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Sputtanapoli in the World. Napoli uguale Camorra, un pregiudizio italiano esportato anche in Brasile‏

Galeotto fu Ganso e il suo “quasi acquisto”. Ma in principio fu Careca, e quel suo passaggio al Napoli mai digerito dai brasiliani. Ed arriviamo ad oggi alle parole di Aidar. E’ il presidente del San Paolo, club di Ganso, ex club di Careca. Le voci, poco fondate, di un approdo di Ganso al Napoli lo mandano su tutte le furie. Rivive quel passaggio di Careca al Napoli, quei due miliardi e mezzo che voleva fossero almeno il doppio. E la spara grossa: “25 milioni”. Fin qui tutto nella norma. Siamo abituati a presidenti e procuratori che, come è logico nel mercato, alzano a sproposito la valutazione di determinati giocatori. Tutto nomale, se non fosse che la frase continua con: “La Camorra non ha tutti questi soldi”

Camorra? Veramente ha detto Camorra? … ci risiamo. Ecco che per l’ennesima volta il nome di Napoli è accostato alla Camorra. Ora, fa sorridere il fatto che un presidente di un club brasiliano parli di Camorra mentre il suo paese ha i più alti tassi di criminalità del globo, fa vivere metà della popolazione nelle favelas, omicidi e rapimenti sono all’ordine del giorno, e l’unica risposta del governo è inviare la polizia per sfrattare la povera gente dalle sue case, per non fare “brutta figura” con le multinazionali e con i borghesucci europei in vista dei mondiali. Fa sorridere, ma anche riflettere. Perché se un presidente di un club di un paese con mille criticità trova tempo per parlare di Napoli e Camorra, questo non può lasciare indifferenti.

Ma è davvero colpa dei brasiliani?

Non è infatti la prima volta, in ambito sportivo, che all’estero il nome di Napoli sia associato a quello della Camorra o della monnezza. Già qualche anno fa, dopo un Napoli-Siviglia, amichevole estiva finita con qualche screzio, gli spagnoli utilizzarono il termine “camorra”. Dissero, loro, che lo fecero perché in spagnolo “camorra” significa “rissa”. E come dimenticare i cileni che all’arrivo di Vargas paragonarono Napoli alle città del videogioco GTA, piene di violenza, droga e criminalità. E la lista è ancora lunga. Senza dimenticarci delle recenti magliette “Napoli Merda” con cui ci accolsero i marsigliesi.

Ma, torno a ripetere, la colpa è davvero loro?

Di certo la mancanza di buon senso è palese in questi contesti. Associare Napoli alla Camorra è sbagliato a prescindere, come lo sarebbe associare New York alla Mafia o Los Angeles alla bande latinoamericane. Eppure, in questo mondo che procede per luoghi comuni, Napoli è sinonimo di Camorra, o di monnezza. Il perché? È semplice, e non bisogna neanche andare troppo lontano. All’estero percepiscono quello che l’Italia vuole far percepire. E se l’Italia fa percepire stesso agli italiani un determinato luogo comune, non possiamo poi lamentarci se all’estero prendono quel determinato luogo comune come verità. D’altronde il 90% di chi all’estero dice “Napoli è uguale Camorra” non solo non ha mai visitato Napoli, ma a stento è venuta a passare una settimana in Italia. Le sua uniche fonti sono un misto di luoghi comuni creati dagli stessi italiani.

Spieghiamo meglio: se un tg italiano parla di Napoli come città pericolosa, i colleghi stranieri considerano questa fonte come vera ed affidabile. E così un cittadino straniero, sentendo il suo tg parlare di Napoli come città pericolosa, lo assumerà come dato di fatto. E’ una cosa abbastanza comune. Anche noi, pur non avendo mai messo piede in qualche paese arabo, siamo portati a considerare, generalizzando, gli arabi come fanatici religiosi (cosa assolutamente sbagliata).

E’ un processo semplice. Un concetto ripetuto più volte diventa un assioma, un dogma inconfutabile. E come al povero arabo viene appioppata l’etichetta di “fanatico”, così al povero napoletano quella di “criminale”. Ed è assolutamente inutile cercare nei brasiliani, negli spagnoli o indefinitamente negli altri i colpevoli. I luoghi comuni si creano qui, in Italia, nelle nostre tv.

La televisione mostra la violenza di alcuni quartieri di Napoli. Secondigliano, Scampia sono viste nel mondo come feudi della criminalità. Ma non viene mostrata l’altra faccia: perchè Scampia è anche altro. È le decine di associazioni che combattono sul territorio, che nell’ombra cercano di dare una parvenza di legalità in quartiere in cui lo Stato ha da tempo alzato bandiera bianca. E l’esempio di Scampia può essere ripetuto passo passo, ad altre realtà, ad altre situazioni. Le start-up calabresi che si scontrano con il luogo comune di una Calabria arcaica, o l’antiracket siciliano che dimostra come l’isola non sia solo limone, coppola e lupara.

Ma sono cose che purtroppo non superano l’ambito comunicativo locale. Come vogliamo pretendere che arrivino fino in Brasile. Dall’altra parte del mondo arriva invece l’immagine della Camorra, dei morti, della violenza. Arriva l’immagine di una Napoli criminale, mostrata in tutta Italia in luogo di una Napoli “normale”.

Non stiamo dicendo che a Napoli non ci sia la Camorra. E sarebbe da stupidi dirlo. Stiamo solo osservando come la cattiva informazione italiana faccia da fonte a quella estera, e di come il pregiudizio italiano nei confronti di Napoli diventi un pregiudizio globale. La globalizzazione dello Sputtanapoli, insomma. . .

Chiudiamo con una considerazione, anzi no con una domanda. Una domanda che racchiude il senso dell’articolo. Milano, Expo 2015. Un giro di tangenti, mazzette e corruzione secondo solo alla Tangentopoli di inizio anni ’90. Eppure nessun presidente straniero ha mai detto: “Il Milan non può comprare tizio, neanche con tutti i soldi delle tangenti”

Perché? La risposta datevela da soli. Datevela e capirete perché in fondo non è tutta colpa del presidente del San Paolo…

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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