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La seconda giovinezza del calcio belga. Tanti i talenti lanciati da un movimento che ha saputo rinnovarsi‏

Dopo un periodo di successi tra gli anni '70 e gli anni '80 il Belgio sembrava essere uscito dal calcio che conta. E invece...

Il Belgio ha circa 10 milioni di abitanti, quanto la Lombardia e più o meno il doppio della Campania. E’ un paese geograficamente piccolo che storicamente ha sempre “sofferto” la vicinanza di Francia e Germania. Eppure questo piccolo paese dell’Europa settentrionale sembra stia vivendo una seconda giovinezza calcistica, tanto da far si che Napoli-Brugge sia una match tutt’altro che scontato.

Fino ad un paio di stagioni fa le compagini belghe recitavano mestamente il ruolo di cenerentole nel calcio europeo. Sporadiche apparizioni in Champions facevano da contorno a un deserto di trofei internazionali. Il calcio belga poteva vantare una più che discreta tradizione, ma era impantanato in un periodo di pochi successi, sia a livello di club che a livello di nazionale. Poi la svolta. E da piccola nazionale, stretta tra le big Olanda, Francia e Germania, il Belgio è tornato a ritagliarsi uno spazio nel calcio europeo che conta.

Il primo periodo di successi per il calcio belga ci fu tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80. A fare da mattatore in quegli anni fu l’Anderlecht. Due Coppe delle Coppe (con tanto di controversa eliminazione del Napoli in semifinale), due Supercoppe Uefa e una Coppa Uefa. Nondimeno il Brugge, avversaria dopodomani del Napoli e altra grande del calcio belga. Una finale di Coppa Uefa nel ’76 e una di Champions nel ’78, entrambe le volte sconfitto dal Liverpool. Ed anche a livello di nazionali il bottino di quel  quindicennio fu di tutto rispetto: vicecampioni d’Europa nel ’80 e quarto posto ai Mondiali dell’86. Insomma, tra la fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80 il Belgio nel calcio sapeva farsi rispettare.

Poi venne un periodo di appannamento, le grandi del calcio belga (Anderlecht, Brugge, Standard Liegi) cominciarono ad accusare il gap con le squadre più ricche e i talenti che quelle squadre sfornavano divennero solo un ricordo. I tempi di Scifo, Desmet, Vanderbergh, Pfaff, Caulemans solo un ricordo. Una sola qualificazione in 7 europei e due mancate partecipazioni consecutive ai mondiali (2006 e 2010) avevano consegnato il calcio belga nel dimenticatoio.

Ed invece negli ultimi anni è stato un rifiorire di talenti: Courtois, Hazard, Mertens, Origi, De Bruyne, Fellaini solo per citarne alcuni. Giocatori talentuosi che hanno riportato il Belgio nell’elitè del calcio europeo e che affollano i maggiori club del vecchio continente. Un seconda giovinezza per nulla casuale, ma frutto di una attenta programmazione sui settori giovanili. Una filosofia molto semplice, che non cerca di mettere paletti troppo restrittivi alle rose, ma che cerca di agire a livello giovanile per far si che le squadre reputino più utile crescere i giocatori piuttosto che comprarli da fuori, evitando anche di far lievitare i cartellini dei giocatori nazionali (come purtroppo accaduto in Italia dopo la recente riforma delle rose)

Se la nazionale belga è stata una delle più sorprendenti a Brasile 2014, se i suoi giocatori sono titolari nei maggiori club europei e se anche le squadre belghe, da semplici outsider, sono diventate avversarie da temere nelle competizioni continentali, il merito va dato esclusivamente ad un movimento che ha saputo, dopo un primo periodo d’oro e un successivo crollo, mettersi in discussione e rinnovare le sue basi, senza scadere in inutili esercizi di autoferenzialità,  come purtroppo spesso accade in Italia.

Servizio a cura di Giancarlo Di Stadio

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