Certo è che ce ne vuole, a Madrid, di coraggio per tifare Atletico, pensavo io. Non ne facciamo solo una questione degli ultimi anni, dove è più recente la vittoria in Liga dei Colchoneros piuttosto che quella dei Blancos, piuttosto pensiamo al blasone del Real Madrid e a quello che storicamente rappresenta. No, questa non è una città equamente divisa in due, come Milano tra Milan e Inter. In Italia l’esempio più calzante probabilmente è Torino, con la Juventus ed il club granata. Tra i poco più che sei chilometri che separano il Santiago Bernabeu dal Vicente Calderon passano due universi differenti, due stili di vita contrastanti. L’identità regale dei blancos, la forza, la supremazia, contro l’idealismo proletario ‘Rojo y Blanco’. Madrid ha due anime, forse anche tre se pensiamo al Rayo Vallecano, ma il distretto di Vallecas è un mondo a parte che merita una sua storia personale. Il calcio è il fenomeno che dipinge meglio le classi sociali di un popolo e se il Bernabeu è chiamato la ‘Fabbrica dei Sogni’ il Calderon rappresenta un ‘Teatro di Incubi’ per chiunque ci venga a giocare. I prezzi maggiormente alla portata delle persone rendono lo stadio dei ‘Colchoneros’ (a proposito, si chiamano così proprio per ragioni ‘economiche’, cento anni fa l’Atletico vestiva bianco e blu ma cominciò ad adottare il bianco ed il rosso perché erano colori ricavabili dalla foggia dei materassi, in spagnolo ‘colchon’) più raggiungibile anche per i ceti medio/bassi e questo incide non poco sulla tipologia di tifo che c’è all’interno, a differenza del Santiago Bernabeu che presuppone un “pubblico d’èlite” con gli ingressi che raramente scendono al di sotto dei 30 euro (per i settori più economici). L’Atletico Madrid è quindi uno stile di vita che si abbina in tutto e per tutto con quella che è la filosofia del suo allenatore, Diego Pablo Simeone, in arte “El Cholo”, fondatore del “Cholismo”.
Non è una domenica come le altre a Madrid, il passo falso del Barcellona in casa con il Deportivo La Coruna infiamma la Liga, il Real Madrid vincendo sul campo del Villarreal si porterebbe a -2 punti dalla vetta occupata dai Blaugrana, ma soprattutto è l’Altetico Madrid che vincendo effettuerebbe l’aggancio al primo posto. Le domeniche a Madrid hanno un ritmo differente, la città vive intensamente per sei giorni alla settimana, ventiquattro ore al giorno tutti i giorni e difficilmente riesce ad andare a dormire. Non è frenetica ma non va piano e alla lunga rischi di far fatica a starle dietro. Quando il popolo colchoneros si sveglia il 13 dicembre sa che può essere una giornata differente. Abituato ai ritmi italiani mi avvio allo stadio due ore prima dell’inizio della partita, prendo la metro e scendo alla fermata ‘Piramides’ sulla Linea Verde, la quinta delle dodici linee metropolitane di Madrid. E’ veramente difficile sentirsi soli quando si va a vedere una partita di calcio, non è come prendere la metro tutti i giorni, dove ognuno ha pensieri e scopi differenti, in queste ore c’è qualcosa che unisce i semplici passeggeri di un treno. Lo riconosci negli sguardi distesi della domenica ma soprattutto nelle sciarpe delle squadre, è un segno di riconoscimento, lo guardi, è il tuo stesso scopo, non sei solo in quel momento e se non mi sono sentito solo io che vivo a più di duemila chilometri da questo posto immagino chi per quei colori ci vive, che poi oggi per quei colori ci vivono addirittura due squadre, perché di Rojo y Blanco, in Spagna, c’è anche l’Athletic Bilbao. Non posso che provare invidia per queste persone, che viaggiano in trasferta con la loro sciarpa in mostra, con orgoglio, perché per chi conosce un minimo la storia dei baschi sa che l’Athletic