A separarli ci sono cinque anni di differenza. E una cinquantina di questi anni trascorsi in maniera completamente diversa. Quando Roberto Mancini vinceva il primo storico Scudetto con la Samp Maurizio Sarri lavorava come impiegato in banca. Quel campo di calcio che per il primo era un lavoro a tempo pieno per il secondo era solo una svago dopo le otto ore dietro la scrivania. Nel 99′ mentre Mancini, a fine carriera, si apprestava a conquistare un altro Scudetto con la maglia della Lazio, Maurizio Sarri decideva di appendere la cravatta al chiodo e di dedicarsi anima e corpo alla sua passione: allenare.
Oggi, anni dopo, Sarri e Mancini sono uno di fronte all’altro. Chi l’avrebbe mai detto. L’attaccante talentuoso, capace di portare il titolo nelle parti meno nobili di Roma e Genova, di fronte all’ex difensore di paese, uno di quelli senza fronzoli, di cui sono piene le categorie minori. E mentre per il primo il post-partita erano interviste e locali patinati, per il secondo birra e chiacchierata al bar del paese.
L’uomo nato nel calcio, vissuto nel calcio, che nel calcio ha tutto il suo mondo. Charme, eleganza, conoscenza di opinionisti e addetti ai lavori. E l’allenatore venuto dalla provincia, quello pane e salame. La giacca contro la tuta, la sciarpa elegante contro il giubbotto goffo e brutto a vedersi. Basta metterli vicino, e vicino ci saranno lunedì sera, per capire come Mancini e Sarri siano quanto di più opposto uno possa trovare nel calcio di oggi. Il manager e l’operaio. No, non è il titolo di qualche commedia di Natale (visto che è periodo). È l’impressione che si ha nel vedere questi due, diversissimi, protagonisti di Napoli-Inter.
“Datemi i giocatori e vi costruirò una squadra vincente” sembra essere il motto di uno. “Non mi importa dei giocatori che mi date insegnerò io alla squadra come essere vincente”, risponde l’altro. Uno scontro tra filosofie? Forse si… o forse no, un semplice match tra due tecnici che, con percorsi opposti, hanno portato Napoli e Inter al vertice della classifica in questo inizio di stagione.
Per uno 18 giocatori sono una necessità, quasi una soglia minima, l’unico modo per fare turnover, per avere una rosa ampia per le tre competizioni. Per l’altro 18 giocatori bastano e avanzano. È il numero per fare un “colpo di stato”, parole sue! Nel mezzo un modo diametralmente opposto anche nello schierarli questi giocatori. Mancini quest’anno è uno che varia molto, moltissimo. Ben 13 le formazioni diverse, un gioco che, numeri alla mano, punta più a non prendere gol che a farli. Il Napoli invece, dopo l’iniziale e poco fruttuosa parentesi del 4-3-1-2, gioca stabilmente col 4-3-3, ha un’identità solida e ben definita e soprattutto è una squadra che macina gioco.
Due sono i punti che le dividono in classifica. Ma sembra esserci un abisso a livello di tattica e di gioco. E’ un’Inter molto pragmatica, che punta all’1-0. E’ un Napoli che invece giunge alla vittoria attraverso il gioco e il controllo del campo. Basta guardare i numeri: il Napoli ha segnato ben 8 gol in più rispetto all’Inter, e ne ha subito solo uno in più. Nonostante ciò i nerazzurri sono avanti in classifica, merito dei molti 1-0 che, in fin dei conti, valgono sempre tre punti.
Un tema, questo del diverso gioco e delle diverse impostazioni tattiche, che va oltre Sarri e Mancini, ma che trova proprio nel confronto tra i due tecnici la sua risposta esplicativa. Paradossalmente è quello “provinciale” ad esprimere un calcio più gradevole, fatto di trame di gioco elaborate e grande intensità. Paradossalmente è quello “blasonato” ad aver sacrificato gioco e spettacolo in nome del risultato.
Sarri e Mancini sono l’opposto per quanto riguarda gli allenatori. Napoli e Inter sembrano essere l’opposto per quanto riguarda il gioco del calcio. Una sfida che lunedì sera troverà il suo epilogo sul terreno di gioco. Sarri contro Mancini, ma anche Handanovic contro Reina, Higuain contro Icardi... semplicemente Napoli-Inter. Forse vale uno Scudetto, o forse è troppo presto. Di sicuro vale tre punti. E la risposta alla domanda: meglio il provinciale Sarri, la sua tuta e il suo gioco o il celebre Mancini, la sua sciarpa e l’importante è il risultato?
Giancarlo DI Stadio
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