Napoli-Roma, il “Derby del Sole”, detto anche impropriamente “Derby del Sud”. La sfida tra le due compagini più titolate del Centro-Sud, vincitrici di 5 degli 8 Scudetti che non sono finiti al Centro-Nord. Ma soprattutto lo scontro tra le due tifoserie che stimolano maggiormente l’immaginario collettivo. Non ce ne vogliano i laziali, ma se parli di Roma l’associazione con i colori giallorossi è più che immediata. Lo stesso dicasi del Napoli. L’azzurro (recentemente indossato nuovamente in luogo dello “scaramantico” giallo, pronto a ritornare anche al San Paolo proprio contro la Roma) è il colore che calcisticamente identifica nel mondo il Napoli, Napoli e, forse, l’intero Sud.
Napoli e Roma, città particolari, uniche, in grado di condensare su di loro l’intero immaginario collettivo dell’Italia. Vesuvio e Colosseo, Mergellina e Vaticano, e perché no San Paolo e Stadio Olimpico. La Curva Sud, bastione del tifo giallorosso e le Curve A e B, feudi del tifo ultras napoletano. Un crogiolo di colori e tifo sfrenato. Un mix di passione e attaccamento alla propria città che difficilmente ha eguali nel mondo. Unica nota stonata? Tra le due tifoserie non corre di certo buon sangue, come dimostrano i recenti fatti di cronaca. Un odio accresciuto negli ultimi tempi, anche in relazione ai cori razzisti dei tifosi romanisti, alla chiusura della curva giallorossa, e alle ultime sfide in campo. Ma, strano a dirsi, una volta le tifoserie di Roma e Napoli erano gemellate. Un gemellaggio che sembrava andare oltre il calcio. Un’unione festosa tra due tifoserie e due squadre che, tra gli anni settanta e ottanta, volevano candidarsi a principali antagoniste del solito terzetto nordico. Legame che era rinsaldato anche dalle comuni radici culturali, e dalle vicende storiche che hanno da sempre legato Napoli e Roma. Dai tempi della Magna Grecia, quando la Polis partenopea contribuì con la sua cultura all’elevazione dell’ancora rozza Roma. Legame proseguito per tutto il periodo dell’Impero Romano, con i vari Tiberio e Nerone estasiati dalle bellezze del Golfo, fino ai tempi più recenti, quelli dei Papi e dei Borbone, stretti alleati anche del punto di vista politico. Una disamina storica che fa capire come quel gemellaggio era qualcosa di profondo, ma tutt’altro che indissolubile.
Tutti accusano Salvatore Bagni di essere il “colpevole” della rottura del gemellaggio. Il suo gesto dell’ombrello alla fine di un Roma-Napoli del 1987/88 è sul banco degli imputati. Era stata un partita strana, recuperata dal Napoli nel finale dopo aver subito una doppia espulsione. E quel gesto, forse inconscio e dettato dall’adrenalina, segnò la fine del gemellaggio. Ma fu veramente colpa di Bagni? Si e no.
Come tutte le storie la verità è sempre più sfumata di quanto si crede. Le crepe in quel gemellaggio già c’erano, e il gesto di Bagni è stato solamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per capire meglio cosa covasse sotto la cenere bisogna andare indietro di qualche stagione, nei primi anni ’80. Il Napoli, nonostante una discreta squadra, non è ancora quello di Maradona. La Roma, al contrario, vive il suo momento migliore. I tifosi azzurri sono dal canto loro ben contenti di sostenere la Roma nella lotta contro l’odiato Nord. L’arrivo di Diego cambia però gli equilibri. Nel giro di pochi anni è il Napoli a rappresentare l’unica speranza di vittoria per il Centro-Sud. Il Napoli sta ponendo le basi per quella squadra che vincerà il primo storico Scudetto. E tra le fila degli azzurri c’è anche l’ex Lazio Bruno Giordano. Durante quello che era il rituale scambio di vessilli tra le due tifoserie i romanisti fanno partire i cori contro Giordano, dall’altro lato i napoletani rispondono con cori contro Bruno Conti. Niente di particolarmente grave, al momento. Sul campo, nel frattempo, il Napoli vince, sancendo il definitivo sorpasso di valori.
L’anno seguente l’appuntamento è ancora una volta all’Olimpico. Il Napoli scudettato va a fare visita ad una Roma ormai in declino, lontana dai fasti di inizio decennio. Viene celebrato lo scambio di vessilli. Mentre il portabandiera romanista viene accolto come da tradizione da cori e applausi, quello napoletano è sommerso dagli insulti e dal lancio di oggetti, tanto da doversene tornare indietro. Il resto è storia. Seguiranno 90’ di fuoco, le due espulsione per il Napoli e quel gestaccio di Salvatore Bagni, in un Olimpico già fortemente ostile. Da allora tra Napoli e Roma non c’è stato più spazio per ricomporre il gemellaggio, con i giallorossi allineatisi nel becero razzismo anti-Napoli che accomunava, e purtroppo accomuna ancora, la maggior parte delle tifoserie settentrionali. Uno scontro che si inasprirà ulteriormente dopo i Mondiali del ’90, ed i fischi all’inno che l’Olimpico riserverà all’Argentina di Maradona, il “napoletano” per eccellenza che nel suo stadio aveva sbattuto fuori dal Mondiale la favoritissima Italia.
Margini di miglioramento, alla luce anche dei recenti fatti di cronaca, sembrano non esserci. L’augurio è che, come sempre, riesca almeno a prevalere il buon senso, e la rivalità si senta solo ed esclusivamente in campo. I tifosi di Roma e Napoli al momento non sembrano neanche lontanamente intenzionati a rinsaldare quella “alleanza” che negli anni ’70 e ’80 aveva come scopo quello di contrastare un pressochè incontrastato dominio calcistico settentrionale. Bisognerà quantomeno accontentarsi di quanto si vedrà in campo. Almeno sul quel versante, per fortuna, sembra essere tornati agli anni ’80. Gli anni in cui Napoli e Roma lottavano (quasi) alla pari, e vincevano, contro le corazzate settentrionali.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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