non è solo una squadra di calcio. Arrivo sulle rive del fiume Manzanarre alle 17:00, per i miei standard è ‘quasi’ tardi, la partita è alle 18:15 e in questa parte di Madrid si respirano vibrazioni intense. Nei pub che costeggiano il fiume migliaia di tifosi colchoneros si riuniscono per festeggiare e bere birra prima della partita, per stemperare la tensione e per caricarsi a vicenda mentre l’altra parte di Madrid, quella a nord di Chamberì, quasi dorme in attesa del Real. E’ una città divisa in due, ora più che mai. Seguendo le strade disegnate dal fiume arrivo al ‘Teatro degli incubi’, forse è un po’ infelice il soprannome che ho deciso di dare al ‘Vicente Calderon’ vista la posizione d’onore che occupa nella città, alla riva del fiume Manzanarre, avvolto da un parco nel ‘Barrio de Arganzuela’, con il sole che gli tramonta alle spalle. Un delitto pensare che questo sarà l’ultimo anno in questo stadio per l’Atletico Madrid visto che i ‘Colchoneros‘ dalla prossima stagione si trasferiranno all’Olimpico di Madrid. Ai piedi del ‘Calderon’ c’è aria di festa, il distretto si colora di Rojo y Blanco, c’è gente in fila ai botteghini a caccia degli ultimi tagliandi rimasti invenduti, c’è chi compra noccioline e arachidi per la partita, qui non è come fuori il Bernabeu dove è facile confondersi tra i dialetti del mondo, al ‘Calderon’ si parla spagnolo, 100% castellano, perché questa, stando a quello che dicono loro, è la squadra dei Madrileni, perché “quegli altri” sono Madridisti. Ad alcuni di loro suona perfino strano ascoltare un accento italiano da quelle parti. “Qui si viene per tifare e per sostenere i ragazzi, questa non è una squadra di turisti” mi dicono, però non suona come una minaccia, anzi, mi offrono da bere, convinti forse di aver convertito al “Madrilenismo” un altro essere vivente, allontanandolo dal “Madridismo”. Sarebbe complicato per entrambi anche se ammetto che sono universi affascinanti. Sono le 17:30 ma qui è presto per entrare allo stadio ma decido comunque di farlo per godermi il silenzio del Calderon, prima del suo ruggito al fischio d’inizio.
La steward all’ingresso del gate mi guarda quasi meravigliata al mio stupore quando mi ha accompagnato al mio posto, che avevo prenotato su internet, ora capisco perché tutti qui arrivano a una manciata di secondi dal fischio iniziale e quasi mi rammarico che all’ingresso delle squadre per il riscaldamento non ci sia nessuno né per applaudire e né per fischiare. Anche quando la partita comincia, dopo l’annuncio delle formazioni, resto un po’ estraniato, c’è uno strano silenzio e lo stadio non è nemmeno tutto pieno. Poi tutto sembra fermarsi. Gli ultras dell’Atletico stendono le loro sciarpe in bella mostra e cominciano ad agitarle, avanti ed indietro e parte questa canzone, cantata all’unisono da tutto lo stadio: “Yo me voy al Manzanares, al estadio Vicente Calderon, donde acuden a millares, los que gustan del fútbol de emoción. Porque luchan como hermanos, defendiendo sus colores, en un juego noble y sano, derrochando coraje y corazón. Atleti, Atleti, Atlético de Madrid, Atleti, Atleti, Atlético de Madrid.” Al ritmo di ATLETI-ATLETI tutto lo stadio si unisce in un unico coro e finalmente capisco cosa intendessero i madrileni quando mi parlavano del “Canto del Calderon”.
La partita non è bellissima da un punto di vista tecnico, è molto più vicina ad un match della nostra serie A, ma è intensa, cattiva, l’Atletico sa che vincendo agguanterebbe il Barcellona al primo posto e questo rende i ragazzi di Simeone nervosi, l’Athletic Bilbao fa la sua partita e mette più volte in difficoltà i Colchoneros riuscendo anche a portarsi in vantaggio, su calcio d’angolo con Laporte.
