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Si scrive Chievo si legge bestia nera. Battere i clivensi per dimostrare di essere grandi anche contro le piccole‏

“Speramme ca chiste nun cacciano ‘a scienza contro a nuje”  Questo più o meno il pensiero di molti tifosi napoletani in questa settimana che, complice la pausa nazionali, ha allungato di sette giorni l’attesa per il prossimo match di campionato: Napoli-Chievo. La squadra veronese è difatti, nell’immaginario collettivo del tifoso partenopeo, la classica “piccola” ostica, difficile da battere. Quella squadra tutta catenaccio e contropiede, barricate in area, e difesa alla morte dello 0-0 (o dell’1-0 se nell’unica azione offensiva si ha un po’ di fortuna). Il dream team di tutti quegli anacronistici italianisti, che vorrebbero vivere nel calcio anni ’60, tanto affezionati ad un gioco vecchio, eppure da noi ancora così efficace.

Il tifoso però è più pratico, segue logiche più basilari, dettate del sentimento e dalla scaramanzia. E il Chievo (così come le altre piccole “catenacciare”) più che un presunto modello di calcio all’italiana, rappresenta una vera e propria bestia nera. il Chievo, è diventato una sorta di simbolo, la “piccola per eccellenza”, l’esempio perfetto delle difficoltà che il Napoli incontra quando non si trova a duellare con squadre del suo livello.

Lo era con Mazzarri, lo è con Benitez. Anche se i precedenti, almeno in casa, parlano di tutt’altro. Già perché al San Paolo il Chievo s’è imposto solo una volta, un 3-1 in rimonta nel 2010. Cannavaro illude, Pellissier guida la rimonta. Uno piccolo trauma che, non fosse stato per il provvidenziale gol di Albiol, si sarebbe ripetuto anche nella scorsa stagione.

Il resto però sono state solo vittorie, alcune faticose, altre abbastanza nette. Diverso il discorso al Bentegodi di Verona. Lì il Chievo, spesso e volentieri, ha fatto più di uno sgambetto al Napoli, soprattutto quando in cattedra saliva un’altra bestia nera degli azzurri: tale Gennaro Sardo, napoletano di nascita, emigrato in Veneto.  Lui, assieme a Moscardelli, ha di fatto visto l’azzurro Napoli come il tori vedono il rosso.

Il Chievo, Sardo e (ora non più) Moscardelli, per gli incubi azzurri. Per quella paura, manifestatasi spesso e volentieri negli ultimi anni, di steccare contro le piccole. Un Napoli forte con i forti e debole con i deboli, con la paura di essere punito (cosa accaduta spesso e volentieri) dal Carneade di turno, dal giocatore che, dopo anni di anonimato, decide di prendersi la sua domenica proprio contro il Napoli. E naturalmente dopo, quasi sicuramente, torna nell’anonimato.

Vincere col Chievo rappresenta dunque qualcosa in più di tre punti. È la sfida contro le paure recondite del Napoli, quel timore di non farcela proprio quando la preda sembra più alla portata. Una condizione psicologica che, seppur cerchi in tutti i modi di non sottovalutare l’avversario, porta a sottovalutare te stesso. Vincere è fondamentale, per dare seguito al successo di Genova, per mettere in magazzino altri tre punti, per riconciliarsi con San Paolo dopo il mercato sottotono e la notte di Bilbao, e anche per continuare a zittire le schiere di scettici che popolano i talk show sportivi, sempre indulgenti con le altre così come severi e pronti a gridare alla catastrofe quando a steccare è il Napoli.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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