Saper raccontare Napoli, con la sua storia e le sue mille contraddizioni, senza scadere nella retorica e tenendosi lontano dai cliché è una dote di pochi. Di certo lo è stata di Pino Daniele. Sin dagl’esordi – e in quel periodo con particolare forza e decisione – il cantautore, nato nei vicoli del centro storico, ha sferzato i vizi e raccontato le virtù di un popolo incapace d’essere comune.
“Comm’è triste, comm’è amaro
Assettarse pe guardà’ tutt’e ccose
Tutt’è parole ca niente pònno fa’
Si m’accido ij agg’jettato
chellu ppoco ‘e libertà
Ca sta’ terra, chesta gente
‘nu juorno m’adda da’..” (“Terra mia”, 1977) !
Tra poeticità e predizione, Pino Daniele ha anticipato la reazione sgomenta e teatrale, eccessiva e traboccante di una città innamorata di chi ha saputo ridare dignità e sfrontatezza ad un “accento sbagliato”. E come tutti gli amori, anche l’amore dei napoletani ha finito per macchiarsi del peccato che è di chi ama: l’egoismo. Litigarsi il ricordo di Pino come parenti che s’accapigliano per l’eredità è il modo peggiore di offenderne la memoria e di dimostrare che poco è rimasto di chi ha “insegnato” con il proprio vissuto la passione per la contaminazione, il coraggio di volersi meticcio.
Pino Daniele è Napoli, è una certa napoletanità, quella schiva eppure solare, capace di illuminare la scena con un sorriso, con quell’ironia che non è mai macchietta. Eppure Pino Daniele non è di Napoli; troppo riduttivo, impossibile rinchiudere in un recinto angusto una figura tanto complessa.
Pino Daniele è di tutti coloro che con la sua musica hanno potuto chiudere gli occhi e passeggiare per quei vicoli in cui alla spazzatura si mischia l’odore del mare e alla miseria l’irriducibile nobiltà di chi “vuole di più di questi anni amari e che non striscerà mai per farsi valere”. Di chi ha scoperto i mille colori di una città, non tutti belli, non tutti gradevoli ma che assieme dipingono un quadro di mortifera bellezza. !Il regalo più grande che Pino Daniele ha fatto alla sua terra è stato quello di averla costretta a fare i conti con se stessa, di dirle quella verità che “nessuno sa”. Le ha ridato coraggio cantando le sue paure.
Mi piace pensare (sperare, forse) che grazie a lui e al suo ricordo siano sempre meno gl’idioti che negli stadi, da nord a sud, urlano la propria ignoranza inneggiando al Vesuvio o ribadendo un’ovvietà: loro non sono napoletani! Le stucchevoli polemiche di queste ore sui due funerali, sulla presunta presa di distanza da Napoli di Pino Daniele e le meschine speculazioni di chi ha voluto dare risalto a spiacevoli ma marginali episodi, dimenticando di raccontare l’ammirevole compostezza di centinaia di migliaia di persone raccolte in un dolore vero, non di facciata, senza cadere nello stereotipo del folklore partenopeo dimostrano che è ancora molta la strada da fare. Il ricordo di un “nero a metà” sarà di certo d’aiuto a insegnare che l’ignoranza non ha né accento né colore. Il Napoli può fare la sua parte nel portare con sé questo ricordo, facendo risuonare nel suo stadio quelle parole che oggi rappresentano il meglio della napoletanità.
Napoli ed il Napoli hanno già il proprio inno. Non abbia paura De Laurentiis di essere poco moderno, poco internazionale, nello scegliere chi ha regalato a Napoli tutti i suoni e i colori del mondo. Non sarà l’America, ma Napoli è tutta n’ata storia…
Ciao Pino… !!
Pompilio Salerno
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