Dieci feriti, tra cui un poliziotto in borghese, assalti ai pullman in autogrill e in città. Agguati in pieno stile guerrigliero, bombe carta con chiodi, uso di armi da fuoco e tentato omicidio ai danni di un ragazzo di 30anni che adesso lotta tra la vita e la morte. No, non è un report di guerra, ma la cronaca di un pre-partita. Non siamo a Kabul, Damasco o Baghdad, ma a Roma, cuore e capitale dello stato italiano.
Quello che è successo ieri prima del match tra Napoli e Fiorentina è un qualcosa di indicibile. Un assalto premeditato ai danni dei tifosi azzurri. Senza esclusione di colpi, armi da fuoco comprese. Sassaiole, bombe carta e, addirittura, spari. A farne le spese sono dieci supporters del Napoli, compreso lo sfortunato tifoso a cui era indirizzato il proiettile. Scene e notizie che farebbero rabbrividire qualsiasi persone che, a torto o ragione, ama definirsi civile. Eppure, guardandosi intorno questa mattina, gli unici problemi degli italiani sembrano essere due: i fischi all’inno e Genny ‘a Carogna.
Ma andiamo con ordine. Le notizie degli incidenti fuori lo stadio cominciano, in modo disordinato, ad arrivare anche all’interno dell’Olimpico, dove Fiorentina e Napoli stanno effettuando il riscaldamento. I tifosi azzurri, giustamente, chiedono informazioni certe riguardo lo stato di salute del loro compagno. Ma si sa, in questi momenti, non è facile mantenere la lucidità, ed anche il tam tam mediatico non aiuta. Ad un certo punto sembra addirittura a rischio la partita. Ed ecco che entra in scena il fantomatico Genny ‘a Carogna. Colloquio con Hamsik e con i rappresentati delle forze dell’ordine e… via libera. Si gioca! Ma ha deciso davvero lui? Con calma ci arriveremo…
Il ritardo e la situazione imporrebbero quantomeno un po’ di scrematura al cerimoniale. E mentre la curva del Napoli osserva un simbolico ed indicativo silenzio per tutti i 90’, le Lega decide invece che, “the show must go on”, bisogna anche cantare l’inno. Risultato? Bordata di fischi bipartisan. E se per quanto riguarda i napoletani era cosa certa, visti anche i precedenti del 2012 e di Italia-Armenia, per i fiorentini si tratta di un qualcosa di più sorprendente.
La partita inizia. Insigne ne fa due, Vargas illude la Fiorentina, Inler si fa cacciare fuori e Mertens chiude i giochi. Napoli con la coppa in mano, con Hamsik che la alza al cielo. Inevitabilmente però tutto quello che succede durante il match passa in secondo piano. L’ora di ritardo, i colloqui con gli ultras, i feriti gravi, i petardi e fumogeni, hanno ormai fatto il giro del mondo, fornendo l’ennesimo spot negativo ad una decadente Italia. Urge trovare un colpevole. Chi? Napoli logicamente.
Quello che è successo fuori lo stadio passa in secondo piano, quasi fosse un contorno non legato alla partita. I veri problemi sono i fischi ad un inno, suonato mentre una curva aveva intenzione di osservare un rispettoso silenzio, ed una fantomatica trattativa con un capo ultrà. Come se davvero Genny ‘a Carogna contasse più di Rai, sponsor, Lega e politici in bella mostra. Come se davvero i signori del calcio avessero anche per un solo momento avuto la voglia di fermare lo show, con i danni economici e di ordine pubblico che comportava la cosa. O come se davvero, visto che scendiamo dalla nuvole, il colloquio tra un ultras e il suo capitano sia una cosa tanto inusuale nel mondo del calcio. L’hanno fatto anche i dirigenti della Fiorentina, eppure non sembra che ci sia questo gioco al massacro nei confronti dei viola. La differenza, l’unica, è che quelli napoletani hanno mantenuto il silenzio in curva, quelli viola no. E poco importa che fuori lo stadio ci sia stato un servizio d’ordine da brividi, con pullman del Napoli imbottigliati nel traffico e preda degli assalti “romani”. Già “romani”, o romanisti, come “Gastone”, l’ultras giallorosso che ha sparato al tifoso napoletano. Proprio lo stesso Gastone che, come ieri ‘A Carogna, trattò con il “suo” capitano (era il 2004 e chiesero a Totti di sospendere una partita, ndr). Perché è stata sottovalutata questa minaccia romana? Perché è stato consentito ad una persona di girare liberamente armato in una zona dove, sapevano, sarebbero transitati supporters di una tifoseria rivale? E perché, per tutti i concitati momenti che hanno preceduto l’inizio del match si sono affannati a ripetere, come una filastrocca, che non erano “incidenti legati al calcio”? Allora dovremmo dedurre che è pericoloso girare per Roma. Che per le vie della capitale si può essere sparati da un momento all’altro.
Tranquilli, sono cose che non leggerete. C’è una Carogna da spolpare, uno Sputtanapoli da continuare. E’ l’ipocrisia di un calcio che prima consente agli ultras di avere potere illimitato, e poi si lamenta se un loro rappresentante chiede di avere un faccia a faccia con il proprio capitano. Abbiamo rispetto della vostra intelligenza e siamo sicuri che avete già capito che quella partita si sarebbe giocata comunque, Carogna o non Carogna. Era anche una questione di ordine pubblico. Di dover poi gestire 60mila tifosi, di cui almeno la metà inferociti e pronti alla “caccia al romano”. Solo che tutto questo poi bisogna giustificarlo, farlo capire anche a chi è a casa e non ha potuto assistere a quei momenti di tensione dal vivo. E quindi fuoco incrociato sui napoletani, rei di aver condizionato la “Coppa della Vergogna” (come se di vergognoso, tra calciopoli, calcioscommesse, prescrizioni e doping, questo calcio non lo fosse già di suo), di aver fatto decidere ad un ultras il destino di quella che doveva essere una “festa” di sport (gli spari ad altezza uomo forse li considerano come “spettacolo pirotecnico”). Tutta colpa dei napoletani, sempre colpa dei napoletani. Trentamila incivili che si fanno rappresentare da un “criminale” (in Spagna addirittura titolano “hijo de camorrista”, “figlio di camorrista”), che fischiano un inno e che stanno addirittura in silenzio e senza bandiere durante il match. Cantassero qualche “Vesuvio lavali col fuoco” come i più civili fiorentini, o almeno evitassero di applaudire in modo ironico ai suddetti cori.
La festa, la loro festa. Con tanto di alte sfere del governo e vuoto patriottismo, non poteva essere rovinata da un Gastone qualunque. Uno che con tanti giorni a disposizione doveva provare ad uccidere un napoletano proprio oggi, proprio poco prima che lo “spettacolo” iniziasse. Si doveva cominciare, si doveva giocare. Era forse anche l’unico modo per evitare che la situazione peggiorasse. E se per farlo cominciare serve un colpevole su cui poi sfogarsi e indirizzare i bollenti animi italioti, non vi preoccupante, ci sono sempre Napoli e i napoletani. Abbiamo una conclamata esperienza come vittime sacrificali, più o meno un centocinquant’anni.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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