Paradossalmente il vantaggio dell’Athletic cambia la partita in favore dei padroni di casa. Il pubblico si compatta maggiormente e al grido “Atleti-Atleti” i colchoneros riportano la palla a metà campo e cominciano una serie di attacchi a testa bassa verso la difesa basca che si rintana nella propria area di rigore. Il pareggio arriva, allo scadere della prima frazione, solo il preludio dell’assedio madrileno del secondo tempo.
Nella ripresa molti scivolano fuori dai loro posti per andare a bere qualcosa. Quindici minuti, il tempo che ci separa dal nuovo ingresso in campo delle due squadre, sono più che sufficienti per una storia che ascolto direttamente dalle gradinate del Calderon che ha a che fare con un mazzo di fiori che prima di ogni partita viene posto nei pressi di una delle bandierine del calcio d’angolo. Il mazzo di fiori è composto da 24 garofani, 12 bianchi e 12 rossi, e sono in onore di Milinko Pantic, uno degli eroi della stagione 1995/96 dove l’Atletico Madrid vinse sia la Liga che la Copa del Rey. La storia riguarda proprio una sfida contro l’Athletic Bilbao ed ha come protagonista una ragazza, Margarita, tifosissima dell’ Atletico Madrid. Margarita odiava il calcio prima di entrare al Vicente Calderon per la prima volta ed avere un imprinting con Pantic, il fenomeno dei calci piazzati, ciò che rendeva facile l’impossibile, vero calciatore di culto a Madrid a metà degli anni novanta. Durante la sfida con l’Athletic Bilbao Margherita lanciò in campo un garofano rosso o bianco per ogni goal dell’Atletico Madrid, quel pomeriggio ne furono quattro, due proprio da un corner battuto da Pantic che calciò anche via uno dei fiori infastidito. Dopo la partita però Pantic chiese personalmente scusa a Margarita regalandole la sua maglia dell’Atletico Madrid. Da quel giorno il mazzo di garofani rosso e bianco è diventato una tradizione di tutte le partite del Vicente Calderon e la stessa Margarita va a posarlo su uno dei quattro angoli dello stadio. E’ diventato un oggetto quasi sacro, tant’è che durante un derby Roberto Carlos lo allontanò via con violenza suscitando le ire dell’intero stadio, il calciatore brasiliano appena conobbe la storia si precipitò a chiedere scusa ai tifosi davanti alle telecamere. Passano i minuti e sono sempre più affascinato da questo ambiente e da “El Ramo del Calderon”. Intanto comincia la ripresa e ci pensa Simeone a trascinare i suoi, è uno spettacolo vederlo agitarsi in panchina, corre quasi più dei calciatori, la gente percepisce i suoi battiti e urla assieme a lui, in una simbiosi che trascina la squadra al vantaggio, con una prodezza di Griezmann che regala i 3 punti ed il primato ai Colchoneros. E’ una sintonia perfetta tra squadra, tecnico e tifosi. I calciatori giocano nel modo in cui la gente tifa, con passione e grinta, è come vorresti veder giocare la tua squadra a patto che tu non sia tifoso del Real Madrid o del Barcellona. E’ impossibile non restar affascinati da ciò che mettono in campo i colchoneros. Intanto la partita finisce e al Calderon c’è spazio per un vecchio amico che oggi veste probabilmente la maglia sbagliata e che chissà, a Gennaio potrebbe già far ritorno a casa. Si tratta di Raul Garcia, passato in estate proprio all’Athletic Bilbao, scrivendo un altro capitolo sugli storici intrecci di queste due squadre. L’ex capitano dei colchoneros per la prima volta da avversario al Calderon tradisce l’emozione del ritorno, questa è casa sua e lo sarà per sempre e quelli sulle tribune saranno per sempre i suoi tifosi. La partita finisce e tutti ritornano alla propria vita, all’alba di un lunedì di studio e di lavoro, intanto arrivano buone notizie dal Madrigal, il Villarreal ha battuto il Real Madrid per 1 a 0. Madrid è sempre stata bianca, questa notte però si tinge anche di rosso e se cammini in silenzio tra le strade di una città che in silenzio non sa stare, sembra ancora di ascoltare: “Atleti, Atleti, Atleti…”
Dal nostro inviato allo Stadio ‘Vicente Calderon’ di Madrid Andrea Cardone.
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