Iniziare un’avventura in una nuova squadra non è mai semplice. Non lo è per i giocatori, figuriamoci per gli allenatori. Vivere sulla graticola è ormai un fatto assodato per i mister di tutta Italia. E se a ciò ci aggiungi la non conoscenza dell’ambiente, delle dinamiche del tifo e dello spogliatoio, ecco che capisci come per un allenatore adattarsi ad una nuova realtà non è affatto facile.
Sarri e Sousa, Sousa e Sarri. Entrambi al primo anno su due panchine di vertice, entrambi con la scomoda ombra di chi li ha preceduti e la spada di Damocle di chi potrebbe invece sostituirli. Premesse non certo esaltanti per due che erano stati chiamati per cercare di dare quel quid in più che sembrava mancare nelle gestioni precedenti. E che invece ben presto si sono scontrati con lo scetticismo dell’ambiente e dei tifosi… salvo poi farli ricredere.
Sarri lo sappiamo tutti arriva dopo Benitez. Non certo l’ultimo della classe. Allenatore importante, grande caratura internazionale, curriculum importante (non a caso adesso è sulla panchina del Real). Una gestione tra luci e ombre, fantastica la prima stagione, rocambolesca e sotto le aspettative la seconda. Ma pur sempre con due trofei portati a casa nel suo biennio. Sarri invece era il provinciale, l’uomo della gavetta, quello in tuta. Improvvisamente catapultato, anche per via di rifiuti di gente più blasonata, in una piazza di vertice. La stampa prima lo esalta, e forse lo fa solo perché arriva al posto dell’”odiato” Benitez, poi lo abbandona precipitosamente. Drone, 4-3-1-2, Valdifiori regista, i leit motiv dell’estate napoletana. Una scelta che alla fine va a discapito dello stesso Sarri a cui, senza aver dato il giusto tempo, si chiedeva immediatamente un’inversione di tendenza.
Fortuna che il mister di Figline ha ben presto saputo adattare il suo gioco alle effettive potenzialità della rosa. Addio al trequartista e spazio nuovamente al tridente. Come lo scorso anno, solo che quest’anno c’è un Allan in più, un Reina tra i pali e un Jorginho che, nel centrocampo a tre, è tornato il giocatore di qualità dei tempi del Verona. Un’equazione che ha portato come risultato il cambio di rotta in casa Napoli. Dalla contestazione al sold-out contro la Fiorentina… nel giro di poche settimane.
A proposito di Fiorentina, anche Paulo Sosa non ha passato bei momenti alla Viola. Diversamente da Sarri fin dai primi momenti buona parte dell’ambiente era palesemente contro di lui. Certo, il peso dell’eredità di uno come Montella non è un qualcosa da poco, ma a dire il vero a pesare sulle spalle di Sousa era qualcos’altro. Una maglia, quella bianconera della Juve. Non è un mistero che a Firenze la Vecchia Signora non sia certo amata. E un passato tra le sue fila non è certo il miglior biglietto da visita per un allenatore che, da esordiente nel campionato italiano, si siede sulla panchina del Franchi.
Lo scetticismo però viene subito tramutato in entusiasmo. Bastano le prime partite e la Fiorentina vola. Sei vittorie nelle prime sette giornate, record assoluto nello storia della Viola. Nemmeno quando c’erano Batistuta e Rui Costa la Fiorentina aveva effettuato una partenza sprint così.
Entrambi sono passati nel giro di qualche settimana da insulti e scetticismo a complimenti e ipotesi di rinnovo. E domenica forse non è tanto azzardato parlare di sfida di vertice. Napoli e Fiorenze dimenticano Benitez e Montella ed accolgono Sarri e Sousa. Prima lo scetticismo, adesso l’entiusiasmo. A dimostrazione che quel brutto vizio che c’è nel calcio italiano di giudicare troppo presto e di sparare sentenze ancor prima che si possa iniziare è lungi dall’essere debellato. Napoli-Fiorentina vale l’alta classifica. Per Sarri e Sousa vale anche un “ve l’avevamo detto che bastava avere un po’ di pazienza”
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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