“Non è solo una vittoria sportiva, ma è la vittoria di un popolo. Di un popolo e del Sud che si fa valere”
Questo Napoli-Juve non può cominciare in modo diverso. Non può iniziare senza il commosso ricordo di Pino Daniele. Queste le sue parole all’indomani del primo Scudetto azzurro. La “vittoria di un popolo” la definiva il buon Pino, tifoso azzurro. E da uno che con le sue rime, con le sue note, ha emozionato Napoli non potevi aspettarti frase più vera. Inevitabilmente, questo Napoli-Juve, sarà nel ricordo di Pino Daniele, nel segno della sua musica, con l’immagine nella mente e nel cuore di ciò che lui ha significato per Napoli e per la napoletanità. E quel “popolo”, che lui così definì all’indomani del grande trionfo, pronto a tributare, come fatto a Cesena, il giusto omaggio, per rendere una partita speciale ancora più speciale. Per rendere quel Napoli-Juve, “La Partita” per eccellenza, ancora più “La Partita” per eccellenza.
E divenne tale proprio negli anni ’80. Non che prima non lo fosse. Anzi. A dire la verità sembra quasi che Napoli-Juve sia una sfida senza tempo, in cui è difficile intravedere l’inizio. Sarà forse perché entrambe, meglio di altre in Italia, riescono a rappresentare i due modelli contrapposti di tifosi. Colui che sceglie la sua squadra perché è vincente, non voglio dire per convenienza, ma per sentirsi parte di un qualcosa che travalichi l’identità territoriale. Juve è sinonimo di inclusione al di là della geografia, l’italianità generica senza particolarità, tutta sublimata da una quantità impressionante di vittorie e trofei. Il tifo per il Napoli è invece intimamente legato alla città, all’identità. Non c’è tifo per il Napoli senza il sentore di un’appartenenza ad un’identità comune. Si tifa Juve perché si sceglie di essere juventini, si tifa Napoli perché si capisce di essere napoletani.
Ma fino agli anni’ 80 questa partita era più che altro un gioco al massacro. Un vano tentativo da parte del Napoli di riuscire a battere la Juve. A volte accadeva, e si trattava di qualcosa che potesse raddrizzare addirittura una stagione. Ma erano successi estemporanei, che trovavano la loro sublimazione in 90’ di gioco, e rendevano felici per poco più di una settimana. Perché alla fine, ad alzare i trofei a fine anno, erano sempre i bianconeri.
E così ogni anno, sempre. A volta addirittura il Napoli riusciva ad arrivare secondo, ad un soffio dalla Juve. Non era abbastanza. Poi venne Maradona. Una sola richiesta gli fu fatta: “Batti la Juve”. Diego lo fece, parecchie volte. Nacque in quegli anni ’80 una rivalità storica. Maradona contro Platinì, questo era Napoli-Juve in quel decennio. Ed entrambi rappresentavano, a modo loro, i rispettivi popoli. Sarà stato un caso del destino, ma una città come Torino non poteva che avere un francese come suo uomo simbolo, così come una città come Napoli non poteva che avere in un irruento argentino il suo capo-popolo. Alla fine, e questa è storia, Maradona superò Platinì, il Napoli vinse sulla Juve. Lo fece al San Paolo, ed anche a Torino, nella tana della Juve.
Maradona aveva mantenuto la promessa, aveva battuto la Juve. Ma Maradona non si fermò a questo. Anche altri c’erano riusciti. Lui, per essere il più grande, doveva riuscire in qualcosa in cui nessuno era mai riuscito. Fece anche questo. Non battè solo la Juve, la mise dietro in classifica. E con la Juve anche il Milan, l’Inter, la Roma, la Lazio, la Fiorentina, il Torino. il 10 maggio 1987 accadde qualcosa di impensabile, qualcosa che accadrà solo un’altra volta nella storia. Napoli era sul tetto d’Italia. Per la prima volta.
“La vittoria di un popolo” così la definì Pino Daniele. E da uno che con le sue note e con le sue parole ha emozionato quanto, se non più, dei gol di Maradona, non potevamo aspettarci una frase più giusta. Un popolo “perdente” per definizione, “sbagliato” per pregiudizio, riusciva a salire sul tetto d’Italia. “La vittoria di un popolo” che finalmente poteva gioire in quel 10 maggio 1987. Un popolo che quel giorno, oltre ad ottenere la sua vittoria, riuscì ad ottenere anche il diritto di realizzare un sogno.
Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio
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