua, passatemi il termine, “ideologia calcistica”. Si, perché di ideologia si tratta. Un modo di intendere e vivere il calcio che va oltre i 90’ di gioco.
E se il calcio non accetta più questa ideologia? Pazienza. Zeman resta coerente, resta Zeman. Dal Foggia dei miracoli, alla spericolata Lazio e alle due parentesi romaniste. Dai disastri in Campania fino al Pescara di Insigne, Immobile e Verratti. Ed ora il Cagliari dell’altro figliol prodigo Marco Sau.
Dopo 30 anni ancora lì, con le sue idee. Un Don Chiscotte moderno, consapevole e fiero del suo essere inadatto. Ed è questa la sua grandezza. L’essere sempre “contro”. Contro la cultura “catenacciara” che sembrava essere un dogma in Italia, contro il sistema Moggi che, prima con il doping e poi con Calciopoli, ha avvelenato per un decennio il calcio italiano. Contro tutto e tutti, solo per l’idea di un calcio più spettacolare, più vicino alla gente e meno ai consigli di amministrazione delle banche.
Zeman perderà, prima o poi, anche a Cagliari. Fallirà per l’ennesima volta, perchè per l’ennesima volta ha voluto sfidare il Sistema. Il Sistema però non lo batti, o ti adegui e diventi vincente, o resti te stesso e perdi di nuovo. E tanta sarà la gioia di chi lo odia, ma anche di chi lo ama. Perché Zeman è questo, lo si odia e lo si ama a prescindere. Già l’ho detto, ma lo ripeto: a pochi questo onore. Per lui non parleranno i titoli, gli Scudetti o le Coppa. Per lui parla la gente, i giocatori e gli altri tecnici. Coloro che dal boemo si sono formati, che a lui si sono ispirati.
Insigne che decide una Coppa Italia, Immobile capocannoniere in A, Florenzi perno della nuova Roma, Verratti che è andato a fare assist a Parigi ad Ibra. E Baiano, Signori, Sau, Marquinhos, e i discepoli Gasperini e Di Francesco. La lista è lunga, limitiamoci a questo. Limitiamoci a questo per dire che, in fondo, comunque la si veda, Zeman ha spaccato e cambiato il calcio italiano. A voi la scelta se amarlo o odiarlo.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
Condividi:
- Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per condividere su Ok Notizie (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pinterest (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Pocket (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su Tumblr (Si apre in una nuova finestra)
- Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
- Altro