Identità e scaramanzia, la due caratteristiche del napoletano doc. L’amore incondizionato per la propria città, per le proprie tradizioni, per la propria storia e per la propria cultura, e quell’inguaribile credenza che alcuni gesti, rituali, oggetti possano migliorare o peggiorare il proprio destino. Identità e scaramanzia quindi, le due parole che si prestano meglio a descrivere il napoletano.
E il calcio, come grande fenomeno sociale, non riesce ad esimersi da questa continua tensione tra i due termini. L’identità del napoletano che si rispecchia nel Napoli, nei cori, nei simboli e soprattutto nei colori. E la scaramanzia, tanto cara nel mondo del calcio, pieno di quei riti a volte un po’ buffi, ma che ormai fanno parte dello sport più amato al mondo. Ma che succede quando identità, o tradizione, e scaramanzia diventano incompatibili?
Galeotto fu il filotto di risultati utili con la maglia gialla. Finale di Coppa Italia e qualificazione agli ottavi di Europa League. Mai una sconfitta, solo gioie o, al limite, piccole delusioni facilmente digeribili. E così il presidente De Laurentiis, noto scaramantico, ha deciso di promuoverla a prima maglia, almeno fino a che il “buon momento” non finisce. E così quella che in origine era la terza maglia, gialla con banda verticale azzurra, ha prima scalzato la camouflage e poi addirittura la maglia azzurra. Cosa francamente impensabile. Un gesto che sulle prime aveva anche riscosso un certo grado di apprezzamento. Ma il prolungarsi della cosa, e soprattutto il fatto di utilizzare la maglia gialla al San Paolo, ha letteralmente scatenato l’ira dei tifosi. Addirittura uno striscione ieri sera al San Paolo spingeva per il ritorno all’azzurro, colore di Napoli e del Napoli. L’identità prevale sulla scaramanzia. Una lotta che, se spulciamo la storia del Napoli, sembra decisa in partenza.
Nel 1926 nasce l’Associazione Calcio Napoli, dalla fusione di diverse squadre cittadine. La città di Napoli è inserita nel nascente torneo nazionale, come unica rappresentante del Mezzogiorno. Per competere con le corazzate del Nord le piccole realtà cittadine (Naples e Intenaples su tutte) decidono di unirsi in un unico sodalizio. I colori scelti furono l’azzurro per la maglia e il bianco per i pantaloncini. Alcuni dicono che la scelta dell’azzurro fu un omaggio alla dinastia dei Borbone, altri che fu scelto il colore che rappresentava la maggior parte delle squadre cittadine. Fatto sta che l’azzurro da quel momento entra nell’immaginario collettivo, e viene indissolubilmente legato al nome del Napoli e di Napoli. Nei quasi 90 anni di storia solo due volte ci fu l’azzardo di cambiare i colori sociali. La prima volta accadde nel 65/66. Maglia bianca con fascia trasversale azzurra. Un esperimento che fu subito accantonato. Meglio invece andò con l’allora inedita maglia rossa da trasferta. Usata nella vittoriosa finale di Coppa Italia contro la Spal nel 61/62, la maglia rossa si impose, assieme alla classica maglia bianca, come maglia da trasferta, venendo negli anni affiancata da inserti in giallo o in oro per richiamare da vicino i colori del Comune di Napoli. Il secondo esperimento di cambio colore avvenne nel 2002/03, quando l’allora Napoli di Salvatore Naldi indossò un inedito completo in stile Argentina. Un vero e proprio insulto alla tradizione, che non portò neanche fortuna. Infatti il Napoli navigò per tutta la stagione nei bassifondi della Serie B. Solo verso la fine del campionato, con un gesto di scaramanzia inversa, si tornò all’azzurro, tanto che il Napoli dovette chiedere la restituzione alle scuole calcio di alcuni lotti di maglio dell’anno precedente.
A parte questi due, poco fortunati, episodi, il Napoli ha sempre giocato in maglia azzurra. Al limite variavano le tonalità (più chiare con Kappa e Diadora in C e B, più scure negli anni ’90 e recentemente con Macron), o gli inserti (celebri le striscette verticali della Nike nel 97/98). Ma l’azzurro era ed è una costante. Così come, almeno fino agli ultimi anni, era costante l’uso del bianco o del rosso per la maglia da trasferta. E se per la seconda maglia si è più portati ad accettare l’ingresso di temi mimetici, gialli, antracite o argentati, la prima maglia è un must, un qualcosa di intoccabile. L’azzurro è Napoli, Napoli è l’azzurro. Sivori, Altafini, Careca, Cavani, Higuian e soprattutto Maradona. L’azzurro è anche il loro colore, il colore di vittorie, di successi, il colore della tradizione. L’azzurro è il colore che nell’immaginario collettivo identifica il Napoli, come il bianconero la Juve o il rossonero il Milan. Un colore che, al solo pronunciarlo, porta immediatamente all’associazione con Napoli. Un binomio forse addirittura più forte di quello che lo stesso colore genera con l’Italia o con la Lazio. E De Laurentiis, uomo attento all’internazionalizzazione del Napoli, dovrebbe ben sapere che i colori sociali sono la fonte principale per l’identificazione di un brandcalcistico.
Un grido da parte dei tifosi azzurri che si inserisce perfettamente in un contesto che sembra sacrificare sempre più la passione e l’identità dei tifosi. Dai cambi repentini di colori sociali (vedi Cardiff o meno recentemente Chievo e Parma), fino ai diktat della Fifa che spingono per completini monocromatici, come se i pantaloncini neri dell’Argentina o blu della Spagna non siano iconici quanto le strisce albiceleste o lacamiseta roja. A Napoli non ci stiamo. Va bene santini, amuleti, riti, preghiere e anche 13 e 17, ma l’azzurro, si l’azzurro, non si tocca. Alla fine, anche se sfortunati, preferiamo sempre e comunque essere azzurri, sempre e comunque essere napoletani!
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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